La cavalleria è morta?

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Che ne è nella cavalleria?

Che ne è nella cavalleria? Qualcuno dice sia morta. Sparita, superata dai tempi, non pervenuta. Come gli UFO: una cosa di cui tanti parlano, ma da tempo nessuno ha più visto. O forse no.

Una foto è rimbalzata di social in social in questi giorni, e ha innescato il dibattito. Perché? Mostra una manifestazione di cavalleria. Il protagonista è un giovane tennista talentuoso.

Cosa è successo? Nulla di importante, apparentemente. Due campioni di tennis si affrontano in una partita delle più importanti. Nel bel mezzo del match, comincia a piovere. Il gioco si ferma, i due vanno a sedersi. Toccherebbe al raccattapalle prendere l’ombrello e con quello riparare lo sportivo dalla pioggia. Ma c’è un piccolo particolare. Ciascuno dei due raccattapalle è una raccattapalle. Due giovani donne. Il tennista talentuoso prende lui l’ombrello e lo tiene in mano, riparando entrambi.

Gli schieramenti

Per qualche giorno si è parlato dell’ombrello, più ancora che del risultato della partita. Si sono subito formati due schieramenti. Quello di chi: “ha fatto bene, è un ragazzo beneducato” e l’altro, quello di coloro che: “non ce n’era alcun bisogno. Era uno dei precisi compiti della raccattapalle tenere l’ombrello”.

Sapete una cosa? Hanno ragione entrambi. Non sono ammattita. Il perché lo spiego fra un attimo. Prima bisogna che ci fermiamo un secondo a riflettere.

I cavalieri medievali erano i bisnonni del principe azzurro

In principio c’era la cavalleria. Ovvero il modo di fare dei cavalieri, dei giovani che nel Medioevo incarnavano l’ideale di guerrieri leali e coraggiosi. I cavalieri senza macchia e senza paura erano praticamente i bisnonni del principe azzurro, come ce lo hanno descritto nelle fiabe.

Il loro animo nobile li portava a proteggere le donne e a trattarle con opportuni riguardi. Non solo la donna amata, ma tutto l’universo femminile. Questo comportamento viene ancora definito cavalleresco, benché la cavalleria come ordine militare non esista più da svariati secoli.

La cavalleria parte dal presupposto che le donne siano creature più delicate e fragili e si debba risparmiare loro fatica e sgradevolezze. Nella vita quotidiana, ciò si traduce in gesti concreti. Per esempio, cedere il passo a una donna, tenerle la porta aperta, servirla per prima al ristorante, cederle il posto a sedere in autobus. O in qualunque luogo in cui non ci sia da sedersi per tutti.

Queste regole e questo codice di comportamento si trasmetteva di padre in figlio. Fino alla scorsa generazione, rispettare le regole della cavalleria era segno di educazione o di buona estrazione sociale. Solo i buzzurri non si comportavano da cavalieri.

Cavalleria e femminismo

Poi è successo qualcosa a livello sociale. Le donne hanno rivendicato la parità e gli uomini hanno smesso di esercitare la cavalleria. In parte perché, nel nuovo contesto, non la ritenevano più giustificata. E in parte perché erano le donne stesse a non gradirla. Dunque, se la cavalleria è morta, a ucciderla sarebbe stata la parità o le sue degenerazioni, come il femminismo.

Un collega più giovane, interpellato sul tema, ha confermato che molte amiche ed ex fidanzate si irritavano di fronte a gesti galanti. Ritenevano la cavalleria un modo per mettere in discussione la parità fra i generi. Una forma di discriminazione, perché sottintendeva che la donna fosse più debole e bisognosa di aiuto maschile.

Ma è davvero così? Davvero la parità rende superflua, addirittura negativa la cavalleria? È politicamente scorretto aiutare una donna? Se un uomo ci apre lo sportello dell’auto o porta l’ombrello, dobbiamo apprezzare la sua gentilezza o sentirci sottovalutate?

