Una maestra è stata licenziata perché ha un profilo su OnlyFans, quella piattaforma on line dove è possibile vendere foto o video più o meno espliciti. Un’attività con cui si può guadagnare molto.
La maestra, Elena, lavorava in una scuola elementare privata e cattolica. Di giorno insegnava, nel tempo libero creava contenuti osé, a pagamento. Tutto tra adulti, consenzienti e soddisfatti? Non proprio.
Un marito non troppo devoto ha comprato alcuni scatti piccanti della maestra, e li ha diffusi fra gli amici del calcetto o del bar.
il mondo è piccolo e pettegolo, qualcuno ha riconosciuto la maestra dei propri figli. La notizia è arrivata alle autorità scolastiche che hanno licenziato l’insegnante.
Inevitabilmente, la storia si è diffusa. Gli ingredienti ci sono tutti: il sesso, il marito sporcaccione, la piattaforma del vizio e la fantasia dell’insegnante provocante, messa in scena in tanti film degli anni 70 e 80.
E sono arrivati commenti e polemiche.
Privacy e credibilità
Molti trovano il licenziamento assurdo. Qualcuno ha criticato il perbenismo della scuola cattolica. C’è chi si è scagliato contro l’uomo e chi ha obiettato che la maestra, nella vita privata, può fare quel che vuole. Nessuno però ha centrato il cuore del problema.
Il marito che guarda bellezze senza veli non fa una gran figura. Non ho intenzione di difenderlo, né giustificarlo. Tuttavia, la maestra è adatta ad essere un’educatrice? La vita privata di una persona non c’entra col suo lavoro, se rimane privata. Ma qui non si tratta di vita privata. Come si fa a invocare la riservatezza, se chi si iscrive a Onlyfans può comprare foto che ritraggono la maestra in pose provocanti? Nessuno ha violato la privacy dell’insegnante, sottraendo illecitamente le immagini. Le foto sexy erano merce sullo scaffale, chiunque poteva acquistarle.
Onlyfans viola la dignità?
Può una educatrice dare il cattivo esempio e rimanere credibile? E quando parlo di cattivo esempio, non mi riferisco alla nudità in sé. Parlo della riduzione del corpo a oggetto, su una piattaforma, Olyfans, che serve per vendere e comprare.
Può una insegnante assecondare, per guadagno, la mercificazione femminile e parlare ai suoi allievi di eguaglianza, dignità, merito, parità? Vendere le proprie nudità è un’azione eticamente positiva, negativa o neutra? Il cuore del problema è proprio qui.
Siamo una società schizofrenica. Nei giorni pari, ci scandalizziamo per l’oggettificazione della donna. Chiamiamo mostri quegli uomini che si comportano come se le mogli o fidanzate fossero una loro proprietà.
E nei giorni dispari diciamo che una donna che vende i propri scatti nuda, non fa male a nessuno. Anzi, esercita la sua libertà e la sua autodeterminazione.
L’oggettificazione non è un modello
Facciamo pace col cervello. Se diventare un oggetto in vendita viola la dignità, allora la maestra dà il cattivo esempio. Se, invece, la dignità è solo una questione di prezzo, allora la maestra ha ragione. Chi paga, può trattare gli esseri umani come oggetti sessuali. Il corpo è un prodotto come tutti gli altri, senza nessuna implicazione morale.
Se però accettiamo che le donne siano trattate come oggetti, seppure volontariamente e dietro compenso, poi non meravigliamoci se questa mentalità permea i comportamenti e la cultura. Non si può scendere a compromessi coi principi. Se si educano i ragazzi al merito, rispetto e dignità, questi valori bisogna osservarli anche nella vita. È una grande fregatura questa autodeterminazione, se giustifica un atteggiamento usa e getta verso le donne. Dov’è la differenza, rispetto alle vittime di abuso sessuale? Ah, già è tutta (solo) una questione di soldi.
