Lunga vita alla metafisica

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L’incanto della metafisica

In principio c’era Aristotele. O meglio, non proprio in principio. Prima di lui c’erano stati gli Ioni: Talete, Anassimene e Anassimandro, che si interrogavano su quale fosse il principio vitale da cui ogni cosa traeva origine. Poi è venuto Democrito, con la sua geniale intuizione sulla materia composta di atomi. Anche Platone si è interrogato sull’origine del mondo, consegnando ai posteri l’idea suggestive di una realtà plasmata da un grande artigiano, il demiurgo.

Platone aveva anche immaginato un luogo metafisico. Lo aveva chiamato iperuranio. Lì aveva immagato che fossero conservate le idee, ovvero I modelli perfetti e assoluti di ogni cosa che esista sulla terra. Ma la metafisica è nata con lui, con Aristotele. È lui che, da metodico osservatore della realtà, prima si è concentrato sulla fisica, ovvero sulla natura, e poi sulla metafisica. Che è tutto quello che sta oltre, al di là della natura. Al di là di ciò che vediamo e tocchiamo.

Uno, nessuno o centomila? La metafisica

Da allora, la metafisica è diventata quella parte del pensiero umano che si occupava di cose intangibili, invisibili, trascendenti rispetto agli oggetti fisici. Era la ricerca della struttura universale, da cui discende ogni aspetto sensibile, visibile, tangibile. Potremmo chiamarla ricerca di Dio, se non sapessimo con certezza che questa idea spaventa moltissimo.

Per tutta la storia del pensiero filosofico antico, i grandi pensatori si sono interrogati sulla metafisica. Per Cartesio, esisteva un dualismo: mondo materiale e mondo spirituale. I monisti, come Spinoza e Leibnitz, hanno immaginato che la realtà sia riconducibile a un’unica sostanza.

Poi sono arrivati i pluralisti, a complicare ulteriormente le cose. Per loro, l’essere era costituito da una pluralità di elementi.

Fisica e metafisica

In principio la metafisica abbracciava un campo molto vasto del pensiero. Tutto ciò che l’uomo non poteva toccare, che non capiva, che non sapeva spiegare, era oggetto dello studio della metafisica. Nei tempi antichi, c’era ben poco che l’uomo riuscisse a indagare.

Poi, con il progresso scientifico, molte cose che ci sembravano trascendenti, sono diventate spiegabili e inquadrabili nelle leggi della natura. Leggi che l’uomo andava scoprendo. Man mano che ciò che aveva una spiegazione fisica si ampliava, quello che era metafisico si rimpiccioliva.

La scienza, la morte della metafisica e l’uomo moderno

I pensatori antichi non percepivano alcuna contrapposizione fra fisica e metafisica. E nemmeno fra scienza e fede. Perché la natura e le sue leggi avrebbero dovuto negare Dio? AL contrario, proprio studiando la natura, ci si avvicinava al divino. Questo diceva Sant’Agostino, Spinoza e molti altri. È esistito persino un papa scienziato: Silvestro II.

Poi, è successa una cosa strana. Non tanto filosofica, quando psicologica. Gli uomini si sono ubriacati di sapere. Hanno cominciato a pensare che tutto fosse riconducibile a una legge fisica. Che tutto fosse spiegabile con gli strumenti dell’indagine scientifica. O meglio, gli uomini si sono illusi che esistesse un’altra trascendenza, chiamata Scienza, che governasse ogni aspetto della realtà: quelli tangibili e quelli intangibili, quelli fisici e quelli metafisici. Come ogni ente trascendente, questa nuova divinità, ha generato una fede assoluta nei suoi adepti, che non hanno altro Dio al di fuori della Scienza.

Non c’è più posto per Dio, per la metafisica nei pensieri di queste persone. Tutto deve essere spiegato con leggi e argomentazioni scientifiche. Quello che non lo è, di fatto non esiste. È superstizione, invenzione, irrazionalità.

Perché negare la metafisica è un errore

Eppure, la realtà soprasensibile di cui ha parlato Aristotele (e prima e dopo di lui molti altri) esiste. Esiste al di là della nostra capacità di pensarla, di capirla, di immaginarla. Dio esiste anche se non lo capiamo, se non lo vediamo, se non possiamo toccarlo.

La scienza è solo un sapere umano. Non a caso, nei secoli le teorie scientifiche sono cambiate, sono state corrette, aggiornate. Spesso smentite da teorie che sembravano meglio descrivere la realtà. Fino all’Ottocento, non conoscevamo l’elettricità. Eppure, essa è sempre esistita. Anche prima che comprendessimo cosa era e decidessimo di sfruttarla per far funzionare il frigorifero e il cellulare. Anche la legge di gravità esisteva prima che gli uomini la studiassero.

L’uomo talvolta si comporta come fosse un piccolo creatore abusive e ottuso. Uno che crede di aver inventato le cose, nel momento in cui si rende conto che esistono. Anche se quelle stesse leggi, quegli stessi fenomeni, quelle stesse circostanze esistevano da prima di lui e indipendentemente da lui. La scienza non rende la metafisica un reperto archeologico. Sarebbe invece importante che l’uomo, invece di insuperbirsi di fronte alle sue conquiste, capisse che tutto quello che lo circonda non è frutto del caso cieco. Invece, è stato pensato e disegnato da Dio.

La vera saggezza è riconoscere l’opera di Dio

Quanto più l’uomo acquisisce strumenti per studiare la complessità della realtà, tanto più dovrebbe provare ammirazione e devozione verso chi tutto questo ha creato dal nulla. Quanto più capisce della fisica, tanto più dovrebbe sentirsi ignorante sulla metafisica. L’uomo saggio dovrebbe fare come Socrate: colui che sa di non sapere, è davvero il più sapiente. Chi, invece, crede di sapere tutto, non vede la propria stessa ignoranza, il proprio senso del limite.

La vera saggezza è riconoscere l’opera di Dio in tutte le cose. Quelle che possiamo spiegare e comprendere, e ancora di più, quelle che non capiamo.

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