La maternità non è un mestiere

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La maternità non è un mestiere

Stamattina ho letto di una indagine condotta su settemila donne fra i 18 e i 34 anni sulla maternità. Una su cinque ha dichiarato di non volere figli. Lo stesso studio riporta che, fra le coppie senza figli, una su due lo è per scelta. https://www.donnamoderna.com/news/attualita/bambini-no-grazie-nelle-coppie-no-kids-il-50-lo-e-per-scelta

Poco dopo ho letto un articolo su una famosa cantante e la sua maternità negata. La signora si lamenta di non poter avere un figlio, perché non ha un compagno, pur avendo, secondo lei, tutte le carte in regola. La indigna il fatto di non poter usufruire del diritto alla maternità, come a noialtri scoccia non avere il parcheggio residenti, o il rimborso delle prestazioni mediche nel 730. I diritti sono diritti e rinunciarvi è uno spreco!

Eppure, la maternità non è un bene disponibile. Non c’è articolo di legge o tribunale a cui rivolgersi, per ottenerla a ogni costo.

Due facce della stessa medaglia

Tempi duri per la maternità. Sempre meno donne sono interessate a diventare madri. Quelle che lo sono, considerano la maternità un diritto, qualcosa che deve essere garantito loro, per soddisfare sé stesse. Per non essere da meno degli altri.

Sembrano due condizioni opposte, quella di chi i figli non li vuole, e quella di chi i figli li vuole a ogni costo. Invece sono le due facce di una stessa medaglia. Quella dell’egoismo.

La maternità non è un hobby, né un mestiere. Non è una rivendicazione sindacale. Quello che si dimentica è che dietro alla maternità che è dono, privilegio, fortuna grandissima, c’è soprattutto una scelta d’amore. Non si diventa madri per rendere felici sé stesse.

Allo stesso modo, anche chi decide di non avere figli, lo fa guidata dal desiderio di fare felice sé stessa. Dice al mondo che è lei stessa la persona più importante della sua vita. Così importante, da non avere spazio, tempo e voglia di prendersi cura di nessun altro.

La maternità è un atto d’amore

Quello che sembriamo aver dimenticato, è che la maternità è un atto d’amore. Significa amare incondizionatamente una persona (o più di una). Al punto di mettere le sue necessità e la sua felicità davanti alle nostre. Non si trascorrono notti in bianco con un neonato, perché altrimenti ci priviamo di qualcosa che ci spetta.

Non cambiamo una media di duemilacinquecento pannolini a figlio (e la mia è una stima per difetto), per affermare il nostro diritto a essere madri. Facciamo tutto questo e molto altro per amore.

E se non amiamo nessuno a sufficienza per sacrificare noi stessi per il suo bene, è ovvio che i figli non facciano parte del piano. Quello che si fa, diventando madri, non è acquisire un vantaggio per sé stesse, o accollarsi una serie di fastidi e responsabilità.

La maternità non ha nulla a che fare con la soddisfazione delle madri

La maternità non ha nulla a che vedere con quello che soddisfa le madri, ma con quello che rende felici i figli. Una madre non mette al mondo i figli, caricandoli del peso di gratificarla. I figli appartengono a sé stessi, non hanno l’obbligo di realizzare i nostri sogni, né dobbiamo pretendere nulla, in cambio della vita che abbiamo dato loro.

Chi cerca la soddisfazione dei propri bisogni nella maternità, prende una grande cantonata. Ci saranno, al contrario, momenti di fatica, di sofferenza, di ansia e di difficoltà. Un bambino non è un bambolotto. È una persona con le sue esigenze, il suo carattere, le sue fragilità e i suoi talenti.

Non sarà sempre facile stargli accanto e aiutarlo nell’arduo compito di diventare una persona adulta. Per fare tutto questo non basta un generico desiderio di autogratificazione. Ci vuole proprio quella cosa folle e poco conveniente che è amare. Amare senza misura. Uno sport estremo che non è per tutti.

Ogni punto di vista troppo centrato sulla madre, è lontanissimo da quello che la maternità è davvero: un’esperienza di cuore e di pancia, di spirito e di carne, di forza e di dolcezza.

Una storia di vero amore

In mezzo a questa confusione di donne, eternamente bambine, desiderose di giocare con le bambole o troppo prese da sé stesse per crescere, ho trovato una storia di maternità vera.

Non è una vicenda a lieto fine, ve lo dico prima. Sarebbe stato bello, ma la vita è così: a volte ti dà e altre ti toglie. Quando ti dà, devi essere pronto a prendere. Quando ti toglie, devi avere il coraggio di lasciar andare.

E’ la storia di Azzurra Carnelos, una mamma di trentatré anni, morta sabato per un cancro. Una malattia terribile che le ha tolto la vita, ma non la possibilità di far nascere suo figlio. Un bambino che aspettava, quando ha scoperto che il tumore, che credeva sconfitto, era tornato.

Azzurra non si è chiesta se fosse il momento buono per esercitare il suo diritto alla maternità. Non ha deciso che il figlio andasse eliminato, per pensare a sé stessa.

Dare la vita per chi ami

Avrebbe potuto rinunciare al bambino e curarsi, eppure non lo ha fatto. Questo mondo e le sue strane regole faticano a capire un amore così grande. Qualcuno ha persino il coraggio di criticare. Di dire che non è un bell’esempio.

Dove andremo a finire, se accettiamo l’idea che ci sia qualcuno più importante di noi stessi, fosse anche un figlio? Invece questo gesto è la prova più chiara e più semplice di quello che significa maternità: amare un figlio al punto di essere pronta a dare sé stessa per lui.

Santa Gianna Beretta Molla e Azzurra

Proprio fra qualche giorno, il 28 aprile, si celebrerà la memoria liturgica di una santa dei nostri giorni: santa Gianna Beretta Molla. Anche lei, come Azzurra, ha pensato prima di tutto a salvare la bambina che aspettava. Come Chiara Corbella, un’altra giovane mamma, morta per aver ritardato le cure in gravidanza. Non si è trattato di un gesto temerario, irresponsabile, in nessuno di questi casi.

La Beretta Molla era un medico. Chiara Corbella sapeva bene a cosa andasse incontro. Azzurra Carnelos aveva già fatto i conti con il cancro una volta. Sapeva cosa significasse. Erano consapevoli di rischiare tutto. Amavano la vita, sognavano di essere felici.

Eppure, hanno deciso – liberamente e consapevolmente – che la loro vita era un prezzo accettabile, per permettere ai figli amati di venire al mondo. Hanno seguito quell’esempio meraviglioso che ci è stato dato: sacrificarsi per amore è un dono, non una fregatura.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Gv 15, 12’13

Chi non comprende quanto tutto questo sia generoso, pur nel dolore tremendo, forse dovrebbe comprarsi un cane. O un pesce rosso.

MATERNITA
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