LA CASTITÀ MATRIMONIALE
Caro padre, mi preme porle una domanda abbastanza intima sulla castità matrimoniale. Si rischia l’inferno se si decide di vivere un matrimonio casto, non per mera scelta, ma semplicemente
perché uno dei due partner non sente più quella comunione di animi che occorre
per vivere appieno l’intimità fisica?
Desidero dire che a domande così personali preferirei non rispondere perché si corre il
rischio della superficialità. Mi accingo, però, a farlo provando a non metter da parte
nessuno dei principi generali che la Chiesa insegna in materia di morale.
Lo faccio con il solo intento di aiutare a capire che certe questioni debbano essere trattate sempre personalmente con un sacerdote e non in generale. Ogni storia è particolare e, come mi piace sempre
ripetere, sono i particolari che fanno la differenza.
Ciò detto qualche input per la riflessione comune.
Scelte positive
Innanzitutto, penso sia sempre errato porre una questione a partire dal timore e dalla
paura. L’inferno è una tremenda realtà ma le nostre scelte devono essere sempre positive
e non frutto di una paura. Il criterio di ogni azione dovrebbe essere quello di capire cosa
sia buono, cosa sia giusto. Solo incidentalmente dovremmo valutare l’aspetto negativo: la paura, in
soldoni, non è mai una buona consigliera.
Mi si scrive “si decide”: ebbene, se a decidere si è entrambi, il problema non si pone. Nella
storia della Chiesa ci sono altre coppie che hanno deciso di vivere la continenza
matrimoniale (che è cosa diversa dalla castità matrimoniale). Di suo ogni cristiano deve
vivere la castità a seconda del proprio stato di vita: la castità per un religioso consisterà
nel non fare uso della sessualità mentre per una coppia la castità richiederà che ci sia un
uso della sessualità aperto alla vita umana.
Dando la parola al nostro faro nella fede, il Catechismo della Chiesa Cattolica (2349),
leggiamo che «la castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une
nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a
Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge
morale e secondo che siano sposate o celibi». Le persone sposate sono chiamate a vivere
la castità coniugale. Le altre praticano la castità nella continenza: “Ci sono tre forme della
virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della verginità. Non
lodiamo l’una escludendo le altre. […] Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è
ricca”».
E questo perché «ogni battezzato è chiamato alla castità.
La chiamata alla castità
Il cristiano si è rivestito di Cristo, modello di ogni castità. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta secondo il loro particolare stato di vita. Al momento del Battesimo il cristiano si è
impegnato a vivere la sua affettività nella castità» (CCC 2348).
Tra le coppie di sposi santi che hanno vissuto la continenza nel matrimonio eccelle, di
certo, la Vergine Maria e San Giuseppe.
A riguardo della Beata Vergine, contrariamente a quello che qualcuno vorrebbe oggi far credere, la Tradizione della Chiesa ci ricorda che è stata «vergine prima, durante e dopo il parto». La Sua Verginità non ha fatto altro che far esaltare anche di più la purezza del Suo Santo Sposo Giuseppe. A loro si aggiungono san Luigi e santa Zelia Martin (genitori di S. Teresa di Lisieux), santa Cecilia e san Valeriano,
santa Brigida di Svezia e Ulf Gudmarsson e i beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi.
Sulla totale continenza abbiamo certezza solo per San Giuseppe e la Beata Vergine: per il
resto, si può sia pensare che ci sia stato una totale continenza come nel caso di Cecilia e
Valeriano, ma anche una scelta maturata nel tempo e dopo aver messo al mondo dei figli.
La castità non può essere una decisione unilaterale
Quello che di sicuro è importante, stante la domanda, è che sono scelte decise insieme nella preghiera e nell’accompagnamento di un padre spirituale. Non si può arbitrariamente, e ancor più unilateralmente, decidersi per l’astinenza. Vero è che la vita di coppia può portare ad un certo appiattimento e la situazione descritta potrebbe ingenerarsi senza decisione previa. In caso, però, di difficoltà che potrebbero cagionare tensioni è fondamentale confrontarsi nel dialogo aperto e sincero.
La mancanza di una profonda “comunione di animi” non dovrebbe minare la donazione reciproca che è parte della natura stessa del matrimonio e che solo può essere negata per motivi assai gravi.
Mi rendo conto che la mia risposta possa apparire alquanto abbozzata, ma l’argomento è molto ampio oltre che estremamente delicato. Spero però di aver offerto qualche pista di riflessione.
L’intimità del corpo segue quella del cuore
Mi permetto, in ultimo, una constatazione di fatto e di ricordare una verità raramente
accolta. L’intimità profonda corporale – che non sia mera affinità sessuale – può solo
nascere da una precedente intimità spirituale. Essa si coltiva nel tempo tra due persone che,
prima ancora di essere coniugi, sono anche profondamente amici.
Questo è motivo per cui, nell’epoca in cui ci si fidanza alla velocità della luce e si va a letto con l’amico/a del momento, è bene ricordare ai più giovani che, prima ancora di dare anche solo un bacio, bisogna essere certi che l’altro/a sia il tuo migliore amico/a, che sei davanti ad una persona a cui puoi parlare di tutto, a cui sveli ogni angolo del tuo animo e a cui sei disposto a perdonare tutto perché tutto l’altro ti perdonerebbe. In fondo, l’amore, mandate a nanna le farfalle dello stomaco, è fatto di gesti carichi di concretezza: dedizione, attenzione, pazienza, ascolto, perdono… L’esercizio della sessualità, per pura volontà divina, ha un significato profondissimo, dal sapore eterno: basti pensare che ad esso è
legato il mistero della generazione umana.
