Avere o essere?

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Avere o essere? Questo è il dilemma

Ho letto per la prima volta: Avere o essere, di Erich Fromm nell’estate dell’88. Il libro era già in circolazione da oltre un decennio. Se ne era parlato e scritto molto.

In quella remota epoca senza internet, c’erano limitate possibilità di farsi un’idea di un libro, senza averlo letto. Non c’era chat GPT, non c’era wikipedia, non c’erano i book blogger. Era un’epoca così diversa, che, a ripensarci adesso, pare quasi incredibile. Le estati della mia adolescenza sono state calde, lente e lunghissime. Una cosa che non mancava, era il tempo. Anzi. Ce n’era sin troppo.

C’era il tempo di annoiarsi, uno di quei lussi ai quali la vita adulta ti disabitua subito. oggi non avrei tempo per annoiarmi. Se anche mi avanzasse qualche prezioso minuto, privo di attività immediate, probabilmente lo passerei dormendo.

Avere o essere è il dubbio amletico di oggi

Grazie all’abbondante tempo libero, nell’adolescenza mi sono dedicata alla lettura matta e disperatissima. Non avevo praticamente niente altro da fare. Avere o essere aveva un grande fascino ai miei occhi: era un libro scritto da un filosofo.

Si trattava di un sapere esistenziale, di una lettura colta. Un altro lusso a cui da adulti abbiamo presto rinunciato. Noi che, fiaccati dalla vita, ora nella lettura cerchiamo soprattutto intrattenimento ed evasione. In più, era un libricino di circa cento pagine. Insomma, Avere o essere era perfetto, mi faceva sentire intelligente, senza troppo investimento intellettivo.

Conservo un vago ricordo del testo. La domanda che pone, resta attualissima. Forse ancora più attuale oggi, che ai tempi in cui è stato scritto. Se Shakespeare ambientasse l’Amleto nella nostra epoca, probabilmente lo farebbe interrogare non sull’essere o non essere, ma proprio su avere o essere.

Due distinte visioni della vita: avere o essere?

Come aveva già intuito Fromm, la realtà non si può tagliare con l’accetta. Non si può solo possedere, o solo essere. Chiunque sia, deve pur possedere qualcosa. E chiunque possieda qualcosa, è comunque qualcuno, una persona. Allora, che senso ha chiedersi se sia meglio avere o essere? La questione non riguarda tanto la scelta di rinunciare ai beni materiali. Scelta che comunque non era nuova, nella storia della filosofia.

C’è stato qualche filosofo che ha predicato l’ideale di vivere con l’indispensabile. Si tratta di Diogene, filosofo cinico del quarto secolo. Diogene a un certo punto aveva rinunciato perfino alla sua unica ciotola di legno, visto che un ragazzo beveva usando l’incavo delle proprie mani. Diogene credeva che i beni materiali distraessero dalla ricerca della sapienza, virtù tutta umana.

Poi sono arrivati gli eremiti cristiani, che hanno dato a questa intuizione una dimensione molto più profonda. La ricerca della ricchezza e del successo allontanano gli uomini non solo e non tanto dalla sapienza, quanto da Dio. Ci tengono ancorati sulla terra, invece di farci guardare verso il cielo.

Lo stesso Erich Fromm, parlando di rinuncia agli oggetti, cita proprio il vangelo: «Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, colui la salverà. Infatti, che giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto o rovinato se stesso?» (Luca 9,24-25).

Erich Fromm cita Gesù in più parti di Avere o essere. Questo lo ha reso immediatamente simpatico alla me di trentasei anni fa, che aveva già in antipatia i filosofi atei e anticlericali.

Scegliere nella vita di ogni giorno

Se già rinunciare a ricchezza e comodità era difficile al tempo degli eremiti, quando di beni materiali ce n’erano ben pochi, figuriamoci oggi, nel pieno della nostra epoca del superfluo.

Ci pensavo l’altro giorno. Ero nel bel mezzo di una delle ennemila puntate in cui divido il cambio di stagione. per me è un’incombenza cosi fastidiosa, che la tollero solo se la faccio a rate. Praticamente, metto via l’ultimo vestito estivo un paio di settimane prima che mi serva di nuovo.

Ieri contavo i pantaloni, le magliette, i golfini. Non serve un genio in matematica, per vedere che sono troppi, rispetto alle mie vere necessità. chi ha bisogno davvero di mille mila magliette? A chi servirebbero sette paia di pantaloni neri, praticamente identici, al netto di qualche piccolo dettaglio?

Non si tratta di demonizzare il possesso in sé. Il problema non è avere poco o molto, ma far dipendere le nostre azioni dal desiderio di possedere.

Quante cose accumuliamo senza motivo?

E non vale solo per gli abiti. Non potremmo fare a meno di creme idratanti, sieri antirughe, maschere rimpolpanti, peeling, prodotti contorno occhi, dato che tanto si invecchia lo stesso? (non ditelo alle multinazionali del cosmetico, ci resterebbero male. Loro hanno speso patrimoni per convincerci che un velo di crema ogni sera, potesse fermare il tempo sul nostro viso).

Quando abbiamo traslocato dalla nostra prima casa in quella attuale, non siamo riusciti a disfare tutti gli scatoloni. Malgrado la nuova casa fosse più grande, ci sembrava che non ci fosse spazio per tutto. allora abbiamo temporaneamente conservato gli scatoloni in cantina. oggi, a ventitré anni di distanza, gli scatoloni sono ancora lì.

Prova lampante, per mio marito, che tutte quelle cose avremmo potuto buttarle via ventitré anni or sono. Senza nemmeno darci la pena di inscatolarle e trasportarle fin qui. Ho difeso per anni l’assoluta indispensabilità di quegli scatoloni, ma ammetto che nemmeno mi ricordo più cosa contengano. E senza quegli oggetti, la nostra vita è andata avanti benissimo.

Quante cose accumuliamo senza motivo? Solo perché pensiamo che ci facciano stare meglio, che averle possa influire sul nostro (ben)essere?

Il potere dell’amore

Troppo spesso ci attacchiamo morbosamente ai beni materiali. Ci sembra debbano dire chi siamo. Quel che compriamo, dovrebbe provare il nostro buon gusto, il nostro benessere economico, la nostra realizzazione esistenziale. Spesso la gente compra cose che crede le servano per dimostrare qualcosa agli altri.

Pensiamo che si debba possedere, per rivendicare il diritto di essere. O per sembrare molto meglio di quello che siamo. Questo ci dice quanto siamo fragili, bisognosi di conferme esterne per convincerci di valere, di essere qualcuno.

Tutta la nostra tendenza al possesso, è un enorme grido, per attrarre l’attenzione. E’ un bisogno di ricevere uno sguardo amorevole, genuinamente interessato a noi. Chi si sente amato, non ha bisogno di molto, per essere felice.

Ciò che si può possedere, è strumento per ottenere la felicità. Cerchiamo il successo, perché vogliamo che gli altri ci ammirino. Vogliamo dimostrare, con le nostre ricchezze, che siamo persone straordinarie, di valore, degne di attenzione. Crediamo di meritarci l’amore, mostrando quello che abbiamo guadagnato o acquistato.

Colmare un vuoto d’amore

Ci facciamo regali costosi, per sopperire alla mancanza di amore. Ci avete fatto caso? Questa epoca ha creato l’idea bislacca di regalarsi le cose da soli. Dietro a questa spinta all’auto-regalo, si vede quello che ci manca davvero. Non gli oggetti che compriamo, ma qualcuno che abbia il pensiero amorevole di regalarceli.

E quindi, l’avere sostituisce l’essere. Nel caso specifico, l’essere amati. Eppure, abbiamo esempi meravigliosi di come avere non c’entri con l’essere. Gesù è stato l’eroe dell’amore, un eroe senza ricchezze né potere. Un uomo che non ha mai usato la forza, non ambiva al dominio sugli altri, non voleva possedere alcunché. Il Cristo è stato un eroe dell’essere: santo, buono, misericordioso, fraterno, amorevole.

Queste sue caratteristiche hanno esercitato una profonda attrazione sui poveri del suo tempo, ma anche su alcuni dei ricchi che sentivano il limite di una vita vissuta in modo materialistico. L’amore è la dimensione essenziale dell’esperienza umana.

Diceva San Giovanni Paolo II: L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente.

E anche San Paolo ci ha insegnato che, fra tutte le virtù, l’amore è la più importante!

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