Gramellini contro Fedez
Gramellini contro Fedez. Non è un incontro di tennis, anche se i botta e risposta non mancano. Esistono domande terribilmente e quasi universalmente scomode. A esempio: sei ancora vergine? (rivolta a un uomo). Oppure: sei ingrassata? (rivolta a una donna). C’è poi la domanda ecumenicamente imbarazzante per entrambi i generi.
La domanda in questione è: ma tu sei di destra o di sinistra? Io, quando me la fanno, rispondo invariabilmente che sono disgrafica. Ma disgrafica grave. Una di quelle a cui l’avvento dei computer ha salvato la vita. Essere disgrafici è una cosa spiacevole.
Di destra o di sinistra?
Non ricordo di essere mai riuscita a compilare un singolo modulo di due pagine al primo tentativo. Per me ce ne vogliono almeno tre. Se poi bisogna scrivere ogni lettera in un quadratino, come sui bollettini postali, possono volercene anche cinque, di tentativi. Se questo già vi pare una rottura di scatole (confermo, lo è), sappiate, come aggravante, che era peggio essere disgrafici nel secolo passato, quando sono nata io.
Non per il puntiglio ideologico di dire che le sfighe di una volta erano più gravi di quelle di oggi. Non lo penso: non sono né così vecchia, né così patologicamente nostalgica. È che, nel secolo precedente (anzi, nel millennio precedente), si scriveva per lo più a mano.
Trenta o quarant’anni fa non avevamo ancora maturato l’attuale abitudine a scrivere quasi solo con una tastiera.
Il partito dei buoni
Essendo disgrafica, qualunque preferenza per la destra o la sinistra mi è aliena. Per me non è mai esistita la destra, né la sinistra, solo un’enorme fatica. Non simpatizzo per una né per l’altra. Ma osservo entrambe.
Osservo che il nostro mondo, intorno a questa polarità destra e sinistra ci vive, ci scrive, ci si identifica. Ho anche capito che in occidente, oggi, la sinistra si considera quella dei buoni e dice che la destra è quella dei cattivi. E viceversa.
Anche fra i buoni ci sono i più buoni. I migliori, direbbero i greci. De Crescenzo diceva che ognuno è il meridionale di qualcun altro. Anche per la politica, c’è sempre qualcuno meno buono di qualcun altro.
Gramellini di caffè amaro
Ecco la sfida da titani di oggi. Uno dei più buoni del partito dei buoni, dispensa gramellini di un caffè un po’ amaro. Abbiate fedez, che vi spiego.
Parlo di Gramellini (scrittore e giornalista) e Fedez, rapper, conduttore, imprenditore digitale e chi più ne ha più ne metta.
Fuoco amico una icona del partito dei buoni (Gramellini) verso un altro che militerebbe sempre nelle file dei buoni (Fedez). Gramellini lo sfotte un po’, con un gioco di parole di quelli che sono cari al rapper. Dice di lui: “Il vero mistero di Fedez è come una parte dell’opinione pubblica di sinistra abbia potuto trasformarlo in un campione del progressismo, quando è evidente che si tratta di un giuggiolone goliardico, persino simpatico a volte, ma con la profondità di un pavimento di linoleum.”
E poco dopo, aggiunge: “chi lo aveva scambiato per il nuovo guru della sinistra non deve avere le idee molto chiare su chi siano i guru e soprattutto su che cosa dovrebbe essere la sinistra.”
La penso come Gramellini
Per certi versi, la penso come Gramellini. Anche io non vedo in Fedez alcuna profondità. È un uomo concentrato su sé stesso e sul desiderio di emergere. Uno che non fa mistero di amare tutta l’esteriorità che la sua condizione di nuovo ricco gli permette. Non fa nemmeno finta di avere un’etica del lavoro.
Durante un’intervista televisiva recente, ammette che sarebbe disposto a raccattare qualunque sponsor, pur di guadagnare. Non c’è niente di male a desiderare il successo e ottenerlo. Tuttavia, sarebbe illusorio attribuirgli un fine nobile.