Il corto circuito ideologico

Premesso che non esistono regole ferree e assolute, ma solo diverse sensibilità, questa cosa della cavalleria come offesa alle donne non mi convince. Sono sinceramente grata per ogni sportello che mi è stato aperto, per ogni collega che si è offerto di portare oggetti pesanti al posto mio, per ogni uomo che si sia alzato in treno per farmi sedere. Credo che siano gesti di cortesia e la gentilezza non può mai essere un’offesa.

E poi, certo, siamo pari. Abbiamo gli stessi diritti. Ma non siamo uguali. Né lo saremo mai. Non mi piace l’idea che gli uomini trattino le donne esattamente come fossero compari di sbronze, o della squadra del calcetto. Fra uomini e donne non ci si prende a pacche sulle spalle, né ci si scambia consigli contro la cellulite. Ci sono comunque delle differenze nel modo di porsi.

La parità dei diritti non rende la cavalleria obsoleta. Al contrario, la rende un atto ancora più meritorio. Un uomo che si comporti da cavaliere oggi, non lo fa perché è condizionato dalle consuetudini. Non si sente obbligato a farlo, per rispetto a delle norme sociali. Proprio perché la cavalleria non è più un atto dovuto e nessuna donna se l’aspetta, l’uomo che la pratica lo fa per sua libera scelta. Una libera scelta che dice molto su chi la compie.

La cavalleria è la libera scelta di un animo nobile

L’uomo di oggi sa di poter fare a meno di trattare le donne con una speciale premura. Quando decide di farlo, rinuncia al proprio vantaggio per favorire la signora o signorina che ha di fronte. Una signora o signorina che magari non conosce e verso cui non necessariamente prova un particolare interesse.

Certo, si parla di piccole rinunce (restare seduto comodamente, entrare per primo in ascensore, scendere dall’auto senza preoccuparsi della passeggera), ma pur sempre rinunce. In un mondo sempre più egoista e prepotente, è un atteggiamento da notare.

Un uomo che è disposto a mettere il benessere di altre persone davanti al proprio, seppur nelle piccole cose, rivela sensibilità e nobilita d’animo. Chiamalo, se vuoi, altruismo. È più probabile che si dimostri generoso verso il prossimo. Chi, al contrario, pensa solo a sé e non si chiede mai cosa farebbe piacere o sarebbe utile a chi gli sta vicino, non dà segnali incoraggianti.

I commentatori hanno ragione entrambi

Ricordate cosa ho detto all’inizio? Che aveva ragione sia chi ha criticato il gesto del tennista che chi lo ha approvato. E lo ribadisco. Hanno ragione entrambi.  Sì, è vero, il gesto di cavalleria non era necessario. E allo stesso tempo, ha fatto bene il tennista a comportarsi così: il suo è un bellissimo segnale di gentilezza.

La cavalleria è morta, viva la cavalleria!

Una volta, al tempo lontano di sovrani, dame e cavalieri, il popolo salutava la scomparsa di un re con questa frase: “il re è morto, viva il re!”. Sembra un controsenso, ma non lo è.

Era un modo per congedarsi dal re scomparso e annunciare l’insediamento del successore. Perché quel che contava non era la singola persona, ma il perdurare dell’istituzione. Non importava chi fosse il re. Non contava davvero se il re deceduto fosse buono o cattivo, giovane o vecchio, simpatico o antipatico. Né se il successore fosse migliore o peggiore. Contava solo il fatto che, morto un re, ce ne fosse un altro, pronto a sostituirlo in tutti i suoi compiti.

È così anche con la cavalleria. La cavalleria è morta, viva la cavalleria! Non importa che la vecchia concezione che la ispirava sia scomparsa e ce ne sia una nuova. Ciò che importa è che gli uomini continuino a comportarsi da cavalieri. Senza macchia, senza paura e con un cuore nobile. E che le donne continuino a comportarsi come dame. Accettando con grazia ogni omaggio.

e qui: https://annaporchetti.it/2023/04/28/a-proposito-di-carita-intervista/

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