La responsabilità
Caro Padre, se non sbaglio, la Chiesa dice che due persone conviventi o divorziate-risposate, non possono fare la comunione. Che responsabilità hanno coloro che fanno la comunione perché un sacerdote li incoraggia in tal senso?
La tentazione è quella di non rispondere a questo tipo di domande perché mi fa pensare all’atteggiamento che hanno alcune pettegole che, invece di pensare a Chi stanno andando a ricevere (nell’accostarsi alla Comunione) si guardano attorno per farsi gli affari degli altri.
Siccome, però, conosco le intenzioni di chi pone la domanda, la cogliamo come un’occasione per rispolverare qualche piccola indicazione di buona prassi…
Anche considerato che ci stiamo avvicinando al periodo pasquale.
Importante, infatti, ricordare quanto la Chiesa insegna (nel Codice di Diritto Canonico al n° 920 nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 2042). Il terzo precetto generale della Chiesa così recita: «Ricevi il sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua»…
Questo è stato disposto al fine di garantire un minimo in ordine alla ricezione del Corpo e del Sangue del Signore nel periodo liturgico (le feste pasquali), origine e centro della liturgia cristiana.
Stato di grazia
Ovviamente, resta sempre valida la prerogativa dell’essere in grazia di Dio nell’accostarsi alla santa comunione.
È vero che nessuno può avere la certezza assoluta di essere in grazia di Dio, ma la certezza morale, quella sì. Ed è sufficiente!
Purtroppo, però, errate interpretazioni di insegnamenti pontifici inducono non pochi ad accogliere la possibilità che l’Eucaristia si possa ricevere anche da parte di divorziati-risposati: ma così non è.
So che la questione è alquanto spinosa, ma resta il fatto che la dottrina ecclesiale resta questa e non è stata riformata in tal senso. Se dovessimo assistere ad un cambiamento al riguardo, ci troveremmo davanti a situazioni assai complesse.
Esse aprirebbero inesorabilmente ad un decadimento nella prassi liturgica e alla demolizione delle indicazioni sacramentali volte a custodire la santità dei sacramenti.
La responsabilità di amministrare il sacramento
Non dimentichiamolo mai: i sacerdoti – dovremmo dire anche i vescovi – non sono i proprietari dei sacramenti, ma gli amministratori. E nessuno, pertanto, può, in base alla propria impressione, sensibilità o sentimento decidere chi ammettere oppure no ad un sacramento.
Di suo non esiste un diritto a ricevere il sacramento, che è e resta un dono impagabile della provvidenza divina.
Chi insegna l’errore, deve fare molta attenzione a quanto sta compiendo.
Colpisce, comunque, nell’esperienza (mia e di tanti), come troppe volte le persone, pur non avendo una particolare preparazione catechetica (magari per negligente responsabilità personale) percepiscano un fastidio di coscienza (che li mette in stato allerta), quando vien loro indicata la strada più semplice da percorrere.
Chi ha problemi circa la propria situazione matrimoniale e onestamente si pone il problema dell’accesso alla Santissima Eucaristia non si fida di chi propina situazioni facili e di compromesso.
Cercano, invece – e questo è paradossale – la parola di chi, pur dicendo loro che non possono, gli resta a fianco, al fine di aiutare in un cammino che mette in gioco tutto se stessi.
Non si tratta, quindi, di assecondare quello che, per alcuni, potrebbe essere un vezzo o un capriccio. Invece, si tratta di avere piena consapevolezza della realtà e del valore dei sacramenti.
L’aiuto per la coppia
Viene qui da ripetere che “Dio sa contare solo fino ad uno”: per dire che situazioni di tal genere non possono essere trattate in generale.
Ci vuole tutta l’attenzione che necessita una coppia (o un singolo), che avverte il dolore di una ferita nell’animo insanabile. Ferita nata dalla delusione di un amore che li ha spinti a scommettere la propria esistenza mentre si sono trovati del tutto defraudati.
In questi casi, un colloquio con un sacerdote capace di ascolto e accompagnamento è l’unico consiglio utile e valido che si può dare. Meglio lasciare ogni forma di giudizio lontana da noi sulle impenetrabili esistenze altrui.
PS
So che la risposta non è direttamente centrata sulla domanda, ma spero passi il messaggio che non tocca a noi stabilire le responsabilità altrui.
A noi devono interessare le nostre responsabilità, tra cui vi è quella di pregare, nel silenzio, per coloro che secondo noi sbagliano. A volte può aiutare un colloquio fraterno in cui si possa illuminare l’altro, ma ci vuole tanta delicatezza accompagnata sempre da tanta preghiera.
