La legge morale della reciprocità
Qual è il comportamento giusto e morale verso chi ci circonda? Potremmo lambiccarci per giorni. Stilare lunghissime liste e decaloghi sulle cose da fare. E quelle da evitare. E anche così, qualcosa potrebbe sfuggire.
Come comportarsi col vicino impiccione? E col collega invidioso? È morale detestare cordialmente il capo, quando viene preso dalla frenesia di tratternerci per urgenze inesistenti, dopo le sette di sera? Spettegolare è un innocuo hobby che non lede la morale, o un atteggiamento peccaminoso? È morale mentire per affetto con gli amici, per dire loro proprio quello che hanno bisogno di sentire? Insomma, definire la morale in concreto, caso per caso, rischia di diventare un mal di testa.
La morale è relativa?
Senza contare che qualcosa che oggi per noi è inconcepibile, una volta, forse, era assolutamente accettato dalla morale. Le sensibilità cambiano, come si fa a sapere se si è nel giusto? Come si fa a essere sicuri di non offendere nessuno, nemmeno involontariamente, in questa epoca in cui, qualunque cosa si dica o si faccia, c’è sempre qualcuno che la prende come un affronto personale?
È possibile essere a posto con la propria coscienza, anche quando non si viene compresi? Esiste una legge morale che funziona sempre. Non per niente si trova nel vangelo. Formula soddisfatti o rimborsati.
Una regola semplice
Il bello di questa regola universale, è che, oltre a funzionare sempre, è anche semplice. Ve la spoilero subito. Arriva dall’apostolo Luca:
Ama il prossimo tuo come te stesso Luca 10, 27
Adesso, ditemi se non è geniale. Zero liste, zero dubbi, zero errori. Perché, fra tante incertezze, cambiamenti sociali e di cultura, una cosa resta piuttosto chiara: ciascuno di noi vuole bene a se stesso. Certo, non sempre ci piace tutto di noi. A volte ci deludiamo, non siamo all’altezza delle nostre stesse aspettative.
Talvolta sbagliamo. Ma, nel complesso, ci vogliamo bene. Ci teniamo a noi. Ecco, se riuscissimo a destinare agli altri lo stesso affetto che proviamo per noi stessi, saremmo a cavallo. Questa è l’essenza della morale: concepire e trattare l’altro da sé, come fossimo noi stessi.
Si fa presto a dire: ama il prossimo
Il fatto è che si fa presto a dire: ama il prossimo. Come te stesso, poi. È un’impresa. Ma come, tutti li devo amare? Tutti quelli che mi sono prossimi? Non solo quelli che mi sono simpatici? Oppure quelli con cui vado d’accordo? Chi tifa per la mia stessa squadra di calcio, condivide il mio orientamento politico, magari viene in vacanza nel mio stesso stabilimento da anni. Con quelli vinco facile: già li amavo da prima.
Ma gli altri? Quelli che non conosco, che magari, a frequentarli, non mi piacerebbero per niente. Gente con cui non avrei voglia di prendere neanche un caffè veloce al banco del bar. Pure quelli devo amare? Come me stesso addirittura? Che succede se il prossimo non è prossimo per nulla? Anzi, magari è lontano che più lontano non si può?
Non si può fare un’eccezione? Dire che magari lo rispetto, forse pure lo stimo, ma amarlo no! Io uno così non lo posso amare. Che si fa se il prossimo è sporco, brutto e cattivo? Pure quello devo amare? Ci deve essere un errore…
Amare il prossimo è il cuore della morale
Eppure, Gesù è molto chiaro. Non c’è spazio di interpretazione. Sto prossimo bisogna proprio amarlo. E no, non è un suggerimento, un consiglio, un possibilità. No, è proprio un comandamento. Caso mai ci fossimo distratti, o stessimo tentando di fare gli gnorri, Gesù insiste:
Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Giovanni 13, 34
Il prossimo bisogna proprio amarlo. Anzi, nel vangelo di Giovanni, si sale di livello, come nei videogiochi. Non solo devi amare il prossimo come te stesso, ma come Gesù ci ha amati. Ovvero fino a dare la vita per noi.
Vi sembra possibile? E infatti, proprio perché il prossimo può essere brutto, sporco e cattivo e quindi tutt’altro che amabile, Gesù cala l’asso. Non solo lo devo amare come me stesso, sto prossimo di cui non so bene cosa fare.
Addirittura lo devo amare senza limiti. Dell’amore disinteressato e generoso di Gesù. Se ci riesco, per forza il mio comportamento sarà assolutamente morale. Ma come faccio?
Amare l’altro è una questione di speranza
L’unico modo che conosco, per provare ad amare il prossimo (e badate, mica garantisco che ci riusciate, per lo meno non sempre!) è proprio smettere di pensare a chi è, che fa, cosa pensa. Amarlo a prescindere. Amarlo per l’umanità che rappresenta. Un’umanità fraterna, che resta tale anche quando sbaglia. Anche quando si rende detestabile o solo antipatica.
Se riesco a fare questo, ad amare gli altri senza che debbano meritarselo, senza che debbano conquistarsi il mio cuore, se riesco ad amarli come fa Dio, solo perché esistono, senza porre condizioni, allora il mio comportamento diventa davvero morale.
Se riesco a vedere in ogni uomo non solo un uomo, ma Dio, allora posso provarci, ad amarlo, pur senza conoscerlo. O, talvolta, pur conoscendolo molto bene.
E posso farlo solo se spero in una ricompensa. Se spero di essere anche io amato come Lui ci ha amato. E come il prossimo ama sé stesso.
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