Ieri ero in trasferta e ho temporaneamente-e ormai episodicamente- messo in pausa il mio ruolo di mamma manager, in bilico fra videocall intercontinentali, fornelli e figli. Ho fatto una cosa che non sembra usare più: una visita a un cliente. Dal vero, in carne ossa, senza schermo e interfaccia virtuali. Solo sane strette di mano e un minimo di prossimità, con in più cinque ore di autostrada trafficata. La perfezione, si sa, non è di questo mondo. E nemmeno il teletrasporto, purtroppo.
Pranzo senza figli
Dunque, ho fatto questa cosa un po’ vintage di mettermi in macchina e far visita ai clienti. E lì ho scoperto che c’è un’altra cosa che non si usa più: andare a pranzo insieme, dopo il meeting. Mi sono così ritrovata libera e bella, nella campagna modenese, senza nessuno tra i piedi e un tempo pressoché illimitato per mangiare. Senza dove pensare al pasto di genitori anziani e figli, mi sono infilata in un tortellificio con cucina. Mi sentivo quasi in vacanza.
Non solo perché pregustassi chissà che menu. Io sono talmente imbruttita che la mia gioia è pre-culinaria. Sono soddisfatta prima ancora di pensare al cibo. Io sto ancora a monte, per me è già straordinaria l’idea di sedermi a tavola e pranzare, servita.
Senza dovermi preoccupare di quello che mangiano o non mangiano i figli: se oggi sono a dieta oppure attraversano la fase dello strafogamento senza ritegno. Se oggi si sono svegliate salutiste o se entrando in casa, esordiranno con un bel: mi fai un würstel con la senape?
Il lusso del pranzo fuori
In realtà, oltre che in vacanza, mi sono sentita pure un po’ scroccona: mangiavo senza aver contributo a cucinare o mettere la tavola. Senza dover sparecchiare o scrostare le pentole. Una cosa da far girare la testa. Anche se poi, sono così imbruttita, che non ho osato ordinare il tortellino né le altre delizie di cucina. Non lo faccio mai. Finisco per scegliere sempre il piatto di affettati o l’insalatona.
Questa è la regola per noi abituati a far mangiare di altri e poi mangiare qualcosa in piedi, al volo, davanti allo schermo. Una regola che diventa un’abitudine a cui è difficile rinunciare. Così, anche quando potremmo scegliere manicaretti elaborati, prendimo qualcosa di subito pronto, freddo e veloce.
Va detto che il tagliere emiliano era di quelli memorabili. Non certo come il prosciutto di plastica delle buste che tengo di solito in frigo. Quello lo compro al supermercato: prosciutto in atmosfera modificata, come gli astronauti.
I figli sono la nostra freccia
Quindi mi sono seduta. Ed è stato allora, che, non dovendo far andare le mani, ho lasciato spazio alla testa. E mi sono chiesta cosa aspettarci dai figli, in questa epoca in cui ci raccontano che tu sei arco e i figli freccia. E va bene che li scagli altrove, ma almeno vorresti qualche garanzia che, prima di spiccare il volo, qualcosa da te l’abbiano presa. Non il naso o il colore dei capelli, per i quali non hai merito né colpe.
No, tu vorresti la certezza, o almeno la probabilità di aver trasmesso qualcosa di valoriale. Il tuo modo di pensare, la tua etica. Magari anche la fede, tanto sognare è gratis. Perché adesso, forse è troppo presto, o così ti illudi, i figli ti sembrano ancora dei timidi abbozzi dei grandi capolavori che vorresti farne.
L’adolescenza è una terra ostile
Sarà che l’adolescenza, più che pianto e stridore di denti (Matteo 13, 50) è sbattimento di porte, silenzi impenetrabili o astiosi, tempeste ormonali e montagne russe emotive. E tu, con tutto l’amore e il sacro fuoco genitoriale, vorresti vederne presto la fine. (e invece no. Spoiler: l’adolescenza ormai dura tantissimo. Ho colleghi ultraquarantenni che ancora ci sono dentro di brutto).
Coi figli adolescenti ci sono giorni che avresti bisogno dello psicologo e altri dell’esorcista. A te, invece, gioverebbe una settimana su un’isola deserta, in mezzo all’oceano e senza manco il wifi.
Genitori e figli
Bei tempi, quelli di San Paolo, quando le raccomandazioni dell’apostolo suonavano più o meno così:
Figli, ubbidite ai vostri genitori in ogni cosa, poiché questo è gradito al Signore.
Padri, non irritate i vostri figli, affinché non si scoraggino. Colossesi 3, 20-21
Li vorresti vedere adulti, sti figli, con tutto il corredo che pensi di avergli dato.
Ti chiedi se, al netto delle loro divagazioni, delle libere interpretazioni e delle contestazioni, qualche semino che hai cercato di spargere nella coscienza dei figli germinerà e darà frutti. Lo diceva anche Giovanni:
Non ho gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità. 3 Giovanni 4
Dal frutto giudichi la pianta
Il Vangelo dice che dal frutto giudichi la pianta:
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Matteo 7, 16-18
Non c’è frase più vera. Dalle mie parti diciamo la stessa cosa, anche se più prosaicamente: la mela non cade lontano dall’albero. Ma insomma, il concetto è quello. Perché, se pensi a te stesso senza figli, senza qualcuno che in futuro ti metta di fronte alle tue contraddizioni, errori, piccolezze. Corri il rischio di autoassolverti, di potertela raccontare.
Ai figli serve il buon esempio dei genitori
E invece sono lì, quegli occhi che ti guardano. Niente ti inchioda più dello sguardo di un figlio sulle tue azioni. Azioni che non ti appartengono più. Non sono più qualcosa che ti sbrogli da solo. Le tue azioni diventano pesanti come macigni, quando devono essere d’esempio per qualcuno. E non persone che non conosci e di cui non ti importa granché. Non qualcuno in astratto, ma la carne della tua carne, il sangue del tuo sangue. Questa sì che è una responsabilità.
Ma guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Deuteronomio 4: 9.
Il bello della trasferta
Dunque, per i figli bisogna farsi forza. Diventare la versione migliore di sé. Perché loro impareranno quel che vedono e vivono, più che quello che gli raccontiamo (bastassero le chiacchiere, io sarei mother of the universe 2024).
E insomma, le trasferte sono diventate una figata, una vacanza da noi stessi, in cui si mangia, si beve e si fanno riflessioni filosofiche.
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