Il significato dell’empatia
I moderni la chiamano “empatia” e si illudono che sia un valore laico e universale. Inoltre, ritengono di averla inventata loro. L’abbiamo sentita fino alla nausea, la parola empatia, al punto che abbiamo smesso di farci caso. Significa letteralmente: mettersi nei panni degli altri, ovvero partecipare alle loro emozioni e comprendere i loro stati d’animo. Anche se quegli stati d’animo e le situazioni che li hanno causati, non fanno parte della nostra quotidianità. Provare empatia per un sofferente, significa capire cosa prova, anche se, da parte nostra, stiamo benissimo. Eppure, l’empatia non è affatto nuova. L’ha descritta Gesù, almeno duemila anni fa. Per averne dimostrazione, basterebbe leggere il Vangelo di Matteo:
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Matteo 25, 34-40
L’empatia del cristiano
L’empatia di cui parla Gesù, ha un significato particolare. Tutti crediamo in Dio e consideriamo con dolore e tenerezza le terribili sofferenze che gli sono state inflitte durante la passione. Tutti noi abbiamo pensato, almeno una volta, che avremmo voluto essere lì, a Gerusalemme, in quei giorni disperati. Avremmo voluto difenderlo. Evitare che accadesse l’inevitabile. Comprendiamo il suo dolore terreno e vi prendiamo parte.
Eppure, molto spesso non riusciamo a riconoscere Cristo sofferente in coloro che ci circondano. Restiamo estranei alle afflizioni del vicino di casa, dell’amico di famiglia, del parente. Arriviamo addirittura a pensare che la cosa non ci riguardi. Magari ci consoliamo, dicendo a noi stessi che il problema di tizio e caio non ha soluzione. Non c’è nulla che possiamo fare per risolverlo per conto suo.
In realtà, di fronte alle grandi prove di chi ci è vicino, Dio non si aspetta che siamo noi a intervenire e operare meraviglie. Invece si aspetta che manifestiamo empatia. Che facciamo quello che lui raccomanda nel vangelo: di sfamare chi ha fame, dissetare chi ha sete, accogliere chi è straniero. Non possiamo dare un lavoro o una rendita che risolvano i problemi di sussistenza dell’altro, per sempre. Ma possiamo alleviare la sua fame e la sua sete, quando ce lo troviamo davanti. Non siamo in grado di risolvere tutti i problemi presenti e futuri dello straniero, ma intanto possiamo offrirgli ospitalità, mentre organizza la sua vita.
L’importanza di mettersi nei panni dell’altro
Il concetto di empatia è molto caro a Gesù, anche se lui non lo chiama così. Al dottore della legge, che vuole una definizione di chi sia il prossimo, da amare come sé stessi, Gesù racconta la parabola del samaritano.
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Luca 10, 29-36
Nella storia che Gesù racconta, ci sono due persone che dovrebbero provare empatia e solidarietà per il concittadino assalito. Entrambi però, tirano dritto. Poi, a sorpresa, un samaritano, ovvero uno straniero che non fa parte del popolo ebraico, vede l’uomo ferito e decide di soccorrerlo. Come ammette alla fine il dottore della legge, non lo fa per affinità. Gli abitanti della Samaria e i giudei non avevano buoni rapporti.
Eppure, il samaritano vede un uomo ferito e bisognoso di cure. Si immedesima nella situazione. La comprende a pieno e decide di intervenire. Prova compassione. Compassione è un termine molto interessante. Viene dal latino e vuol dire: “soffrire con”. In pratica è una empatia nel dolore.
Gesù e l’insegnamento dell’empatia
Gesù, nel dare una linea di condotta agli uomini, ha usato un meccanismo semplice. Invece di teorizzare sul bene e fare discorsi filosofici, difficili da calare nel concreto, ha dato una indicazione molto chiara:
Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro Matteo 7, 12
Ciascuno di noi desidera per sé stesso il meglio, o almeno condizioni umane e generose. Il metodo migliore per decidere come trattare l’altro di volta in volta è metterci nei suoi panni e chiederci: se ci fossi io lì, come vorrei essere trattato? Ecco l’empatia declinata al massimo grado: immagina te stesso in quella situazione e comportati con l’altro come vorresti che lui si comportasse con te.
Una riflessione sul venerdì santo
Oggi, di venerdì santo, ricordiamo il sacrificio di Gesù sulla croce. Poiché la sofferenza umana ci circonda ovunque, sforziamoci di guardare non l’altro come un estraneo, ma come quel prossimo in cui si riflette Cristo. Alleviamo le sue sofferenze e confortiamo la sua disperazione, anche se non lo conosciamo, come se ci prendessimo cura del Gesù sofferente che celebriamo e a cui siamo grati oggi.
e qui: https://annaporchetti.it/2023/04/28/a-proposito-di-carita-intervista/
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu