La propria vocazione
Di vocazione, San Paolo, felicità nella vita!
Conosco Carla da più di quarant’anni. Andavamo a scuola insieme. Di tanto in tanto, crescendo, ci incrociavamo. Se vivi in una città di duecentomila abitanti, conosci quasi tutti i tuoi coetanei, in un modo o nell’altro. Anche solo di vista.
Carla ha avuto un percorso accidentato. Ha cambiato scuola, poi l’ha lasciata. Per qualche anno non ha fatto nulla. Finché non si è iscritta a una di quelle scuole per il recupero degli anni persi. Si è diplomata e ha tentato la strada dell’università. Ha cambiato facoltà e sede, ha girovagato un po’.
Era una giovane donna confusa e spaventata. Poi ha trovato lavoro. Lavorava nell’amministrazione di una cooperativa vinicola. Il lavoro non le piaceva, ma non c’era all’orizzonte nulla di meglio. Il fidanzato di una vita a un certo punto è sparito, non ho mai avuto il coraggio di chiederle cosa fosse successo.
Rispondere alla chiamata
Poi mi sono trasferita in un’altra città. Tornavo nella nostra città natale solo d’estate, per pochi giorni. Un poco ci siamo perse di vista, almeno per qualche anno. L’ho incontrata di nuovo tempo dopo. Adesso è una mamma felice di quattro ragazzi. Molto felice.
Carla è una donna realizzata, serena, sicura di sé. Niente lo avrebbe fatto presagire, a chi avesse conosciuto la Carla di pochi anni prima. Una persona che non sapeva cosa fare di sé stessa e temeva di gettare via la sua vita.
Trovare la propria vocazione rende realizzati
C’è una cosa che accomuna tutte le persone che sono soddisfatte della loro vita. Qualunque sia la loro quotidianità, il lavoro che hanno scelto, la condizione familiare, tutte queste persone hanno trovato la loro vocazione. Vocazione vuol dire “chiamata”.
La nostra vocazione è il ruolo che siamo chiamati a svolgere nel mondo. E ciascuno ha il suo. Possiamo voltare le spalle a questa vocazione e decidere di fare qualcos’altro. Questo è uno dei modi più sicuri per buttare via noi stessi e la nostra vita. Tuttavia, accade.
A volte ci lasciamo convincere a tradire noi stessi, ad andare in una direzione che non c’entra con noi, che ci sembra più bella, più comoda, più gloriosa. Altre volte, semplicemente, non abbiamo la capacità di comprendere cosa siamo chiamati a fare di noi stessi.
La vocazione alla maternità
Si parla molto di maternità oggi, in termini negativi. Ci sono i movimenti child free. Personaggi più o meno famosi, che ci tengono a spiegarci che hanno deciso di non avere figli, perché questa scelta li avrebbe limitati. Qualcuno parla di maternità come ingiusto ostacolo alla realizzazione femminile.
Io credo che le ragioni per cui una donna sceglie di essere madre siano profondissime e insondabili. Credo che ci siano donne (e anche uomini) che non sono nati per avere figli. Se si costringessero, probabilmente sarebbero infelici e crescerebbero figli infelici (o forse no, perché accogliere con amore ti cambia in cuore. Te lo allarga, te lo ammorbidisce, te lo apre).
Sono disposta ad ammettere che, per qualcuno, avere figli non sia una scelta di vita praticabile, ma credo che questo sia quasi sempre il risultato di una qualche ferita. Un cuore dolente può trovare difficile amare e donarsi ad altri, per paura di soffrire ancora di più. In tutti gli altri casi, credo che per un essere umano – in particolare una donna – la chiamata ad amare, a prendersi cura, ad accogliere l’altro, non si possa ridurre a un condizionamento culturale o sociale. È una disposizione intima dell’animo. È una vera vocazione.
Il senso della maternità
Mettere al mondo un figlio significa imparare ad amare senza condizioni. La maternità è un amore senza ritorno, senza ripensamenti, senza alternative. Non puoi smettere o evitare di amare i tuoi figli. L’amore per i figli conosce ostacoli e fatica, ma mai una delusione così forte che lo uccida. È un sentimento di cui non dubiterai mai.
