La corsa, la tomba vuota, la nostra fede
Il Vangelo di oggi parte piano, quasi in sordina: Maria di Magdala va al sepolcro e tutto si aspetta, meno che una tomba vuota.
È ancora buio, dice il Vangelo di Giovanni. Tutto è perduto, Gesù è morto. Eppure, Maria Magdalena non può aspettare. Non può attendere che sorga il sole, in fondo, che differenza potrebbe fare? Invece lei è già in piedi prima dell’alba, in cammino verso il sepolcro. E qui c’è il colpo di scena. Maria trova la tomba vuota.
La scena, improvvisamente accelera. Giovanni dice:
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Simone e Giovanni stesso la seguono, anche qui il Vangelo dice che corrono. Anzi, che uno corre più veloce e arriva prima:
Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Uno dei due arriva prima, l’altro lo raggiunge coi suoi tempi. Ma tutti e due constatano che la profezia della resurrezione si è avverata. Tutti e due credono.
Così ci viene raccontata la nascita della loro fede: correndo verso un sepolcro. Ma ancora più strano è quello che trovano: il nulla, una tomba vuota.
E da lì parte tutto.
Credere l’incredibile
Mettiamoci nei loro sandali: la pietra spostata, un corpo scomparso, dei teli piegati. Una situazione che non torna: loro hanno visto benissimo: Gesù era proprio morto. Il sepolcro era proprio stato chiuso con una pietra.
Cosa poteva essere successo? Molte cose, che avessero sottratto il corpo, ad esempio. Una ipotesi sicuramente più comprensibile, più credibile, più normale, per spiegare una tomba vuota.
Eppure, il Vangelo ci dice chiaramente che il discepolo amato guarda e… crede. Così, di colpo. Senza apparizioni, senza squilli di trombe, senza prove. Guarda il vuoto… e ci legge dentro la vita.
Ma in che cosa crede? E, soprattutto, in cosa credeva prima? Non era già convinto che il Maestro fosse il Messia? Eppure, lo aveva già seguito, nella sua predicazione per Giudea e Galilea. Forse che non lo aveva visto coi suoi occhi, fare prodigi e guarigioni di mali incurabili?
In cosa crede, Giovanni, dopo aver visto la tomba vuota? Lì Giovanni vede e crede. Crede che l’uomo straordinario con cui ha condiviso quei tre anni, era davvero il figlio di Dio. Ma prima non lo sapeva? Giovanni è come noi, crediamo di credere, ma a volte non abbiamo capito fino in fondo.
Il mistero Pasquale che ci interroga
A questo punto ci tocca dirlo: Pasqua è difficile.
Natale è comodo, Pasqua è scomoda. A Natale, Dio nasce bambino: tutti inteneriti, lucine, regali, va giù che è una meraviglia. In fondo nascere è naturale, è il modo in cui tutti veniamo al mondo. Nascere è una cosa che capiamo. Fa parte della nostra esperienza di vita.
Ma a Pasqua? Ci tocca credere che un uomo morto sia tornato vivo. E questo non fa per niente parte della nostra esperienza. Al contrario, siamo abituati a pensare che, una volta chiusa la tomba, chi è dentro là rimanga. Almeno per ora. Questo pensavano Giovanni, Pietro e Maria. Fino a che non trovano una tomba vuota.
Un mistero.
La tomba vuota ci chiama a credere nell’incredibile, senza pretendere prove, senza chiedere spiegazioni, senza cercare la logica.
La sfida della tomba vuota
E per noi, la sfida è ancora più ardua. Perché Giovanni: vide e credette. Mentre noi dobbiamo poter credere, senza ave visto una tomba vuota.
Ma è proprio lì, nel disagio, che la Pasqua diventa vera. Perché non ci chiede di capire tutto, ma di fidarci.
Come quel discepolo che, davanti a una tomba vuota, ha visto abbastanza per credere. Non aveva tutte le risposte. Ma aveva un cuore allenato a riconoscere l’amore, anche quando si traveste da assenza.
Pasqua non è fatta per chi ha bisogno di prove, logica, spiegazioni razionali. È per chi ha il coraggio di correre verso qualcosa che non capisce del tutto, ma che intuisce essere vero.
Per chi, pur sapendo che l’evidenza è tutta contro, osa dire: “Io ci credo lo stesso”. Credere è una corsa ad accettare l’inaccettabile. Per quello, come dice il Vangelo, qualcuno arriva primo e qualcuno dopo. Ognuno col suo ritmo.
E allora sì, magari ci sentiamo fragili, fuori moda, poco credibili. Ma anche vivi. Perché Pasqua è questo: una corsa verso un mistero che non si può spiegare, ma che accende il cuore.
Una fede che non si fonda sulle prove, ma sull’amore che non muore. Sulla convinzione che Lui ci abbia preparato un posto, là dov’è ora.
Alla fine, quella corsa non è poi così assurda. È la corsa di chi ha intravisto una speranza troppo grande per stare fermo.
