La mitomania del web
Il web è affetto da mitomania. E ne ho le prove. Qualche giorno fa ho scritto un breve articolo sul deprecabile spot della patatina che si credeva Santissimo Sacramento. Ho ammesso che il messaggio mi indignava.
Capisco che qualcuno faccia spallucce. Perché non crede in Dio, o ritiene che lo spot non sia offensivo. Ho persino letto che taluni trovavano l’idea simpatica. Accade. Quello che piace (o dispiace) a uno, può non piacere (o piacere moltissimo ad altri).
Il punto non è stabilire se uno spot, o un libro o un film siano realmente, deliberatamente, legittimamente offensivi. Questa è una mission impossible. L’offesa, come il gradimento, è questione soggettiva. Non possiamo sapere come le nostre parole o immagini saranno recepite da chi guarda o legge.
Non ha importanza che cosa intendessimo. Né se fosse un argomento per noi innocuo. Nel momento in cui ferisce qualcuno, non è possibile giustificarsi, dicendo: no, ma le mie parole non erano offensive. Sei tu che non hai capito.
La correttezza e l’inclusione
Si parla molto di inclusione. Inclusione che vorrebbe dire far sentire le persone -tutte- accolte e benvenute nella loro identità: ovvero rispettare la loro etnia (non ci sono etnie e colori della pelle migliori di altri). Rispettare il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere, la cultura, le idee politiche e il credo religioso.
L’inclusione sarebbe un gran bel gesto d’amore verso l’umanità. Funzionasse davvero, l’inclusione somiglierebbe un poco al cristianesimo. Sarebbe un cristianesimo in formato ridotto, che va in onda senza ambizioni di vita eterna.
Il nostro secolo è quello dell’inclusione. Al punto che capita di vedere qualcuno scusarsi non solo per le offese involontariamente causate alla sensibilità altrui, ovviamente in modo non intenzionale, ma, persino per quelle che ancora non ha causato.
Ovvero quelle che potrebbe causare, ma forse anche no, sempre e comunque in modo non deliberato. Insomma, chi è veramente politicamente corretto e inclusivo (e anche un po’ paraculo) si scusa in anticipo anche delle offese preterintenzionali.
La mitomania da social e i passanti del web
Quello che non mi aspettavo, quando ho pubblicato l’articolo sulle patatine in crisi d’identità, erano 3 passanti del web, venuti apposta a commentare sguaiatamente sotto al mio post.
Personaggi affetti da mitomania, che ci tenevano a far sapere a me e ai miei lettori che non avevamo alcun diritto di indignarci. Spettava insindacabilmente a loro stabilire, per tutta l’umanità e dintorni, cosa realmente potesse essere oggetto di indignazione. Persino Protagora si rivolta nella tomba.
La mitomania del web è una forma di Welfare
I tre soggetti affetti da mitomania, hanno poi aggiunto che avevamo torto. Non essendo sufficiente il non essere d’accordo con noi, uno di essi ci ha tenuto a specificare che le nostre vite erano escrementose. (no, non ha usato il termine “escrementose”, ma la sostanza era quella).
Intuizione che l’aveva portato a questa granitica certezza, malgrado non ci conoscesse e non avesse informazioni sulla felicità delle nostre esistenze.
Ci si potrebbe interrogare su quanto sia piena e felice la vita di uno che si ferma sotto un tuo articolo, chiama i compagnucci di merende e insieme si mettono a insultare i presenti. Immagino che gente così abbia esistenze talmente piene di felicità da traboccarne. Per questo non vede l’ora di scaricare il suo astio su chiunque sia diverso da lui.
Dice la Soncini che lo sfogo sui social è una forma di welfare. Io aggiungo: la mitomania da social media è l’ultimo welfare che questa società possa permettersi.
L’indignazione è un lusso?
La mitomania da social prima o poi finirà nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-III, il manuale delle malattie mentali, pubblicato dall’American Psychiatric Association.
Questo mi fa riflettere. Al di là della mitomania dei passanti, come funziona l’indignazione? Ha un’unica moneta corrente e un’unica giurisdizione? Oppure ci sono indignazioni più degne di altre? Abbiamo tutti indistintamente diritto ai nostri cinque minuti di indignazione o lo sdegno è un lusso per pochi eletti?
Il politicamente corretto protegge (quasi) tutti
La polizia morale dell’inclusione si chiama: politicamente corretto. E’ il braccio armato che dispensa accuse di razzismo, transfobia. E’ quello che fa in modo che il pensiero non rischi di offendere nessuna sensibilità. Quasi nessuna. Qualcuno dice che il politicamente corretto sia diventato un bavaglio.