Il dubbio sarà, caso mai, come mostrarlo ai figli. Come fare in modo che questo amore li renda forti, grandi, invincibili, capaci di andare avanti senza di te. Anche se tu, in realtà, non ci pensi proprio a che possano fare a meno di te. Speri di poterci essere sempre, dal cambiargli i pannolini ad accompagnarli all’altare. E magari, spupazzarti i loro figli come super-bonus a fine carriera.
Questa vocazione ad amare ed accudire è così forte, che molte donne, anche quando non riescono ad avere figli e persino quando decidono di non averne, riversano su altro ed altri la loro capacità di amare e curare. Fatico a immaginare che si possa barattare una relazione così assoluta, con uno qualunque degli idoli moderni: soldi, successo, eterna giovinezza.
Il senso della vocazione
Io vedo un grande pericolo in un mondo che cerca di convincerci ad abbandonare la nostra vocazione e a dedicarci a tutt’altro. Invece, rispondere alla chiamata, ci permette di fare della nostra vita quella opera meravigliosa che desideriamo e meritiamo. Per questo vorrei riflettere sull’importanza della vocazione. Del concetto di vocazione in sé, qualunque essa sia. (anche se la mia, quella di Carla, quella di tante e di tanti è principalmente amare le persone che il Signore ci ha messo al fianco).
L’esempio di San Paolo
Dio stesso ci guida a scoprire la nostra chiamata. Se non ci intestardiamo a cercare altrove. L’esempio più luminoso lo ha dato San Paolo di Tarso. C’è stata un’epoca della sua vita, in cui non era ancora San Paolo. Si chiamava Saulo, e tutto nella sua vita era come ci si aspettava che fosse.
Era nato in una grande città dell’oriente, Tarso, aveva una solida professione e la cittadinanza romana. Era un giudeo, ma non uno qualsiasi. La sua famiglia apparteneva alla setta dei farisei.
La parola “fariseo”, a quei tempi, non aveva assolutamente il significato negativo che gli diamo oggi. Per noi, “fariseo” è sinonimo di ipocrita. Così non era in origine. Al contrario, i farisei si ritenevano persone per bene, pie, rispettose di tutti i precetti religiosi della legge di Mosè. San Paolo parla di sé, nelle lettere e negli Atti degli Apostoli. Racconta lui stesso:
formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi At 22, 3
Cambiare direzione alla propria vita
Il giovane Saulo crede che sia quella la sua vocazione: seguire la legge dei padri. E il suo zelo giovanile, lo porta a considerare nemici i fedeli di Cristo. Probabilmente era lui il Saulo che teneva i mantelli dei giudei, durante la lapidazione di Santo Stefano, protomartire (At 8, 58).
Il suo impegno nel perseguitare i cristiani è citato più volte negli atti:
Saulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere. At 8, 3
Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via. At 9, 1-2
E lui stesso lo ammette, nelle lettere e negli stessi atti, quando viene interrogato da Agrippa, durante il suo processo.
Trovare la vera vocazione
Saulo crede di seguire l’insegnamento dei suoi avi, di mantenersi fedele ai suoi doveri di credente. La sua opera è avvolta nelle tenebre, ma lui nn se ne accorge:
Anch’io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l’autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch’io ho votato contro di loro. In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all’eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere. At 26, 9-11
Finché non è Gesù a mostrargli la sua vera vocazione:
mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo.
E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me. At 26, 12-18
Gesù chiama
Gesù lo chiama. Saulo lo segue e diventa Paolo. Così come Gesù aveva chiamato Simone e Andrea, con la promessa di farli pescatori di uomini. Così come aveva chiamato Levi il pubblicano.
Esiste una vocazione per ciascuno di noi, e Dio ci mette sulla giusta strada. Possiamo abbracciare questa vocazione ed esprimere tutto il nostro potenziale. Diventare come Paolo e portare la luce nelle tenebre. O continuare a perseverare nel peccato, magari credendo di essere nel giusto.
San Paolo ha svolto una grande missione. Non tutti siamo chiamati a imprese così importanti. Eppure, tutti abbiamo la possibilità di trovare noi stessi, ed esprimere la nostra vocazione.
A volte, la nostra vocazione è amare ed essere amati da un uomo (o una donna) e dai figli che mettiamo al mondo. A volte siamo Carla e non San Paolo, ma va bene così, ciascuno nella sua strada trova la vera e profonda realizzazione di sé.
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