Uomini di potere e tradimento
Vi ricordate Monica Lewinsky? Correva l’anno 1995. Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti, finì nella bufera per una relazione con una giovane stagista della Casa Bianca. Trent’anni dopo, con le debite proporzioni, qualcosa di simile succede a un ministro italiano. In questi giorni, deve giustificare una relazione. Lei forse è una consulente o forse no.
Tanti si interrogano se sia stata pagata con soldi pubblici. A me non turba l’idea che il ristorante, il Freccia rossa, o l’Easy Jet alla signorina siano stati pagati dai contribuenti, unicamente per la simpatia suscitata in un ministro. Non è accettabile, intendiamoci.
È eticamente sbagliato che chi ha un ruolo istituzionale, dia un incarico a un amico, un parente, un simpatizzante. Eppure, la cosa è sempre accaduta. Scandalizzarsene sarebbe da ingenui. Il nepotismo esiste da secoli, è trasversale, istituzionalizzato, largamente diffuso.
Lo abbiamo praticamente messo in conto. Purché la persona individuata almeno non faccia danni, accettiamo pure il parente, l’amico, il raccomandato. Quello che invece non considero accettabile, è il tradimento coniugale.
Tradire gli impegni
Nel 1995, quando tocco’ a Clinton, non era una questione economica.
La Lewinsky era stagista. Non fece carriera alla Casa Bianca. Durante il suo stage, non ottenne nessun vantaggio personale. Li ebbe dopo, scrivendo una biografia e rilasciando decine di interviste e presenziando a decine di talk show.
Clinton si mise nei guai, non perché avesse pagato l’amante coi soldi dei contribuenti americani. Lo scandalo era un uomo sposato, che s’infatua di un’altra donna. Un uomo che ha giurato fedeltà alla moglie e alla nazione. E se tradisce la prima, tradirà anche la seconda. Almeno per la mentalità americana.
Noi italiani non abbiamo di queste preoccupazioni. Forse perché non ci aspettiamo fedeltà alla nazione, dai nostri politici. Eppure, le scappatelle coniugali sono comunque il tradimento di un impegno importante, che si dovrebbe onorare sempre. Il tradimento mostra l’inaffidabilità e la scarsa qualità etica di chi lo compie.
Il tradimento per capriccio
In entrambi i casi di cronaca, il tradimento avviene per motivi futili.
Le donne al centro dello scandalo sono dei diversivi. Sono motivo di interesse passeggero, di un capriccio. Clinton, dopo Monica, tornò dalla moglie, con cui è ancora regolarmente sposato. Il ministro italiano ha specificato che non lascerebbe la moglie per nulla al mondo.
E le due amanti ne erano perfettamente consapevoli. Nessuna delle due ha protestato: ma come, mi avevi giurato amore eterno, sognavo di darti dei figli e di invecchiare al tuo fianco!
Non emerge, in questa storia, alcuna implicazione affettiva.
I motivi del tradimento
Viene allora da chiedersi: perché? perché, se ci si è presi un impegno coniugale, che non si vuole mettere in discussione, si cercano situazioni illecite? Perché non rispettare le proprie promesse?
Clinton vive nel paese con tassi di divorzio altissimi, eppure è assieme a sua moglie dal 1975. Non si è separato nemmeno a fine mandato, nemmeno nei vent’anni successivi.
Il ministro italiano non si è separato e non intende farlo. Questi uomini tengono al loro matrimonio, anche se non abbastanza da mantenersi fedeli?
Sullo sfondo di questi quadretti familiari sbiaditi, rimane l’eterna questione della meschinità umana, della conquista fine a sé stessa. Cosa hanno rappresentato queste donne, nell’economia sentimentale degli omuncoli di potere che le hanno frequentate? Cosa rappresenta in questo contesto il tradimento?
E che cosa hanno rappresentato questi uomini per le due donne? ascensori sociali, occasioni di notorietà, scorciatoie professionali? Uomini non amati, che non le amano. Donne che assecondano l’antica e ancora radicata logica della seduzione come unico strumento di successo femminile, alimentando uno stereotipo che danneggia tutte le donne.
Un bullo, una pupa, una storia triste
Fra i due, nessuno è vittima. Nessuno ha ingannato, né è stato ingannato. Nessuno è in buona fede, o prova sentimenti sinceri. Nulla sarebbe accaduto, se ciascuno dei due non avesse posseduto qualcosa da cedere: se lei fosse stata brutta o lui non avesse contato niente.
Completano il quadro le prove raccolte e poi rese pubbliche. Per la Lewisky fu un abito, macchiato di liquidi biologici del presidente. Per la vicenda attuale ci sono registrazioni, e-mail e video. Tutte cose di cui non abbiamo bisogno. Crediamo alla tresca sulla parola. Dopotutto non è nulla di nuovo: il maturo uomo politico, la donna più giovane, ma tutt’altro che sprovveduta, l’ambizione, la vanità.
Una storia brutta e vecchia. Frutto di quella mentalità del passato, che considera il matrimonio uno status, un’abitudine, una circostanza anagrafica. E non, invece, di un patto basato sull’amore e sul rispetto per l’altro. Eppure, oggi più che mai, il matrimonio è una scelta, non un obbligo sociale. Come scelta, ha a che fare con la volontà, prima che con la giostra delle emozioni, delle occasioni da cogliere, dei divertimenti.
Le vere vittime del giochino sono coloro che non vi hanno partecipato. Ovvero, tutte quelle persone che si fanno avanti per merito, si costruiscono una reputazione, prendono decisioni professionali, senza essere guidate da interessi personali.
Un bullo, una pupa, una storia triste. In questo pasticcio non c’è abuso di potere o prevaricazione. C’è solo l’incontro di due egoismi.
Uno scambio di tipo commerciale: io ti do e tu mi dai. Una dinamica in cui un uomo baratta briciole di potere, per avvicinare una donna attraente. E una donna si rende disponibile, sperando in vantaggi che non merita.
Due persone che si usano vicendevolmente, senza alcun rispetto per l’umanità e la dignità di sé stessi e degli altri. Il fatto che sia consensuale non lo normalizza, né lo rende meno triste. Chiamala se vuoi, oggettivazione.
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