Darwin e le femministe
“Mamma guarda qua il Gruppo delle femministe!” Mi ha detto mia figlia, mostrandomi un post su Instagram. Sue coetanee che si definiscono femministe e mostrano ascelle incolte e gambe pelose.
Dicono di protestare contro gli stereotipi di genere. Tempi duri, quelli in cui qualcuno usa i peli delle ascelle, per condurre chissà quale rivoluzionaria battaglia contro il Sistema. Per di più su Instagram, dal divano di casa, di fronte alla telecamera del telefono.
E beh, certo, chi fa discriminazione di genere – quella vera – starà tremando di paura. Per esempio in Cina e in India, dove si abortiscono feti di sesso femminile, perché avere figli maschi è più prestigioso. In Arabia Saudita, dove le donne hanno pochissimi diritti, sicuramente la vista dei peli delle ventenni occidentali femministe, sarà un gesto da non dormirci la notte.
Il problema di questa nostra epoca satolla, è ritenere che post sui social siano rivoluzione, le foto delle ascelle attivismo, le frasi fatte verità ontologiche. Mi viene da Dire: Darwin, qualcosa è andato storto.
Le femministe della mia giovinezza
C’erano una volta gli anni Settanta e Ottanta. Per capirli, bisogna esserci nati. E io, modestamente, li nacqui (direbbe Totò). E li vissi. Per tutti i diversamente giovani come me, gli anni Settanta e Ottanta sono stati un periodoagitato, rabbioso, ideologico.
Le femministe esistevano già e avevano una loro agenda da portare avanti.
Hanno ottenuto delle cose e ne hanno perse delle altre. Per esempio, tutte le battaglie per il divorzio e l’aborto. Presentate come chissà che progresso. Adesso bisognerebbe tirare le somme, ma nessuno ne ha il coraggio. Diciamocelo: tutto sto progresso non c’è stato. Umanamente e nella qualità delle relazioni non ci abbiamo guadagnato.
Le femministe dell’epoca ci tenevano a mostrarsi contro le consuetudini. Persino quelle innocue. Per questo erano allergiche a lamette e strisce depilatorie.
I peli non salveranno il mondo
Oggi sappiamo che un pelo non solleverà il mondo. Persino le femministe sessantenni preferiscono sfoggiare un avambraccio, una coscia, un’ascella perfettamente lisci e depilati.
Le ventenni di questa generazione, coi loro luoghi comuni, sembrano imprigionate in una bolla temporale del passato, da cui non riescono a uscire.
Al di là di scopiazzare slogan e peli in bella vista, dalla generazione precedente, che cosa rivendicano le femministe di oggi? Che cosa vogliono, di più o di diverso, da chi le ha precedute?
La trappola del vintage
Le attuali femministe, dall’ascella villosa fuori tempo massimo, sono come i ventenni che indossano la maglietta di Che Guevara, ma non sanno chi sia. Così come i loro coetanei che ripetono ottusamente che, quando c’era lui (ma non sanno lui chi), il mondo era quello del mulino bianco, con in più i treni puntualissimi. Meglio del freccia rossa.
Di tutte queste rivendicazioni identitarie, ai giovani è rimasta solo la retorica, l’apparenza. Direbbe Umberto Eco: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Purtroppo la generazione Zeta non ha letto Umberto Eco (e probabilmente nemmeno Bernardo di Cluny).
Sono segni esteriori su cui è calata una patina vintage che li neutralizza completamente. Non sono gesti con una forte carica innovativa e rivoluzionaria. Forse lo sono stati. Ma è stato tanto tempo fa.
Io credo che la generazione dei ventenni ami tanto la moda vintage, perché non riesce a elaborarne una sua.
Darwin e l’evoluzione delle femministe
Darwin se ne avrebbe a male. Gli toccherebbe constatare che proprio con noi umani, le sue teorie dell’evoluzione falliscono. Le alghe unicellulari si sono evolute, le femministe no. Per Darwin sarebbe brutto assai.
L’uomo è andato sulla luna, ha reso i trapianti di cuore procedure di routine, ha trovato il modo di connettere in tempo reale ogni parte del globo. Eppure, le femministe non riescono a fare un passo avanti. Stanno ancora ferme, a mostrare i peli delle loro ascelle. Quelli continuano a fare senso si appartenenza. Proposte e idee non sono pervenute.
In quasi cinquant’anni non è stata elaborata nessuna rivendicazione migliore e più incisiva che esporre parti del corpo non depilate. Cosa sono passati a fare questi cinquant’anni? Come li abbiamo spesi, se persino il virus del morbillo evolve (adesso si fa chiamare sesta malattia) e le femministe restano allo stesso punto?
In che cosa credono le femministe
In che cosa credono oggi le femministe? Cosa rivendicano? Io non l’ho mica capito. Ora che il suffragio universale c’è, le donne possono essere giudici e militari, le mogli non devono più seguire i mariti, ora che si divorzia in meno tempo di quello che serve per sposarsi, dove vogliono andare le femministe?
Qual è il programma, a parte sventolare a vanvera la parola “patriarcato”? (gli ultimi patriarchi di cui si senta parlare oggi sono quelli della Bibbia, ma sono morti e sepolti da millenni e quindi completamente innocui).
È difficile sbarazzarsi della collaudata retorica del passato, che cavalcarla. Toccherebbe elaborare forme di protesta o di rivendicazione più contemporanee, più efficaci, più significative.
Che una persona di mezza età guardi con nostalgia al passato è naturale. Ma un ventenne di oggi, di cosa sente nostalgia?
I riflessi pavloviani delle femministe
Le femministe di oggi, dicono di voler cambiare la società, la mentalità, l’intero universo e dintorni, ma per prime non riescono a distaccarsi dal passato, dal suo linguaggio, dai suoi meccanismi. È riflesso pavloviano.
Come quando senti loro ripetere compulsivamente l’aborto non si tocca, anche quando, più che toccarlo, vorresti solo fare una qualche analisi, basata sui dati. Non è neanche una forma di censura. Parlare di censura sarebbe un complimento. La verità è che dell’aborto non si deve discutere, perché mancano gli argomenti e la capacità di usarli.
L’aborto non ve lo tocca nessuno, come i vostri peli sotto le ascelle. Ma voi ricominciate a ragionare.
Accendete il cervello e fate l’aggiornamento del software. Siete indietro di cinquant’anni.
Il mondo in una cover
Questa generazione di femministe sembra incapace di un pensiero proprio. Si ha la sensazione di stare dentro una cover, un remake. Una riproduzione difettosa di un originale del passato. Fosse almeno un originale straordinario!
Il problema è fare il remake di una pellicola già scadente in origine. Quando aveva il solo pregio di essere nuova. Non ci restano che i peli.
e qui: https://annaporchetti.it/2023/04/28/a-proposito-di-carita-intervista/
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu