Il buono della malattia
Anche se è una situazione spiacevole, si può comunque trarre qualcosa di buono dalla malattia? Possiamo capire qualcosa di noi, conquistare qualche consapevolezza sulla vita, trovare un motivo di consolazione? Ecco 5 cose che mi ha insegnato la malattia (mia e di chi amo), per le quali sono grata.
La vita è un dono che non ti sei meritato
La precarietà della malattia ti fa comprendere che ogni momento della vita è un dono, per cui non hai alcun merito. Sei chiamato a goderne, puramente per effetto dell’amore e della misericordia di Dio. La malattia esalta la tua umanità, perché te ne rivela il limite.
Prima pensavi che quello che di buono ti capitava fosse principalmente un risultato dei tuoi sforzi, del tuo impegno, del tuo duro lavoro. Di lì in avanti capisci quanto questa sensazione sia illusoria. Ma, invece che renderti triste, questa scoperta ti può fare bene. Capisci di essere amato e che a quell’amore, che non hai fatto nulla per guadagnarti, devi tutte le cose belle che hai.
L’amore batte il merito, l’ambizione, la fatica. L’amore pacifica. Non devi esserne degno, è un dono. E sia chiaro che tutti questi doni il Signore non te li fa solo adesso, perché sei ammalato o sofferente. Lui te li ha sempre fatti, te ne ha ricolmato. Solo che tu eri troppo abbagliato dai tuoi traguardi personali, dal tuo idolo dell’autodeterminazione, dal miraggio della sapienza umana, per rendertene conto.
Pensavi di essere la misura di tutte le cose, il fattore determinante, l’ago della bilancia. La malattia ti toglie il delirio di onnipotenza e ti restituisce alla ben più confortante condizione di figlio amato.
Lezione numero due: il tempo è una risorsa preziosa
Se pensi di avere davanti una serie interminabile di giorni, in cui fare tutto quello che vuoi, vedere tutto quello che ti interessa, andare dove ti pare, finisci con il rimandare. O sprechi il tuo tempo in modo inutile. Pensi sempre che arriverà un momento in cui farai questo e quello, e così ti perdi tante belle cose. La malattia ti abitua a pensare diversamente. A mettere a fuoco le tue priorità.
Pensare di avere a disposizione un tempo limitato, ti aiuta a dividere con chiarezza le cose importanti dalle perdite di tempo. Sei portato a chiederti: se di qui in avanti avessi solo un anno, o sei mesi, o tre settimane di vita, che cosa vorrei farne? Varrebbe la pena impegnare quattro ore per leggere quel libro che giace in semi abbandono sul comodino, da settimane? Ha senso andare alla riunione di condominio? Voglio davvero andare alla pizzata di classe di mio figlio, alla rimpatriata del liceo, all’aperitivo con le mamme del catechismo? Quando me ne andrò, che cosa non voglio rimpiangere di aver lasciato indietro?
Questo aiuta a riordinare le nostre giornate caotiche, a sedare la nostra bulimia di eventi sociali, stimoli, passatempi. Mettiamo un freno alla nostra inconcludenza e riusciamo finalmente a fare poche cose, quelle che ci importano davvero, e a godercele. Per questo si impara a vivere l’oggi, ad apprezzare i piccoli e grandi doni quotidiani. Non a caso, dono si dice anche “presente”. Non c’è dono più grande di quello che possiamo vivere ogni giorno.
Lezione numero tre: la malattia non è una colpa, né una punizione
Una delle prime cose che ho capito, girando per reparti ospedalieri, è che la gente reagisce alla malattia nei modi più imprevedibili, ma spesso in modo irrazionale. Molti erano atterriti, indispettiti, arrabbiati.
E poi c’erano persone che cercavano di capire perché. Perché proprio a loro? Perché proprio quella malattia? Era un problema ereditario collegato con il fratello del nonno, morto giovane per un male incurabile? Dipendeva da quello che mangiavano o bevevano? Il loro medico aveva trascurato i sintomi? Che cosa avrebbero potuto fare, per evitare di ammalarsi?
