6 Ostacoli alla preghiera

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La preghiera non è difficile, se sai come farla

Siamo onesti: chi di noi non ha mai detto, almeno una volta, “Domani prego meglio”? Oppure: “La prossima volta, prego di più!”.

E il giorno dopo… Netflix, notifiche, una riunione in più, una telefonata di un’amica, un figlio col mal di pancia, e niente: la preghiera salta ancora.
Ma perché è così difficile pregare? La preghiera per tanti è quasi una sfida: sembra non ci sia mail il tempo, o la disposizione d’animo, oppure uno è lì, e gli si chiude il cuore. Vi è mai capitato di pensare: vorrei, ma non posso? La preghiera non vi viene spontanea, anzi, non vi viene proprio?

Non basta chiudere gli occhi e dire “Signore…” per trovarsi in connessione Wi-Fi col Cielo. Bisogna metterci del nostro e prima di ogni cosa, capire quali sono gli ostacoli che incontriamo nella preghiera.

Il cuore grigio (in modalità risparmio energia spirituale)

Papa Francesco lo aveva detto: uno dei pericoli più grandi è il cuore grigio. E non si riferiva a una nuance distinta, che va bene con tutto, ma di una modalità dell’anima. Un cuore grigio può essere un enorme ostacolo alla preghiera.

Ma cosa vuol dire esattamente?
Non è nero, non è sporco, il nostro cuore. È grigio. Quella zona neutra dove non c’è entusiasmo né passione. Solo una cortina di “mah”, “adesso no, magari dopo” e “chi me lo fa fare” “non mi va, ma forse lo faccio lo stesso”.

È il momento in cui la preghiera diventa un gesto svuotato, una cosa da fare tanto perché si deve. Ma Dio non è un algoritmo da compiacere, è una Presenza viva che desidera un dialogo autentico. E la preghiera dovrebbe essere per noi un momento di gioia, di intimità con Dio.

Forse si può partire da qui. Dal ricostruire l’intimità, aprendo il cuore a Dio nella preghiera. E quando si parla di aprire il cuore, allora bisogna farlo davvero. E rivelare a Dio anche le nostre paure, le sofferenze, le preoccupazioni. Chiedergli consolazione e coraggio. Così, il cuore da grigio torna bianco. E senza nemmeno bisogno di usare il lavaggio a 90 gradi!

Il nemico invisibile della preghiera: la distrazione

Inizi con un “Padre nostro” e finisci mentalmente a comprare i detersivi. Mai successo? La mente va al supermercato, o a un problema di lavoro, o agli impegni dei figli, mentre preghi.

Sì, la distrazione è una delle prime forze centrifughe che ci allontanano dalla preghiera. Ma non è un fallimento: è umano.
Il trucco? Non combatterla come un mostro, ma accoglierla. Quando ti accorgi che stai vagando, torna. Anche questo è preghiera. Ti ricordi cosa ha detto Gesù?

Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Mt 6, 6

E lo so che in pochi possono davvvero permettersi il lusso di chiudersi in una cameretta a pregare (senza che venga un figlio a cercarti, una telefonata di lavoro, una notifica sul cellulare). La cameretta può essere l’abitacolo dell’auto, la fila in cassa al supermercato, l’attesa dal medico di famiglia. La cameretta non è solo un luogo fisico. È soprattutto un luogo appartato simbolico. Un luogo in cui non permettiamo a distrazioni esterne di disturbare la preghiera. Lascia tutto fuori da quella cameretta, anche solo per qualche minuto al giorno. Qualche Padre nostro, qualche ave Maria. La preghiera se ne gioverà.

Il tempo per la preghiera che non c’è

Viviamo nella tirannia dell’urgenza. Tutto è “subito”, “ora”, “rispondi”, “consegna”. Sembra che il tempo sia sempre poco, troppo scarso per tutto quello che dobbiamo fare. Il tempo della preghiera sembra non esserci, ma ne siamo davvero sicuri?

E Dio è paziente, e questa sua virtù ci frega. Pensiamo: “Lui capirà”, “Lo vede in che situazione mi trovo” e “Ma dopo mi rimetto in pari e magari prego di più ”.

Mai che Dio ci sgridi: “Vuoi passare del tempo con Me o preferisci scrollare ancora un po’ Facebook?”.
A volte non è un problema di mancanza di tempo, ma di mancanza di voglia. Magari diamo priorità a tremila altre cose che ci sembrano più divertenti della preghiera. O più immediatamente urgenti.
Eppure, bastano 37 secondi per recitare un Padre nostro. Ancora meno per un’ave Maria. E il Sacro Manto? Tutti lo considerano una preghiera lunghissima. Eppure, non arriva a dieci minuti. Non ce l’abbiamo una manciata di minuti per la preghiera?

La preghiera non è una perdita di tempo. È il tempo più pieno che possiamo vivere.

Il mito della performance spirituale

C’è chi non prega perché “non lo so fare bene”. Non si sente all’altezza, come fosse un’attività sportiva o intellettuale, in cui si teme di fare brutte figure.

Si prova un senso di imbarazzo strano, come se si dovesse subire una valutazione, un giudizio, o si dovesse dimostrare qualcosa.

Invece non esiste un modo perfetto di parlare con Dio, tipo “Guida al galateo divino per principianti”. Dio non cerca oratori, cerca cuori. Non devi essere perfetto, devi solo essere vero. Anche un silenzio offerto con amore è preghiera.

Rimandare all’infinito

Io sono una procrastinatrice professionista. Una di quelle che rimanda sempre a domani quello che potrebbe fare oggi. E, se posso, lo rimando anche a dopodomani, alla settimana prossima, al tempo di mai.

Spostare le cose in avanti è una tattica per non affrontarle, senza sentirsi troppo in colpa. “Ma io mica ho detto che non voglio pregare! Assolutamente no. Lo faccio, ma solo dopo che ho farcito le lenticchie, passato la cera sui pavimenti, sbrogliato il gomitolo di lana che si è aggrovigliato, fatto le pulizie di primavera (e magari siamo a Gennaio), il cambio dell’armadio”. Insomma, la preghiera la faccio dopo. Il problema è che questo dopo non arriva mai.
C’è sempre qualcosa che va fatta prima e che porta a spostare il momento della preghiera in avanti. Ecco, da procrastinatrice livello pro, un consiglio voglio darlo: eliminate il: “si, ma dopo!”

L’illusione di dover “sentire qualcosa”


“Non sento nulla… quindi non ha funzionato.” Siamo figli di un’epoca emotiva: se non proviamo brividi, pensiamo che sia tutto inutile. Ma la preghiera non è uno spettacolo pirotecnico dell’anima.
A volte è silenzio. A volte è fatica. A volte è vuoto. Ma quel silenzio, quella fatica, quel vuoto… sono spazi in cui Dio lavora in profondità, anche se non ce ne accorgiamo.

Conclusione: Dio non chiede performance, chiede presenza

Pregare è difficile, sì. Ma non impossibile. È come l’amore: chiede costanza, verità, e la disponibilità a esserci anche quando non tutto brilla. Anche quando siamo distratti, stanchi, o col cuore grigio. Anzi, forse è proprio lì che la preghiera diventa più vera. Non un dovere, ma un respiro. Non una formalità, ma un incontro.

E allora, oggi, anche solo per trenta secondi, fermati. Chiudi gli occhi. E di’ qualcosa. Anche solo “Eccomi”.

A Dio basta questo per cominciare.

Preghiera