San Giobbe: il Santo della Pazienza con una Dose Incredibile di (S)fortuna
Conosci la storia di San Giobbe?
Se ti dicessi che esiste un uomo che aveva tutto — una villa nel deserto (ok, forse una tenda di lusso), una famiglia numerosa, un allevamento da fare invidia a un’intera carovana, e una reputazione impeccabile — e che ha perso tutto in un attimo… e non ha nemmeno fatto una scenata?
Ti presento San Giobbe: il campione indiscusso di pazienza. L’uomo che ha mantenuto la calma perfino con le piaghe addosso e la moglie che gli diceva di maledire Dio e crepare. Altro che resilienza!
E non solo la calma! Anche e soprattutto la fede. Quella non lo ha mai abbandonato. Nemmeno per un attimo. Nemmeno nei momenti peggiori. Cercavo un suo quadro e ho scelto questo, che lo rappresenta benissimo. Giobbe, nel quadro di José Ribera si tiene una mano sul cuore e ha lo sguardo rivolto al cielo, con un’espressione sofferenza. Giobbe è il mio modello. Ogni possibile prova nella vita e mai una parola contro Dio.
San Giobbe prima dei problemi: un VIP d’Oriente…
Giobbe “visse nel paese di Us”, dice la Bibbia. Us non è un villaggio di provincia, con una sola farmacia e un ufficio postale.
Invece, è una regione tra l’Idumea e l’Arabia del Nord. Giobbe era dunque l’uomo più facoltoso dell’Est: migliaia di cammelli (una sorta di SUV dell’epoca), buoi, asini e un piccolo esercito di servitori. Un uomo “retto, timorato di Dio e alieno dal male”, dice la Bibbia. Insomma, uno che non sgarrava mai, forse nemmeno a tavola.
Oltre alla carriera da imprenditore del bestiame, Giobbe era anche un devoto padre di famiglia e un sacerdote domestico. Ogni sette giorni offriva sacrifici per ciascuno dei suoi dieci figli, così… per sicurezza. Altro che genitore ansioso!
Probabilmente Giobbe era uno di quegli uomini che i genitori portavano a esempio ai figli, come modello di persone realizzate e per bene. Tutto bene? Non proprio. A un certo punto, a turbare tutta questa prosperità e questa serenità, arriva il colpo di scena.
Quando la sfortuna bussa alla porta di San Giobbe
E poi, in un giorno come tanti, tutto va in frantumi. Prima arrivano i predoni, poi un fulmine, poi un uragano. San Giobbe perde gli animali, i servitori e perfino i figli, in una sequenza di sciagure che nemmeno in un thriller di Netflix gli sceneggiatori avrebbero osato immaginare.
E lui? Non si dispera, non se la prende con Dio. Non dice nemmeno: “Perché proprio a me, che non ho mai fatto niente di male!”.
Invece, esclama: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”. Noi avremmo almeno lanciato un sandalo in cielo. San Giobbe fa quello che dovremmo ricordare tutti: che nulla ci appartiene e tutto è un dono di Dio. O meglio, un prestito. Che quello che ci ha dato, ce lo può anche togliere.
Il letamaio e il club degli amici molesti
Come se non bastasse, San Giobbe si ritrova coperto di piaghe, seduto su un mucchio di rifiuti (letteralmente), a grattarsi con un coccio. E lì arrivano i famosi amici del cuore: Elifaz, Bildad e Sofar.
All’inizio stanno zitti, ma poi iniziano a filosofeggiare: “Giobbe, se ti va tutto male, qualcosa l’avrai pur fatto!”.
Insomma, non solo vittima, ma anche colpevole per forza. Uno di quei momenti in cui pensi: “dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io”
Poi arriva Eliu, il giovane saggio, con una nuova prospettiva: magari il dolore serve anche a educare, a purificare. Che bella notizia per chi ha appena perso tutto, no?
La moglie di San Giobbe
Parliamo della moglie di San Giobbe! Personaggio secondario… ma con una battuta che ha fatto storia. Non sappiamo il suo nome, né quanti anni avesse, ma il suo intervento – breve e tagliente – è tra i più commentati della Bibbia.
Nel momento più drammatico, quando Giobbe è coperto di piaghe, seduto sul letamaio, lei si avvicina e gli dice:
“Ancora stai saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!”
(Giobbe 2,9)
A prima vista, sembra una vera strega… una fautrice ante litteram dell’eutanasia. Una che pensa che esista un livello minimo di qualità, al di sotto del quale, la vita non merita di essere vissuta e tanto meglio è morire. Forse è solo una donna stanca e disperata.
Comunque San Giobbe non è sensibile a chi gli parla di scelte estreme, nel suo miglior interesse. Per lui il meglio è restare saldo nell’alleanza con Dio.
Poi parla Dio (spoiler: con stile)
Quando le parole degli uomini non bastano più, è Dio che prende la parola. È una delle teofanie (apparizioni di Dio) più suggestive di tutta la Bibbia: un turbine, domande cosmiche e zero risposte facili.
Dio non spiega il “perché” della sofferenza, ma mostra chi è Lui: il Creatore, il mistero, l’infinito. E Giobbe, con un inchino interiore che vale mille parole, si arrende al Mistero: “Mi pento sulla polvere e sulla cenere”.
Un finale da Oscar (della santità)
Dio rimette tutto a posto: amici umiliati, Giobbe riabilitato, ricchezze raddoppiate, nuova famiglia, e una vita lunga abbastanza da vedere pronipoti a volontà. Non male per uno che aveva toccato il fondo (anzi, il letamaio). La sua pazienza diventa proverbiale, tanto che anche il Nuovo Testamento lo cita, e la Chiesa lo mette nel calendario: 10 maggio, segnatevelo.
Un’icona eterna
Giobbe è stato profeta, martire senza martirio, simbolo del giusto sofferente. I cristiani l’hanno amato, gli hanno dedicato chiese, ospedali e lebbrosari (il che è abbastanza ironico, viste le sue piaghe). Ma soprattutto, è rimasto il volto sereno della fede che non crolla, neanche quando tutto il resto crolla.
In breve: se oggi ti lamenti perché hai bucato una gomma o hai dimenticato il caffè sul fuoco, pensa a Giobbe. E magari, fatti un tè. Alla menta. Come usavano nel paese di Us.
