Il cancro
Pare che un film di Woody Allen, che non ho mai visto (Harry a pezzi, 1997) contenga questa battuta sul cancro: Le parole più belle del mondo non sono: “Ti amo” ma: “È benigno!”. Storie di una vita fa. Quando il cancro era una rara malattia emergente, di cui si cominciava forse a capire qualcosa (ma poco) e per il quale si prescrivevano cure che a volte erano più letali della malattia.
Se una volta la bestia nera erano gli attacchi di cuore, gli ictus e gli infarti, e prima ancora le infezioni: in testa la polmonite, la tubercolosi e le meningiti infantili, il male oscuro di questa epoca è il cancro.
I molti nomi del cancro
Una volta si chiamava: brutto male o male incurabile. Con l’avvento di internet, siamo tutti diventati più informati e abbiamo provato a dare un nome a realtà che prima non lo avevano e che, per il fatto di averlo acquisito, diventavano molto più reali. Non me lo sono inventato io, questo concetto viene diritto dalla Genesi, il primo libro della Bibbia. Quello da cui tutto è iniziato, che ci spiega che fu Adamo a scegliere i nomi di tutte le creature viventi. Dio le aveva create e Adamo gli diede un nome. D’altro canto quello che non ha nome non esiste, e il cancro esiste eccome.
Potete chiamarlo Carcinoma (dal greco karkinos, “granchio”) oppure neoplasia (dal greco neos “nuovo”, e plásis “formazione”). Con questi termini sembra piu’ gentile ed elegante di quel che e’: una massa di cellule impazzite che cercano di prendere il controllo del corpo e, se ci riescono, lo uccideranno irrimediabilmente.
I molti volti del cancro
Abbiamo prima imparato che il cancro può essere benigno o maligno e quest’ultima è ovviamente una pessima notizia. Poi ci hanno spiegato che questa definizione “benigno” e “maligno” era un po’ troppo pittoresca, niente affatto scientifica. Il tumore maligno non sa di esserlo e di certo non lo fa apposta. Non è maligno come disposizione d’animo. Lui è maligno perché vuole riprodursi a ritmi folli e non farsi intercettare da nessuno dei sistemi di difesa del corpo.
Invece che in “benigno” e “maligno” il cancro si può più propriamente definire in base al grado. I gradi sono quattro: i primi due benino, il terzo non tanto, il quarto allarme rosso. Ma poi hanno trovato che anche i gradi, alla fine non erano il modo migliore di descrivere il tumore, e insomma, lui è un personaggio in continua ricerca di autore, mentre una cosa resta certa: è lui la nuova bestia nera.
Abbiamo capito che è una specie di nemico dormiente. Può annidarsi in ogni nostra cellula di ogni nostro organo e crescere in silenzio, alle nostre spalle, mentre noi pensiamo di essere in perfetta salute. E siccome è profondamente intrecciato con le nostre fibre, i nostri tessuti, le pieghe del nostro organismo, è difficile trattarlo come fosse un corpo estraneo.
L’algoritmo della sopravvivenza
Sconfiggere il cancro si può, ma non è sempre possibile, non è per tutti. Ci sono forme di cancro che si curano meglio. Altre per cui non esiste una vera cura, ma solo l’impegno a spostare la fine un poco più in là. Ci sono tipi di tumori che sarebbero curabili, ma chi ne è affetto a volte non ce la fa.
Per quello adesso si vedono comparire fiocchetti colorati nelle bio dei profili social: cancer survivor, sopravvissuto al cancro. Non più solo personaggi del mondo dello sport o dello spettacolo, ma anche ragionieri, insegnanti, pensionati. Il cancro non guarda in faccia a nessuno. E’ democratico.
Come succede in una guerra mondiale o in una catastrofe naturale, il cancro non si vince. Al massimo gli si sopravvive. Diventa però un percorso lungo, doloroso, rispetto a cui nessuno sente di sbilanciarsi: ci sono curve di sopravvivenza, fattori di rischio, fattori prognostici, legati insieme da algoritmi complessi. E io non sono mai stata tanto brava in matematica.
Qualcosa di peggio del cancro
Ma se il cancro è la nuova bestia nera, esiste qualcosa di peggio che sia “maligno” e non “benigno”, come recitava Woody Allen nell’ormai lontanissimo 1997? Sì. C’è di peggio che avere un cancro maligno. E il peggio è perdere la speranza.
Sabato ero a visitare la basilica della di Santa Maria della consolazione, noto come santuario della Consolata. Le guide ufficiali dicono che si tratta di una delle dieci cose da vedere assolutamente a Torino. Si tratta di un’antichissima chiesa dedicata alla Vergine. Un esempio di barocco piemontese, ma soprattutto la destinazione di cuori afflitti, che cercano consolazione.
Ovunque: sulle pareti, alla base delle colonne, vicino alle cappelle, ci sono iscrizioni di fedeli che rendono grazie o affidano alla Madonna le loro pene. Siamo stati lì e poco dopo dicevano la Messa di rito romano. Il sacerdote ha letto il Vangelo di Matteo, quello che recita:
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena. Matteo 6, 33-34
E sembrava che parlasse proprio a noi.
La ricetta di Dio
Poi siamo tornati a Milano, e nella domenica di rito ambrosiano, la prima lettura parlava di Dio che annuncia ad Abramo che sarà padre di molte generazioni, attraverso la moglie Sara, anziana e sterile. Questo perché nulla è impossibile a Dio. E mentre ancora mi riprendevo dalle parole della Bibbia, è arrivato il Vangelo:
Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Giovanni 12, 44-45
Certo, potrebbero essere tutte coincidenze, se non fosse che io non credo molto nelle coincidenze. Adesso so cosa potrebbe essere peggio di un tumore maligno: non aver fede in Dio, perdere la speranza, camminare nelle tenebre, darsi troppa pena del domani.
E invece questa è la ricetta di Dio. Quella per non perdere sé stessi nel dolore.
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