Com’è nata la mia passione per i santi?
La mia passione per i santi ha radici nella mia infanzia. In questi giorni mi capita spesso di pensare a mia nonna. L’ho persa nell’estate del 2000. Avevo ventotto anni ed ero sposata da quasi un anno. Era molto malata, ma ha lottato fino alla fine. Lei amava davvero la vita. Nonostante tutto. L’anno dopo nacque mia figlia, che porta anche il suo nome. Mi spiace che non si siano conosciute. Ho perso mia nonna più di ventitré anni fa. Di tanto in tanto la sogno, ma solo ora, da adulta, credo di cominciare a capirla davvero. A capire il valore della sua eredità.
La forza della speranza
Mia nonna ha avuto una vita difficile. Una mamma persa quando ha solo sei anni, durante l’epidemia di spagnola. Un padre che perde la tramontana e smette di occuparsi dei figli. Figli che devono imparare assai presto a cavarsela da soli in tutta la gestione quotidiana, dal prepararsi i pasti a occuparsi della casa. Poi arriva la guerra, mia nonna perde tre dei suoi sei fratelli. Un altro lo perderà negli anni cinquanta, in un incidente in moto. Nel giro di qualche anno, mia nonna perde anche l’unica sorella di malattia. Eppure, lei, mia nonna, all’epoca ventenne, non ha mai perso la speranza.
Sposa mio nonno. S’imbarcano nella difficile impresa di far quadrare il bilancio familiare, in un’italia ancora devastata dalla guerra, ma con tanta voglia di risollevarsi. Si risollevano anche loro, le cose vanno bene, le figlie crescono e danno serenità. Fino a che, nel ’69, la figlia maggiore, che aspetta il secondo bambino, muore in un incidente d’auto.
So che molti matrimoni crollano sotto la tragedia della perdita di un figlio, ma così non è stato per i miei nonni. Rimangono insieme quasi quarantacinque anni. Un infarto si porta via mio nonno di notte, in pochi minuti. Ricordo che andavo ancora alle elementari. Non avevo mai perso nessuno, prima di allora.
Una piccola grande donna
Malgrado questa enorme sequenza di lutti e dolori, mia nonna è sempre stata una persona positiva. Noi nipoti, da piccoli, non abbiamo mai nemmeno intuito quanto dolore lei portasse nel cuore. La nonna era una donna energica e allegra, con tanta voglia di vivere. Per noi inventava favole e filastrocche.
Non aveva un buon rapporto con la tecnologia, in questo le somiglio molto. Se la cavava a meraviglia in tante cose pratiche, ma non ha mai imparato ad andare in bicicletta o a usare il telefono. Non parlo degli smartphone o le diavolerie moderne. Lei non ha mai imparato a usare il telefono fisso, quello che ai suoi tempi aveva ancora la rotella.
Il telefono, a casa dei miei nonni, aveva un posto d’onore in salotto. Stava su una specie di alzata, uno sgabello alto e piccolissimo, su cui non c’era nemmeno lo spazio per un foglietto e una matita. Quando squillava, mia nonna gli si fermava davanti e diceva a chi c’era intorno: “sta suonando, sta suonando, rispondete!”. Quando le passavamo la cornetta, la prendeva fra le mani come un oggetto delicato.
Si emozionava così tanto che si dimenticava di chiedere chi fosse. Non ha mai nemmeno fatto un versamento in posta o una operazione bancaria. Quando, a casa di mia mamma, mi vedeva impegnata a battere furiosamente sui tasti della Olivetti di mia madre (la grafomania è un vizio che ho sin da piccola), rimaneva ammirata. Manco si trovasse di fronte a una impresa straordinaria. “non è mica facile” mormorava fra sé. Oggi la chiameremmo boomer.
L’amicizia coi santi
Ho di lei questo ricordo: una persona buona e sorridente, ma che viveva in un mondo tutto suo. Un mondo che a noi nipoti, ragazzini, sembrava antico e superato. Solo ora capisco quanto in realtà, già allora, mia nonna fosse piu’ avanti di me.
Mia nonna pregava moltissimo. Quasi incessantemente. Qualunque cosa facesse, in sottofondo pregava. La domenica mattina veniva a casa dei miei e ci tirava giu’ dal letto, a noi ragazzi, per invitarci ad andare a Messa.
Per ogni problema aveva il suo santo. Quello per le cose smarrite, quello per il mal di questo e quello, il santo per i problemi economici e per quelli di coppia. Intratteneva coi santi un rapporto affettuoso, di confidenza. Pareva che li pregasse rivolgendosi a degli amici.
La mia passione per i santi la devo alla nonna. Me l’ha trasmessa lei, affascinandomi con le loro storie di vita. I santi per me, da bambina, erano i supereroi della fede. Avevano poteri straordinari. Erano dei supereroi la cui grandezza era difficile da capire e condividere – come si fa ad andare incontro al martirio con letizia? Ma come, noialtri facciamo qualunque cosa per evitare non dico un doloretto, ma persino un fastidio!
Come si può desiderare di essere uccisi, di solito fra atroci sofferenze, per una cosa così poco appariscente, poco riconosciuta, per nulla apprezzata dal mondo come la fede? E invece no, i santi se ne rallegravano immensamente. Desideravano, al di là di ogni sofferenza, trovarsi al cospetto di Dio. Era difficile per me, da ragazzina, capirlo. Eppure i santi mi attiravano moltissimo.
La devozione dei pugliesi per i santi
Credo che sia cosi perché siamo pugliesi e non svizzeri o svedesi. E’ una questione culturale. In svizzera o in Svezia, se hanno un problema, cercano la soluzione, la procedura, il meccanismo. In Puglia, se hai un problema, quello che ti chiedono tutti è: ma non hai un amico che ti vuole bene, che ci può mettere una buona parola?
Ecco, in Puglia siamo devoti ai santi, perché sono gli amici per eccellenza. Quelli che la buona parola ce la mettono sempre, a prescindere. E mia nonna aveva un mare di amici: tutti i santi del calendario. Man mano che invecchio, divento come lei. Refrattaria alla tecnologia e al mondo esterno. Sempre più profondamente immersa nel mio. Un mondo pieno di amici ultraterreni, pronti a metterci una buona parola, sempre.
parlo spesso dei santi, per esempio qui: https://annaporchetti.it/2022/10/31/avviso-di-chiamata-alla-santita/ e qui: https://annaporchetti.it/2023/11/01/storie-di-sposi-santi/
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