Il tormentone della maturità
Di come si riesca a trasformare qualunque evento, anche il più insignificante (come la maturità) nel tormentone del giorno
Oramai lo sappiamo. Fra i tormentoni stagionali, la maturità ha sempre un posto d’onore. ne nascono sempre polemiche, declinate in modo multiforme.
Dal: la maturità non è più quella di un tempo!
A: il tema d’italiano non rispetta i programmi ministeriali.
Oppure: Il compito di matematica era troppo difficile.
Ma anche: la versione era troppo lunga. E poi quell’autore i ragazzi non sono abituati a tradurlo, a scuola non si fa quasi mai.
Insomma, se la maturità dei singoli studenti interessa solo agli studenti medesimi e al più a familiari e amici, la maturità come rito di passaggio, come categoria aristotelica, come fenomenologia dello spirito, interessa a tutta la nazione. C’è persino chi si guadagna qualche minuto di visibilità, facendo salire l’indignometro, da questa o quella parte. Quest’anno è toccato a tre liceali venete.
La maturità oggetto delle polemiche
Riassumo la storia, tanto l’avrete sentita ovunque. Tre liceali ricevono un voto basso al secondo scritto di maturità. Per intenderci, quello caratterizzante l’indirizzo di studio (quest’anno era il greco al classico). La correzione delle versioni, in quella classe, si rivela un’ecatombe: pochissimi studenti arrivano alla sufficienza. Qualcuno insinua che la correzione non sia stata fatta correttamente.
Le tre ragazze decidono, come atto di protesta, di fare scena muta all’orale. Col sistema di valutazione attuale, se si è già sufficienti, fra prove scritte, crediti e valutazioni curricolari, si è comunque promossi. Si perde al più il punteggio che si potrebbe guadagnare all’orale.
Hanno fatto bene? Hanno fatto male? Sono delle coraggiose pasionarie o delle ragazzotte viziate? Et voilà: anche quest’anno, il tormentone della maturità è servito!
Questione di metodo
Cominciamo col dire che nessuno di noi arguti commentatori ha visto la traduzione delle tre ragazze. Né sa come sia stata fatta la valutazione dal docente che ha corretto le versioni. Non possiamo e non vogliamo entrare nel merito dell’episodio. Ci interessa ragionare sul metodo.
Metodologicamente parlando, non vedo particolare coraggio nel gesto. Ho letto che le ragazze si sarebbero sentite umiliate dal basso voto alla traduzione. Eppure, è una vita che ci diciamo che il voto non è la persona. Una traduzione può andare male (a chi non è capitato?), noi restiamo quelli che siamo.
La vita ci dà infinite opportunità ulteriori, nella forma di: nuovi e diversi brani da tradurre, esami da affrontare, prove da superare. Non diventeremo scemi di colpo, per un fallimento, né saremo dei geni indiscussi, per un successo.
Nessuno può avere una performance costante, nemmeno alla maturità
L’atleta che fa salto in alto, ogni tanto batte un record. Però sa che non farà quella performance tutte le volte che salterà. Ci saranno salti mediocri, salti discreti, salti ottimi. Di tanto in tanto, supererà il suo stesso record precedente. Quello che realmente avrei trovato umiliante, più che voto basso a una prova, è fare scena muta davanti all’intera commissione d’esame.
Come potrei giustificare a me stessa il fatto di aver mollato, di non avercela messa tutta, di non aver fatto il meglio possibile? La scelta coraggiosa non sarebbe stata piuttosto fare un orale da paura, in cui mostrare che il voto dello scritto era stato solo un incidente di percorso?
Non si poteva tentare, non dico di risorgere dalle proprie ceneri, ma almeno di recuperare, rimediare, compensare? Questo si conformerebbe all’antica e sempre utile lezione del voltare pagina, del ricominciare dai propri fallimenti, del ricostruire da zero. Un’abilità senza la quale l’umanità non avrebbe fatto passi avanti.
Perché mollare danneggia chi lo fa
A me la scelta di non rispondere all’orale sembra il gesto di un bimbo piccolo che fa un dispetto agli adulti. Un dispetto, che, come tutti i dispetti, danneggia chi lo fa e non chi lo riceve. Come dicevamo all’inizio, della maturità del singolo studente non interessa a nessuno, se non a lui stesso e ai suoi parenti e amici più prossimi.
Non importa alla commissione (per cui è solo un esame come tanti). Né all’università (dove ormai il voto di maturità non ha alcun peso). Non interessa nemmeno al futuro datore di lavoro, che sa perfettamente che un buon voto o un brutto voto dicono poco o nulla di come quella persona si comporterà nel mondo del lavoro. Nessun selezionatore del personale baserà la sua scelta del candidato su quella remota e irrilevante contingenza che è stato il voto di maturità.
Invece, mi immagino le tre studentesse, negli anni successivi, a sentirsi in obbligo di giustificarsi con tutti: “ho preso il minimo all’esame di maturità, ma per mia scelta! Il commissario mi aveva dato un voto ingiustamente basso. Te ne ricorderai, ne hanno parlato i giornali!”. Al che, novantanove volte su cento, l’interlocutore annuirà con condiscendenza, mentre pensa: questa è la scusa più fantasiosa che abbia mai sentito, per un brutto voto. Perché, in effetti, nemmeno a lui importa. Né tantomeno si ricorda del tormentone estivo della maturità delle tre ragazze, nell’anno che fu.
Appropriazione materna di maturità
Ho letto che una delle studentesse, a propria difesa, ha dichiarato di aver descritto la versione a sua madre, laureata in lettere. La genitrice l’avrebbe ritenuta ben tradotta. Adesso, non voglio entrare nel merito: se si possa ricordare o no parola per parola una versione. Né se la mamma, laureata trent’anni prima, possa giudicare una traduzione meglio di una professionista che insegna da anni.
L’argomentazione è comunque debole, perché il giudizio della propria madre solitamente non è oggettivo. Una vecchia battuta recita che solo tua madre e il tuo avvocato ti difendono sempre, anche se non ti credono. Fa parte del ruolo. Lo cantava incisivamente Pino Daniele, attingendo a un detto popolare, che Ogni scaraffone è bello a mamma sua.
Possibile che una madre voglia appropriarsi di un ruolo e un contesto non suo? che non si renda conto che il figlio (o la figlia) deve essere valutato da chi lo fa di mestiere, nel contesto appropriato, cioè a scuola? Se le mamme vogliono il bene dei figli, devono avere il coraggio di liberarli nel mondo, senza tentare di sostituirsi ad esso. I genitori devono preparare i figli ad accettare il fallimento e a riprendersi.
La maturità non è (solo) questione di esami
C’è un ultimo aspetto che non mi convince nella vicenda. È la permalosità. Di fronte a una valutazione negativa abbiamo due strade: prendercela con il valutatore e concludere che non abbia fatto bene il suo mestiere, per ignoranza o mala fede. Oppure chiederci che cosa potremmo fare meglio, in più, in una nuova prova. La prima opzione non ci fa crescere di un millimetro. La seconda, ci spinge a maturare.
Tutto è sempre migliorabile, considerando che la perfezione è un attributo del divino, non dell’umano. Non abbiamo strumenti per cambiare il valutatore o la valutazione. Possiamo però lavorare su noi stessi e trarre, da una brutta esperienza, un insegnamento che ci arricchisca. Aver perso questa opportunità fa dubitare della maturità delle ragazze, ma non tanto rispetto al greco. La maturità non è solo questione di voti o esami, ma di atteggiamento verso la vita.
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