Sono tutte domande legittime. E però prive di risposte. Nessuno sa perché la malattia possa colpire alcuni, mentre altri vivono in perfetta salute fino a novant’anni. Non è colpa né merito di nessuno. Non è nemmeno solo una questione di sane abitudini di vita: Vasco Rossi ha raggiunto i settant’anni, senza essere stato un salutista. Per contro, ci sono persone che non bevono, non fumano, mangiano sano e si ammalano comunque.
Talvolta, abbiamo bisogno di dare la colpa a qualcosa o qualcuno. Questo ci renderebbe la malattia un poco più comprensibile.
Se la malattia fosse una punizione per una qualche colpa, o la conseguenza di qualche azione sbagliata, allora sì che avrebbe un senso. Potremmo trovarle una spiegazione.
Invece, la malattia non è una colpa, la salute non è un merito personale. Tutto quello che accade nelle nostre vite obbedisce a un disegno preciso. Ma non è il nostro. È Dio che dispone le cose nel migliore dei modi. Bisogna accettare il destino, anche la malattia, tenendolo in considerazione.
Dio non ha voluto punirci. Né premia altri, facendoli vivere a lungo e in salute. Esiste un perché in tutto quello che accade e un giorno lo sapremo. Dio non ci chiede di comprendere tutto, ma di accettare la sua volontà.
Lezione numero 4: non esiste solo la nostra malattia
Una tentazione molto forte che si prova quando ci si ammala, è aggrapparsi a corpo morto a chi ci sta intorno. Abbiamo bisogno di amore, di conforto, talvolta persino di aiuto pratico. Tutto questo va bene, a patto di non diventare un peso. Di non essere, per chi ci circonda, un promemoria di sventura. Anche se siamo in un momento difficile, non esistiamo solo noi e la nostra malattia.
Non dobbiamo parlare solo di come stiamo, di quello che proviamo, di ciò che dobbiamo fare. Chi ci circonda ha comunque le sue battaglie di vita da combattere. Fra queste, ci siamo anche noi. Chi ci ama si preoccupa, soffre per noi, ha paura. Sarebbe egoistico gettargli addosso anche tutte le nostre inquietudini. Non è detto che chi ci è vicino abbia la forza per sopportarlo.
Cerchiamo invece di sostenerli, di incoraggiarli, preoccupiamoci di come stanno, dei loro problemi. Questo farà bene anche a noi. Ci distrarrà da noi stessi e dalla nostra situazione. Invece che gravare di pesantezza le persone care, è meglio cercare di vivere insieme dei momenti belli, gioiosi, sereni.
La fine della vita è un pensiero con cui fare pace
La sensazione più forte che ho provato, quando ho ricevuto la diagnosi, non è stata la paura o la tristezza. È stato lo stupore. Ma come -pensavo- io sono sempre stata sanissima! Sono una di quelle che non ha mai il raffreddore, che non fa mai indigestione, che non si ammala mai. E poi, io mi sento benissimo! Com’è possibile che abbia un cancro?
Eh, lo so. Tutti ci siamo sentiti eterni ed invincibili, almeno una volta nella vita, almeno per un breve periodo. Di solito, quando eravamo in ottima forma e le cose ci andavano bene. La morte è una delle poche certezze dell’esistenza. È inevitabile, eppure è una delle idee che facciamo più fatica ad accettare.
Ci sembra sempre che debba riguardare gli altri, che a noi non possa capitare. La cosa migliore che possiamo fare, per il nostro equilibrio, è accettare che la fine possa riguardare anche noi. Questo dovremmo accettarlo comunque, ma la malattia rende questa consapevolezza ancora più necessaria. Serve a digerire l’idea che quel giorno arriverà e che non sarà una fine tanto temuta, ma un nuovo inizio. In fondo siamo cattolici, come diceva Barbara Johnson, non ci attende una fine senza speranza, ma una speranza senza fine
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