Parthenope: una occasione perduta

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Parthenope

Anche io ho visto Parthenope, l’ultimo film di Sorrentino. Sarà che a me, a vedere i film dei registi intellettuali non mi ci dovete portare.
Perché io non ci capisco niente di filmografia rarefatta ed esistenzialista.

D’altro canto, sono una massaia normodotata, voglio la love story, il lieto fine, i cattivi dietro le sbarre. Io voglio messaggi rassicuranti. Uno fra tutti: non importa quanto l’uomo riesca a cadere in basso. Esiste sempre una possibilità per riscattarsi, per rimediare, per perdonarsi ed essere perdonati.

Parthenope non è roba per me. È un film che viene meno alla promessa di ogni prodotto dell’arte o almeno dell’ingegno umano: renderci persone migliori.

Un film senza trama e e senza morale

La storia non ha una trama. Pare che, nel caso di Sorrentino, non sia una novità. Direi che, tutto considerato, è il minore dei problemi.

La storia non decolla mai, anche se succedono parecchie cose e la vicenda abbraccia tutta intera la vita della protagonista.

L’unico altro film di Sorrentino che avevo visto era: la grande bellezza. Anche quello non aveva capo né coda, ma almeno era più leggero, a tratti divertente. Parthenope no, è un macigno gettato a tradimento sullo stomaco del povero spettatore.

Ovvero quell’ospite pagante, che, speranzoso, si sciroppa tutto il film, nella speranza che arrivi il quid.

Il colpo di scena, o comunque l’evento che dà un senso a tutto. Il filo rosso che tutto riconcilia. L’eterna ricerca di senso. Quello che da bambini conoscevamo come: la morale della favola.

Non importa quante il protagonista ne debba passare, quanto debba soffrire e disperarsi. Alla fine della storia, tutto ha avuto un senso. La morale l’ha spiegata meglio di tutti San Paolo: tutto concorre al bene.

Parthenope, galleria di miserie umane

La cifra peculiare di questo film è la pesantezza. È un film greve, stomachevole, in cui all’innocente spettatore, ostaggio per due ore e mezzo, vengono propinati: incesto, suicidio, aborto, camorra, blasfemia, promiscuità sessuale.
Intendiamoci, l’abisso della miseria umana non lo ha inventato questo film, né questo regista.

Ma che senso ha toccare il fondo, mandare in scena il peggio che l’uomo può fare, senza che tutta questa atrocità sia riscattata da un messaggio di speranza, senza una possibilità di redenzione?

Per questo film, infarcito di slogan e aforismi a favor di citazione, sono più che mai vere le parole di Nietzsche: se guardi troppo a lungo nell’abisso, alla fine, l’abisso guarda in te.

E non a caso, questo film sembra un manifesto del nichilismo attuale, in salsa estetizzante. Perché Parthenope è molto bella. Anzi, è bellissima. Splendida è anche Napoli, che impreziosisce il film con scorci e panorami mozzafiato. Ma a cosa serve la bellezza, se poi è la causa del perdere sé stessi?

Parthenope non è un film rigoroso

Veniamo al film. La storia inizia nel 1950 e viene narrata fino al 2023. Settant’anni in cui ci si veste sempre allo stesso modo, si usa la stessa pettinatura, lo stesso trucco.

Si attraversano decenni caldissimi per la storia e la cultura italiana, in maniera trasparente: un’unica modesta scena ricorda le proteste studentesche del 68.
Nessuna traccia delle tensioni sociali, culturali, delle battaglie civili di quei tempi.

I personaggi

I personaggi sono figurine all’ombra di lei, Parthenope. Il comandante, che, oltre a sceglierle il nome, non ha alcuna importanza nell’economia della sua vita.
I genitori, che sembrano più che altro coinquilini, per nulla partecipi della vita dei figli.
Il fratello, in cui si intuisce una qualche inquietudine, che nessuno indaga, né vuole curare.

E poi lei, Parthenope, che è soprattutto bella, ma poi non si sa che altre doti abbia.

Non si capisce se sia una svalvolata che non sa quel che fa e dice o una che si finge intelligente, per mascherare il proprio vuoto cosmico, dietro brevi frasi enigmatiche. Non scopriamo quali siano i suoi valori- se ne abbia- né quali siano i suoi progetti e obiettivi di vita.

Sembra anzi che si lasci vivere, trascinata da eventi per lo più negativi e incontri sbagliati, a cui non sa o non vuole sottrarsi.

L’unica persona normale, il fidanzato della giovinezza, lei lo tiene a debita distanza, finché il poveretto se ne va e (si spera) si fa una vita altrove.

Tutto il resto è una galleria di orrori, di circostanze scabrose e di casi umani, da cui qualunque persona sana di mente si terrebbe alla larga. Ma non lei.

Parthenope, al contrario, più la situazione è squallida e più ci sguazza. La sua vita, come tutto il film, sembra una gigantesca occasione sprecata.

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