Questi sono i cinquant’anni

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C’è vita dopo i cinquant’anni?


Da quando ho compiuto i cinquant’anni (sembra ieri e invece sono già due anni e mezzo), ho cominciato a chiedermi sé quella decade fosse una tappa speciale. Se avere cinquant’anni sia un’età più interessante, più tragica o più cruciale della vita, di quanto non lo siano i trent’anni o i quaranta, o qualunque altra tappa anagrafica.

Sono portata a pensare di sì, visto che ai cinquant’anni sono dedicati molti film e libri (Paura dei cinquanta, di Erika Jong, Questi sono i 50 di Guia Soncini). A quest’ultimo libro vorrei dedicare la riflessione di oggi

I cinquant’anni e i cinquantenni

La Soncini, che ci ha abituato ad analisi pungenti sulla contemporaneità, si dedica qui al ritratto dei cinquantenni di oggi.
In che cosa avere cinquant’anni oggi è diverso, dall’’averli avuti nelle generazioni precedenti?

La mia generazione-coloro che oggi hanno circa cinquant’anni – non ha combattuto guerre mondiali, non ha scoperto la relatività, né si è resa protagonista di imprese così memorabili per la storia umana. Il nostro più tipico lascito al futuro è la nostalgia.

La tentazione della nostalgia

Se la nostalgia è un sentimento antico, la mia generazione lo ha comunque feticizzato. Questo spiega l’ossessione dei cinquantenni per i vecchi film, le magliette con le scritte, le pubblicità vintage. Al fondo di tutto, c’è la difficoltà di una generazione, a diventare adulta, in un perenne appiattimento verso il basso, che fa sì che chi ha cinquant’anni si vesta come chi ne ha quindici, abbia li stessi cantanti preferiti e spesso gli stessi comportamenti.

Tra riferimenti che spaziano dai classici della letteratura e del cinema ai meme di Instagram, Soncini disegna un mosaico di scene quotidiane in cui è facile riconoscersi.

Pagina dopo pagina, si passa dai commenti su tic e mode contemporanee — imperdibile il capitolo intitolato: l’ora di religione — a riflessioni più profonde su come cambiano le priorità con il passare degli anni.
Si scorrono i drammi della nostra gioventù alle nuove “tragedie”, molte delle quali sono figlie di quel che l’autrice chiama: revisionismo retrospettivo.

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