Questo è vero a volte, ma non sempre. Esiste una categoria di persone, per la quale c’è una dispensa dal politicamente corretto. Le persone che si possono dileggiare a piacimento sono i cattolici. Sono gli unici che, se si indignano, invece di essere inclusi e accolti, vengono coperti di insulti.
I cattolici e il diritto all’indignazione
I cattolici non hanno il diritto di indignarsi mai. Se lo fanno, sono talebani. Eppure, ai talebani veri nessuno rimprovera pubblicamente nulla. Nessuno li accusa non solo blandamente di essere bigotti. Meno che mai, li si biasima per le rappresaglie terribili, fatte a chi non avesse rispettato la loro religione. Eppure, queste rappresaglie sono vere e sotto gli occhi di tutti.
Invece, il cattolico deve sopportare in silenzio qualunque offesa, dileggio, blasfemia. Se possibile minimizzare. Addirittura dire che la questione non è offensiva affatto. Anzi, a lui è pure piaciuta. Ne ha capito lo spirito, l’ironia, la genialità.
Un contorsionismo psicologico che fatico pure e capire. Mentre per altre religioni viene riconosciuto il diritto al senso di appartenenza (sono pastariafano, credo nel Prodigioso Spaghetto Volante, guai a te se dici che è una baggianata), il cattolico non ha diritto a un fiero senso di appartenenza.
Il cattolico va bene solo se non è cattolico
Il cattolico è socialmente accettabile solo se prende le distanze dal suo essere cattolico. Questo atteggiamento è all’origine di tutta un serie di storture che vediamo ogni giorno. Ovvero: credenti autoproclamati che non sono praticanti, odiano la Chiesa, reputano inutile confessarsi. Presunti credenti per i quali il digiuno è superstizione, che pensano che il matrimonio non sia sacramento, ma una convenzione superata, perché l’importante è trovare lammore.
Il nostro è il secolo delle rivendicazioni identitarie. Siamo nel tempo in cui puoi legittimamente sentirti una donna, anche se hai la barba. Puoi usare il bagno delle donne, anche se hai la prostata o competere in una specialità olimpica femminile, anche se se sei un ex campione di wrestling. Perché l’identità è tua e te la gestisci tu. Nessuno ci può mettere becco.
Guai se, invece che donna in un corpo di uomo, ti senti un cattolico in un corpo umano.
L’inclusione non vale per i cattolici
Oltre a doversi dissociare da tutto quello che il cattolicesimo significa (il famoso disclaimer: sono cattolico ma…) e a non potersi indignare nemmeno di fronte a deliberate offese alla fede, il cattolico non ha diritto nemmeno di appellarsi all’inclusione.
Se lo fa, c’è qualcuno che, travolto dalla mitomania da social, gli tira fuori una di queste obiezioni:
Eh ma voi cattolici avete oppresso un sacco di gente!
Si, nel medioevo la Santa Inquisizione ha perseguitato gli eretici. Ma la Santa Inquisizione non fa più concorsi da inquisitore da secoli. Nessuno di noi potrà farsi assumere, neanche a tempo determinato.
Eh, ma voi cattolici impedite alle donne di abortire.
Non ho mai sentito di bande di cattolici che vengono a casa tua e ti impediscono – non si sa come – di abortire.
Poi, non capisco come mai l’aborto, per i laici, sia al tempo stesso una grande ferita per le donne, su cui nessuno ha diritto di esprimersi e un meraviglioso diritto che ci rende libere e belle. O l’una o l’altra: o lacera ed è una tragedia, o è una meraviglia, dai, facciamo un raschiamento party e invitiamo le amiche.
Eh, ma i preti violentano i bambini!
Alcuni, e quelli che lo fanno, sono criminali e nessuno li giustifica. Se colpevoli, finiscono in galera. La religione cattolica non predica né condona la pedofilia.
La mitomania irrazionale dei cattolicofobi da social
I cattolici del passato o del presente possono aver commesso crimini. Come tanti altri appartenenti al genere umano. Non si capisce perché questo debba impedire a un una persona per bene, di irritarsi verso quello che ritiene offensivo per la sua religione.
Caino ammazzò Abele, da allora tutti muti, dovete subire per il resto dell’eternità!
L’inclusione vale solo per gli altri. Per i non credenti. Oppure, per i credenti di altre religioni. Non credenti e fedeli di altre religioni che hanno compiuto e compiono tutt’ora crimini. Eppure, quelli non valgono. Le altre sono religioni di pace. Gli unici pericolosi sono i più pacifici di tutti: i cattolici.
e qui: https://annaporchetti.it/2023/04/28/a-proposito-di-carita-intervista/
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu