L’inutile idea del merito

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L’inutile idea umana del merito

Di come l’idea del merito sia da sempre un inganno per gli uomini (e ultimamente se n’è accorta anche la pubblicità)

Sabato sono tornata dalle vacanze. Ritenevo di essermele meritate, in un anno in cui non sono mancate le difficoltà e le preoccupazioni. Il che, a pensarci bene, è una idea del tutto bizzarra. Perché il fatto di aver affrontato qualche problema, mi darebbe il diritto alle vacanze o a qualunque altra forma di risarcimento emotivo?

Davvero la vita ci deve qualcosa, se ci sottopone a qualche sofferenza? Dio ci misura in base ai nostri meriti? In teoria ci diciamo di no, ma poi ci aspettiamo che Dio ne tenga conto, e ci dia qualche forma di risarcimento, di ricompensa, di premio.

Meritocrazia e cellulite

Poche cose ci stanno a cuore come il merito. È popolare almeno quanto la cellulite. A entrambe dedichiamo grande attenzione, quasi ci ossessionano. Ci pensiamo continuamente. La differenza è che il merito è buono e va perseguito sempre. Invece la cellulite è sempre cattiva e bisogna combatterla con tutte le forze e ogni rimedio a disposizione.

La meritocrazia è alla radice delle nostre convinzioni. Lo diciamo tutti: vado in vacanza per un meritato riposo. Una promozione per meriti. Un gesto meritevole. Nell’economia delle nostre vite, il merito è la moneta di scambio, per acquisire ciò che ci spetta. In fondo, ce lo meritiamo, perché ci siamo impegnati.

Il merito è un concetto sopravvalutato

Il merito è un concetto così sopravvalutato che lo prende in prestito la pubblicità. Chi vuole venderci qualcosa, ci dice che ce la meritiamo. Non importa che costi tanto, che non ci serva davvero, che non valga il suo prezzo. Dirci che ce la meritiamo, soddisfa la nostra vanità. Ci fa passare sopra a tutto.

Se ci meritiamo qualcosa, allora è nostra di diritto e privarcene equivale a subire un’ingiustizia. Ce lo dicono i grandi esperti di motivazione: ti meriti il meglio! Ma funziona davvero così?

Gesù e il centurione meritevole

Il Vangelo di ieri (Rito ambrosiano) mi ha chiarito le idee. L’episodio è abbastanza semplice. C’è un centurione, uno di quei soldati, che rappresentavano l’autorità dell’Impero Romano nelle province della Giudea e della Galilea. Ci troviamo a Cafarnao, un villaggio sul lago di Tiberiade, quello che nel Vangelo si chiama: mare della galilea. È un giorno come tanti, e un servo del centurione è ammalato. Luca non ci dice molto di più, ma deve essere una malattia seria. Il centurione ci tiene a lui, si preoccupa. Ha sentito parlare di Gesù e gli chiede aiuto. Sa che ha compiuto molti miracoli.

Allora gli manda degli anziani, per chiedergli la guarigione. Gli anziani si prestano a fare da portavoce, non tanto per motivi umanitari. Probabilmente del servo non gli importa più di tanto. Tuttavia, verso il centurione si sentono in debito.

Infatti, quando vanno da Gesù, gli dicono: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».  Non gli dicono: guarisci il servo, è giovane, è un padre di famiglia, sta molto male.

Loro pensano che la guarigione sia un favore dovuto, perché il centurione ha costruito la sinagoga. In fondo, se lo merita.

Merito o fede?

Gesù non sta a cavillare. Invece, si mette in marcia, per andare a visitare il malato. Quando il centurione viene a saperlo, gli invia altra gente. Gli dice di non scomodarsi ad arrivare fin lì. Gli manda a dire: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito.».

Il centurione non ritiene che la guarigione gli sia dovuta. Non pensa di meritare il meglio, come ci sentiamo dire oggi. Quello che chiede non pensa di esserselo conquistato, ma confida nella misericordia di Gesù. E infatti, Gesù se ne meraviglia. Dice: «neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E guarisce il servo, senza aver nemmeno mai incontrato il centurione. Senza sapere chi sia, che faccia abbia, senza aver varcato la soglia di casa sua. Nemmeno un caffè insieme, per fare due chiacchiere!

La logica dell’amore

Quindi va bene tutto? Possiamo smettere di comportarci bene, tanto il Signore non misura il merito e dà tutto a chi glielo chiede? Allora, chi fa il furbo alla fine ci guadagna! Che ne è della giustizia?

Potremmo essere tentati di pensarla così. Ritenere che in fondo sia inutile essere buoni, non c’è niente da guadagnarci. Lo pensiamo, perché non riusciamo a uscire dalla nostra logica della meritocrazia umana.

Dobbiamo invece entrare in una logica di amore più grande. Dio non è un mollaccione che non ce la fa a essere severo fino in fondo. Non è uno che abbozza, che si fa andare bene tutto. Dio non è buonista, né benaltrista.

La ragione per cui ci ricolma di doni, al di là del nostro merito, è che ci ama di un amore incondizionato. Un amore che non ha bisogno di prove di forza o di abilità, né di conferme. A Dio non serve la lista delle buone azioni. Anche perché, se così fosse, starei fresca, io che sono la regina dei buoni propositi irrealizzati.

È confortante essere amati da un Padre che non ti chiede nulla in cambio. Nemmeno di essere bravo. Neanche di provarci.

Non vuole gloria per sé, non vuole poter dire che ha un figlio straordinario, che fa bene tutto e si merita il meglio. A lui sta a cuore la nostra fede, la nostra felicità, la nostra salvezza. La moneta della relazione con Dio non è il merito, come fra gli uomini, ma l’amore. A Lui basta solo una parola per salvarci.

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