La sciattona consapevole

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Careless is the new: sciattona (sì, ma consapevole)

Ieri ho preso coscienza del mio essere integralmente, ineluttabilmente sciattona. Esco con mio marito e finiamo a bere qualcosa di fresco in uno dei sancta sanctorum della fighetteria boomer milanese: la terrazza della Rinascente. Dico fighetteria boomer, perché i luoghi amati da iggiovani sono altrove (come la vita, direbbe Kundera).

Ogni persona della mia generazione ama quel posto. Sarà la vista Duomo (non tanto visibile, oggi giorno, rimpiazzato da un cartonato, per motivi di forza maggiore).

Oppure questo diffuso aroma di consumismo sfrenato. Sarà l’elevata concentrazione di internazionalità (venti stranieri a metro quadro, tantino persino per New York, figuriamoci in Italia). O forse, sarà il cielo di Lombardia, che è bello quando è bello (sembra una tautologia, ma è firmata Manzoni, seconda citazione letteraria, alla terza si vince un buono omaggio per un pettine in plastica per bambole).

Il disastroutfit della sciattona

Non avendo previsto la sosta sciccosa, io indosso la divisa d’ordinanza: leggins neri, felpa nera, scarpe (da running)… nere (che ve lo dico a fare?). Dall’esterno sembra che mi prepari a una maratona, magari nella categoria lumacoidi senior. Un vero disastroutfit.

È una vita che mi vesto così. Si potrebbe pensare che allora mi alleni da una vita. Dovrei aver corso decine di maratone. Ma non fatevi ingannare dalle apparenze. Io non sono mica sono una vera runner, come l’amico Paolo Pugni, imprenditore, scrittore e macinatore di chilometri.

Io sono una turista dello sport, una turista della scrittura, una turista della vita. Per di più con poca fantasia (sempre di nero vestita) e con poca previdenza (me lo diceva mia nonna: quando esci di casa, vestisti bene e mettiti il rossetto, non si sa mai, antica saggezza che non ho mai ascoltato).

Apologia della sciattona

Comunque mi siedo su un divanetto della sciccosa terrazza. Con evidente disagio, dico al marito: “porca paletta, non sono vestita bene”. Al che, lui pondera la questione con la dovuta solennità e mi restituisce il lucido risultato della sua analisi: “e vabbè”.

Io rifletto, da turista della vita. Mi scopro circondata da altri turisti: americani in scarpe da tennis colorate, scandinavi in braghette (gli scandinavi, dai tre gradi centigradi in su sono sempre in braghette), tedeschi in technicolor.

Allora mi dico: ma chissene, liberati da sta sindrome da sabato del villaggio, non essere donzelletta che ornar si appresta il petto e il crine di rose e viole. Il sabato è una questione mentale, l’eleganza pure, goditi il sole e sfoggia la tua nuova consapevolezza di sciattona per scelta e non per caso, autodeterminatamente mal vestita.

Per la prima volta, provo una profonda soddisfazione pur essendo sempre la persona che si fa cogliere di sorpresa. Una che, quando la vita passa la cerca, la trova sempre un po’ sottosopra.

(forse non ve ne siete accorti, ma io ho fatto la terza citazione, adesso passo dal via, a ritirare il pettine).

sciattona
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e qui: https://annaporchetti.it/2023/04/28/a-proposito-di-carita-intervista/

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