Idoli, falsi dèi, fedeltà

Vai al blog

I miei articoli:

Idoli, musica a palla e fornaci industriali: breve guida alla fedeltà secondo Sadrac & co.

Questa storia parla di idoli, di fedeltà e di fede. Ci troviamo nel libro di Daniele. Gli ebrei sono, ancora una volta, sconfitti e assoggettati a un popolo ben più potente.
È qui che inizia la storia che ci interessa.

C’era una volta, in un regno lontano, un re molto potente. Anzi, potentissimo. Si chiamava Nabucodònosor (che, già dal nome, si capisce che non può essere nell’esercito dei buoni).

Il re aveva una passione smisurata per due cose: se stesso e l’oro. Un giorno decise di unire le sue due passioni in un’unica, meravigliosa opera d’arte: una statua d’oro gigantesca di… boh, forse lui, forse un suo alter ego da red carpet.

Dettagli. La cosa importante era che tutti dovevano inchinarsi e adorarla, al suono di flauti, cetre, salteri, arpe e probabilmente anche una cover dei Queen.

Insomma, il primo festival di Sanremo idolatrico della storia. Ma non tutti si allinearono a questa singolare richiesta. Apriti cielo (e fornace).

I tre giovani che non adorarono gli idoli

Entra in scena il nostro trio di eroi: Sadrac, Mesac e Abdènego – tre nomi che sembrano la lineup di un gruppo folk. Tre giovani ebrei col coraggio in tasca e la schiena dritta.
Davanti al mega concerto idolatrico organizzato dal re, i tre dicono: no grazie, e sto. La loro Fede si fonda su un Dio misericordioso, ma per nulla disposto a tollerare derive idolatriche.
Caso mai i fedeli si distraessero, lui lo ha precisato più volte: io sono il signore tuo Dio, è il primo comandamento. Segue poi una istruzione ben precisa: non ti farai idolo, né immagine.

Il re va su tutte le furie. E quando un despota va in crisi di nervi, non lancia tweet, lancia gente nel fuoco. Questo è quello che concretamente rischiano i tre ragazzi, in un’epoca assai poco pacifica, in cui i diritti umani non sono stati ancora inventati.

Ma loro, con una calma che nemmeno in uno spot di tisane rilassanti, rispondono:

“Guarda, caro Nabu, il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non lo facesse, noi non ci inchiniamo. Tieniti pure il tuo idolo d’oro, noi teniamo la nostra coscienza.”

Boom. Applausi. Standing ovation. Anche da parte della fornace. Anche se… la tensione si alza e, da tavoletta apparentemente innocua, questo brano biblico si trasforma alla svelta in un thriller.

Una prova di fede… e fedeltà!

E qui viene il bello. Perché, diciamolo, non è che i tre si aspettino di uscirne con un applauso e una medaglia al valore.
Loro sono pronti a finire arrosto, pur di non rinnegare il proprio Dio. Non calcolano il risultato, non vengo a patti col tiranno. No idolatria, no party.

Ora, facciamo un salto di 2.500 anni

Oggi nessuno ci chiede di adorare statue d’oro. Gli idoli, però, esistono ancora. Hanno solo cambiato forma. Sono miliardari di aziende tecnologiche, campioni sportivi, attori pluripremiati e influencer con profili Instagram con filtri spinti. Questi idoli hano anch’essi le loro richieste: successo, denaro, popolarità, like, approvazione sociale, adorazione incondizionata, impacchettata in carta patinata.

E come allora, anche oggi, risuona la musica: non quella dei salteri, ma quella del “dài, è normale”, “così fan tutti”, “meglio non fare gli originali”.
E quando rifiuti di conformarti, qualcuno ti guarda storto, alza la temperatura della “fornace”. Ovvero non con fuoco e catene, ma con esclusione, giudizi, ironie, cancellazioni digitali.

Niente idoli, né compromessi

Allora servono schiene dritte. Serve gente che, come Sadrac, Mesac e Abdènego, dica: “Anche se ci rimetto, anche se resto da solo, non mi inginocchio a quello che so essere falso.”
Serve il coraggio di chi non accetta il compromesso per paura o quieto vivere, perché preferisce perdere tutto, piuttosto che perdere sé stesso.

E noi? Abbiamo davvero così tanto da perdere? O forse, in fin dei conti, il rischio più grande è proprio quello di salvarci… conformandoci?

Idoli