La storia del Padre Nostro
Se c’è una preghiera che tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito, recitato o sussurrato sotto voce in chiesa, è il Padre Nostro.
Parliamo di una preghiera che ha attraversato i due millenni della storia del Cristianesimo.
È approdata in tutti i continenti. Ha ricevuto traduzioni di ogni tipo ed è rimasta sempre al centro della spiritualità cristiana.
Cosa sappiamo veramente della sua storia? Sedetevi comodi e scopriamo insieme il dietro le quinte di questa preghiera tanto antica quanto moderna.
Un bestseller firmato Gesù
Non per farvi uno spoiler, ma il Padre Nostro ha un autore d’eccezione: Gesù Cristo in persona. La preghiera ci è arrivata direttamente dai Vangeli, dove è riportata sia nella versione di Matteo che in quella di Luca.
È come le hit che escono in due remix leggermente diversi: stessa melodia, parole quasi uguali, con qualche variazione sul tema. Matteo offre una versione più lunga e poetica (che è quella che recitiamo di solito).
Luca, invece, preferisce un approccio minimal.
Il Vangelo mostra che Gesù ha insegnato il Padre Nostro ai discepoli in risposta a una richiesta piuttosto diretta: “Signore, insegnaci a pregare”.
I discepoli cercavano una preghiera efficace e sintetica. Lui ha creato per loro un capolavoro. Meglio di qualunque copywriter, giornalista, scrittore.
La struttura: semplicità e profondità
Il Padre Nostro è una preghiera breve. Dura infatti circa quaranta secondi. Provare per credere! Eppure, nella sua brevità, ha una struttura incredibilmente ricca.
Inizia con una chiamata a Dio: “Padre nostro che sei nei cieli”. L’incipit è sia un gesto d’amore che un promemoria: Dio, sei il nostro genitore, quindi ascoltaci, ok?
Poi prosegue con sette richieste, che spaziano dal “venga il tuo regno” (che detta oggi potrebbe sembrare un invito a un reality show) fino al famosissimo “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. All’epoca voleva dire “provvedi a darci il necessario”. Oggi, nel nostro mondo del benessere, potremmo ampliare il concetto di necessario: “e magari pure una focaccia, una pizza, un supplì”.
La parte finale è un mix di speranza e saggezza: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Qui, Gesù alza l’asticella: perdonare gli altri non è proprio uno sport per tutti. Tuttavia, lui che è campione olimpico supermedagliato di perdono, ci invita a farlo, con il bonus che anche Dio farà lo stesso con noi.
Traduzioni e reinterpretazioni: il telefono senza fili della fede
La storia del Padre Nostro è strettamente legata alla traduzione, e qui iniziano i guai. Il testo originale era in aramaico, la lingua parlata da Gesù. Poi è passato al greco e al latino dell’impero romano.
Man mano che il cristianesimo si diffondeva nel mondo, c’è stata la necessità di tradurlo in molte lingue. In ogni passaggio, qualche sfumatura è andata persa, modificata o reinterpretata.
La versione greca del Padre Nostro
Il testo aramaico è stato tradotto in greco nel Nuovo Testamento, e qui iniziano i problemi interpretativi. Ad esempio:
• La parola epioúsios, che oggi traduciamo come “pane quotidiano”, non ha un significato chiaro. Potrebbe significare:
• “Pane necessario” (quello che ci serve per sopravvivere).
• “Pane soprasostanziale” (un riferimento più spirituale).
• “Pane per il giorno che viene” (un’allusione al futuro o al pane eucaristico).
È impossibile sapere quale sia l’interpretazione corretta. Forse lo sono tutte, a seconda del contesto.
La traduzione latina del Padre Nostro
Quando il cristianesimo si diffuse nell’Impero Romano, il Padre Nostro fu tradotto in latino, ed è questa la versione che ha dominato per secoli nella liturgia cattolica.
Il testo originale non ci è giunto direttamente, ma si ipotizza che il termine che traduciamo con “Padre” fosse Abba. Ovvero un’espressione affettuosa e intima, che significa qualcosa di simile a “papà” o “padre caro”.
Questo tono affettuoso si è perso nella traduzione latina. Lì Abba è stato reso con un più formale Pater, influenzando l’immagine di Dio come figura di autorità familiare.
Il termine presente nel testo greco: peirasmos vuol dire “tentazione”, ma anche: “prova” o “difficoltà”, suggerendo un ruolo meno diretto di Dio nelle tentazioni. invece, in latino fu tradotto come tentationem (“non ci indurre in tentazione”), trasmettendo l’idea che Dio potesse attivamente tentare l’uomo.
Il Padre Nostro in lingua Maori (Nuova Zelanda):
Qui la frase “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è stata tradotta come “Dacci oggi il cibo che ci basta”, una scelta che riflette l’importanza del concetto di sussistenza nelle culture indigene.
Il Padre nostro in Versione africana (Swahili):
Nella versione in swahili, “Padre nostro” diventa “Baba Yetu”, una traduzione molto vicina all’originale aramaico Abba.
Questo titolo è diventato famoso grazie alla canzone Baba Yetu del compositore Christopher Tin, che ha vinto un Grammy!
Versione giapponese
In giapponese, la frase “sia fatta la tua volontà” è resa come “il tuo desiderio sarà realizzato”. Una sfumatura che pone l’accento sul fatto che Dio è visto come un padre che desidera il bene dei suoi figli, piuttosto che un’autorità impositiva.
Il Padre nostro è la porta verso Dio
La porta di ingresso della Sagrada Familia, la celebre chiesa di Barcellona, ha una decorazione molto particolare. Opera di un artista locale, la massiccia porta di bronzo reca inciso il padre nostro, tradotto in 50 lingue. La frase tradotta in italiano è: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
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