Il sacerdote risponde – rubrica (quesito 1)
Oggi affrontiamo il quesito 1, inaugurando una sorta di rubrica. Padre Enzo si è generosamente prestato a rispondere alle domande dei fedeli sui temi più vari.
Da quando ho cominciato a scrivere per il blog, ho ricevuto molti messaggi e mail con domande di argomento religioso o morale, in senso lato. Purtroppo non ho le competenze e nemmeno l’esperienza per rispondere su argomenti di questa natura.
Ne riconosco però l’importanza, e, volendomi rendere utile, ho pensato di proporre a Padre Enzo di rispondere. Lui ha avuto la bontà e la generosità di distogliere un po’ del suo tempo dalle mille cose di cui già si occupa ogni giorno, per dare aiuto a chi abbia dubbi e non sappia a chi chiedere.
Cominciamo con il quesito numero uno, rivolto a Padre Enzo e piuttosto comune: come un cattolico debba comportarsi in tema di perdono.
Quesito 1: il perdono (Padre Enzo Vitale)
Qualcuno direbbe che “qui casca l’asino!”
Il perdono è misura della verità del proprio essere cristiani, la controprova del vero o falso desiderio di voler seguire il Cristo. Sul tema drammatico del perdono ogni ipocrisia, falso moralismo e cattolicesimo di facciata si sfalda, perdendo di consistenza, perché è messa a nudo la tragicità della
propria condizione di esseri fallibili e deboli.
Davanti alla richiesta di perdono si misura la forza dell’umano: perdonare è caratteristica eminentemente divina che deve essere assunta da noi poveri peccatori, per poter dare perdono.
Da soli sarebbe impossibile impregnati come siamo della primitiva legge del taglione: occhio per occhio dente per dente.
È facile constatare che è più capace di perdono colui che l’ha per primo ricevuto.
Se dovessimo mettere a confronto le religioni (che non sono per niente tutte uguali!… e anche questo tema lo dimostra) tra gli elementi di unicità del cristianesimo c’è, senza dubbio, il perdono incondizionato richiesto dal Cristo.
Gesù e il perdono
Il Signore Gesù, interrogato a riguardo delle volte in cui bisognava perdonare non usa mezzi termini:
«Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt 18, 21-22).
E attenzione: il continuo di questo brano evangelico assume dei toni drammatici. Infatti, chi
non è capace di perdonare è definito dal padrone – chiara immagine del Signore che
rimette il debito – “malvagio”:
«“Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”» (Mt 18, 32-32).
E questo ci deve far riflettere tanto!
Detto tra noi, di solito, sono proprio coloro che mostrano maggior incapacità al perdono ad essere anche più cattivi. I buoni (che nella nostra bella Italia passano per “fessi”) sono invece inclini a passar sopra, ad andare oltre, prendendo coscienza che il senso vero del perdono sta nella consapevolezza che l’altro, per quanto cattiva possa essere stata la sua azione, vale più dell’offesa, del disprezzo e del danno arrecato.
Perdono e colpa, nelle parole di Benedetto XVI
Alcuni non riuscirebbero a compiere il male per mancanza di vigore, ma se si è virtuosi (cioè forti), allora si è capaci di indirizzare tutta la propria forza verso il bene e non verso il male.
Per Benedetto XVI (in Gesù di Nazaret, I, Rizzoli – Bur, Milano 2011, pp. 190-191):
«La colpa è una realtà, una forza oggettiva; essa ha causato una distruzione che deve essere
superata. Perciò perdonare deve essere più di un ignorare, di un semplice voler dimenticare.
La colpa deve essere smaltita, sanata e così superata. Il perdono ha il suo prezzo – innanzitutto per colui che perdona: egli deve superare in sé il male subito, deve come bruciarlo dentro di sé e con ciò rinnovare se stesso, così da coinvolgere poi in questo processo di trasformazione, di purificazioni interiori, anche l’altro, il colpevole, e ambedue, soffrendo fino in fondo il male e superandolo, diventare nuovi.
A questo punto ci imbattiamo nel mistero della croce di Cristo».
Il dono di perdonare
A me piace leggere nell’etimologia della parola perdono il fatto che lo si faccia, appunto “per-dono”, come un regalo (sempre) immeritato all’altro: il perdono non ristabilisce l’equilibrio, ma va oltre. Con la misericordia di cui è ricolmo il perdono, il male generato nel mondo è superato in modo da rendere tutto il creato più buono di quanto era a causa del male diffuso.
E se non bastasse, ricordiamo anche che nella preghiera del Padre Nostro diciamo a Dio:
«rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
Se non vogliamo perdonare perdiamo anche il diritto di dire la preghiera insegnataci da Gesù.
Ringraziamo Padre Enzo per aver inaugurato col quesito 1 questa rubrica. Per sottoporre le domande al sacerdote, scrivete a: anna.porchetti@gmail.com, indicando nell’oggetto della mail: “Quesito per il sacerdote”
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