Addio a Papa Francesco

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Padre Enzo Vitale risponde alla domanda di un lettore, a proposito dell’elezione del

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Papa Francesco: il pastore che viene dalla fine del mondo

Quando la sera del 13 marzo 2013, dalla loggia di San Pietro, Jorge Mario Bergoglio, futuro Papa Francesco, si affacciò al mondo con un semplice “Fratelli e sorelle, buonasera”, ci fu un attimo di sospensione.

Chi era questo papa che arrivava “quasi dalla fine del mondo”, come lui stesso disse? Un nome nuovo – Francesco – un tono sobrio, uno stile che, fin da subito, profumava di Vangelo vissuto.

Ma per capire chi è davvero papa Francesco, bisogna partire da lontano.

Da Buenos Aires a Roma: la storia di Papa Francesco

Jorge Mario Bergoglio nasce a Buenos Aires nel 1936, in una famiglia di origine piemontese. La giovinezza è caratterizzata da studi scientifici e da un’esperienza lavorativa come tecnico chimico. In seguito, entra nella Compagnia di Gesù, l’ordine fondato da sant’Ignazio di Loyola.
Viene ordinato sacerdote nel 1969.

Il suo ministero si svolge inizialmente tra l’insegnamento e la guida spirituale, fino a diventare arcivescovo di Buenos Aires nel 1998. È lì che comincia a farsi conoscere per uno stile pastorale semplice, vicino alla gente, che privilegia i quartieri popolari, le periferie urbane ed esistenziali.
Viaggia in autobus, vive in modo frugale e cucina da solo. Rifiuta i privilegi. Non è un modo per “fare notizia”. Si tratta di un’esigenza di coerenza: essere pastore in mezzo al gregge, non sopra.

Il papa delle periferie

Eletto papa nel 2013 dopo la rinuncia di Benedetto XVI, sceglie un nome mai usato prima nella storia del papato: diventa Papa Francesco I.
Un programma più che un nome. È l’omaggio a Francesco d’Assisi, il santo della povertà, della pace, della fraternità con il creato.

Dal primo giorno, la cifra del suo pontificato è la misericordia. Il suo è un magistero della vicinanza. Papa Francesco introduce ascolto, accompagnamento, attenzione al prossimo.

Lo dimostra con gesti concreti: visita carceri, lava i piedi ai migranti, telefona alle persone che gli scrivono. Dice spesso che il pastore deve “avere l’odore delle pecore”. E lui, quell’odore, lo conosce bene.

Uno stile che parla (più delle parole)

Il linguaggio di papa Francesco è diretto, quotidiano, a volte perfino spiazzante. Usa immagini forti: “la Chiesa non sia un doganiero, ma un ospedale da campo”; oppure “non siate cristiani da salotto”. I suoi discorsi non sono solo documenti da leggere, ma inviti a cambiare vita.

La sua grande attenzione ai poveri, ai migranti, alla cura del creato (vedi l’enciclica Laudato si’) nasce da una visione profondamente evangelica: tutto è connesso, nessuno si salva da solo.

Allo stesso tempo, non mancano le critiche. Alcuni lo trovano troppo “aperto”, altri troppo esigente. Ma forse è proprio questo il segreto della sua leadership: non cerca il consenso, ma la coscienza.

Papa Francesco: un pontefice sinodale

Negli ultimi anni, Papa Francesco ha messo al centro della vita ecclesiale il cammino sinodale: una Chiesa che cammina insieme, ascolta, discerne. Non una democrazia, ma una comunità in cui ogni voce – laici, donne, religiosi, vescovi – conta.

Per lui, il Sinodo non è un evento, ma uno stile ecclesiale. Una Chiesa meno centrata su sé stessa, più capace di uscire, incontrare, lasciarsi ferire dalle domande del mondo.

Un papato che lascia il segno

Papa Francesco non è un “rivoluzionario” in senso politico. È un riformatore del cuore. Parla a una Chiesa chiamata a scrollarsi di dosso le abitudini stanche, per tornare a essere ciò che è: il popolo di Dio in cammino, fragile e santo, peccatore e salvato.

A chi gli chiede come si definirebbe, risponde: “Sono un peccatore su cui il Signore ha posato il suo sguardo”. Forse, in fondo, è questo il suo messaggio più forte. E più contagioso.

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