Come avrebbe fatto il cantante imprenditore a diventare il guru, non dico del progressismo, ma di qualunque corrente di pensiero che non fosse il consumismo? Cosa ha portato la sinistra, o chiunque altro, a vedere in questo uomo d’affari qualcosa di diverso da quello che è?
Fedez non ha una missione. Non ha un messaggio da lasciare al mondo, come eredità spirituale. Fedez non è Martin Luther King, non è Ghandi, non è Santa Teresa di Calcutta, Socrate o Gesù Cristo. Ha dato in beneficenza qualche spicciolo del suo patrimonio. Senza nascondere, anche nella famosa intervista, di tenere conto del ritorno pubblicitario del gesto (pur apprezzabile).
Sono d’accordo con Gramellini, ma anche no.
Condivido quel che Gramellini dice di Fedez, ma non tutto il resto. Quando Gramellini si addolora del fatto che gli ammiratori di Fedez non abbiano le idee chiare su cosa dovrebbe essere la sinistra, cade vittima anch’egli di un pregiudizio. Quello che la sinistra, in quanto gruppo dei migliori, debba per forza rappresentare un fine alto nobile per il mondo.
L’idea che la sinistra dovrebbe “essere” per forza di più di un Fedez che ha fatto i soldi.
La sinistra delle origini, quello che né Gramellini né Fedez rappresentano
È utopistico pensarla come Gramellini. Ritenere che la sinistra abbia per definizione a cuore il bene comune, senza se e senza ma. E che il problema della sinistra sia che Fedez, ohibò, l’ha delusa.
La sinistra, ai suoi esordi, aveva una identità, obiettivi, un sistema di valori, condivisibili o no. Quella sinistra, che un tempo si chiamava socialismo o comunismo, aveva una matrice più popolare. Era più vicina alle masse.
Ancora non era una oligarchia che coccola intellettuali e imprenditori (digitali e non). Invece, era un movimento che portava avanti le necessità degli operai, dei contadini. Non aveva paura del lato oscuro della folla: della sua ignoranza, della sua povertà, della sua disperata lotta per la sopravvivenza. Nulla a che vedere con la sinistra benestante e un po’ snob di oggi.
Non che questa sensibilità popolare fosse priva di ombre. Tutti ricordiamo gli abusi e le stragi causate dalle masse, portate al potere dalla Rivoluzione russa.
Anche Fedez dice qualcosa di giusto
L’editoriale di Gramellini ha suscitato la risposta di Fedez. Se qualcuno poteva ancora considerarlo un testimonial della sinistra, ci ha pensato il rapper stesso a dissuaderlo.
Fedez ha replicato da Los Angeles, mostrandosi chiappe al vento (anche se l’immagine è sfocata artificialmente). Un atteggiamento sprezzante, anche nelle parole: “E mentre Gramellini scrive un articolo inutile su di me io me ne sto con il c*** all’aria, in piscina. E per la cronaca, a me di essere l’idolo della sinistra non me ne frega un ca***. Io voglio essere l’idolo di tua nonna“.
In tutto questo turpiloquio, una cosa però è in parte condivisibile.
Nella seconda parte della sua dichiarazione, Fedez dice “Che poi è appena esplosa una centrale idroelettrica con dei lavoratori che hanno perso la vita e tu giornalista intellettuale di sta ceppa piuttosto di parlare delle morti sul lavoro che aumentano ogni anno parli della cover del cellulare di Fedez. Bah”.
La sinistra di oggi, quella che forse ha corteggiato Fedez, credendolo uno dei suoi, è profondamente distante dalle masse. Non è popolare, è oligarchica.
I suoi esponenti sono più a loro agio nei salotti (televisivi e non) che nei comitati di fabbrica. Lo prova la condizione dei lavoratori oggi. Precarietà, scarsa sicurezza sul lavoro, licenziamenti collettivi, stipendi fermi e inadeguati al costo della vita. Non dice sciocchezze, Fedez, quando ricorda che ci sono temi più importanti per la sinistra, del gossip televisivo. La sinistra di oggi sembra aver dimenticato da dove viene e qual era la sua ispirazione. E sembra non sapere dove sta andando.
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