Uomini e donne

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Chi si accostasse alla Bibbia e ai suoi personaggi, alle relazioni tra uomini e donne come la Scrittura le rappresenta, dovrà ricordarsi che il Dio dei cristiani non ha dettato un testo. È entrato nella storia attraverso storie di incontri, relazioni. Ha ispirato racconti e parole che sono frutto di un intreccio particolare: l’ispirazione di Dio e la libera creatività dell’uomo. Un rischio, ma anche la garanzia di eterna attualità

Con questa premessa, bisognerà allora dare per scontato che uomini e donne che la Bibbia presenta siano quelli della storia, della geografia e della mentalità di quei tempi. Che fanno le donne nei Vangeli? Quello che facevano davvero: spesso le casalinghe. Vanno a prendere l’acqua al pozzo, perdono monete mentre fanno le faccende, seguono un figlio al funerale, accompagnano un’amica a sposarsi. Troviamo, nei Vangeli, figli maschi col padre, la madre non è descritta.

Se c’è molta psicologia maschile, è perché ci sono più maschi in giro nei posti che contano, ai tempi di Gesù di Nazareth. Incontriamo diversi imprenditori e molte professioni: tutte maschili, a parte una vecchia profetessa nel Tempio. Gesù, è vero, rivoluziona la maniera di considerare la donna: basterebbe osservare solo gli eventi della Resurrezione. Ma se ti incarni duemila anni fa, questo passava il convento: una società diseguale.

Il Nuovo Testamento è abbastanza avaro di storie d’amore tra marito e moglie, di problematiche del ménage familiare, di infatuazioni e di pastorale familiare. I testi fondativi della fede di Israele e del cristianesimo sono nati con altri scopi. Come possiamo, allora, trovare dei lumi e un fondamento, se volessimo sostenere una via “maschile” e una “femminile” dell’amore?

Non esistono più uomini e donne

Non esiste una duplice spiritualità cristiana. Dio ci crea a sua immagine, noi la sporchiamo col peccato e la grazia di Dio ci converte e ci salva: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più né uomo né donna”. Ma queste espressioni vanno lette nell’insieme della visione del messaggio. E di certo non invitano a smarrirsi in una angosciosa instabilità.

Il cristianesimo pone al centro la persona. Non ama né il fluido né l’uniforme. Né l’instabile. Aiuta la creazione di una identità. Che non è mai contro l’altro ma per l’altro, al suo servizio. Aborre il vuoto, quel baratro in cui un essere umano si dimena nell’incertezza, senza visione, senza saper dove va e da dove viene e per questo può far tutto o nulla, può legarsi a uno come a centomila. Può svanire nell’indistinto e nella nebbia della mancanza di una vera identità. Che, oggi, pare una parolaccia. Perché la si interpreta come qualcosa di duro, invece che di stabile, di rigido, invece che di chiaro e affidabile.

Gesù di fronte all’umanità

Quando Gesù incontra uomini e donne, è molto rispettoso della loro storia. Posa su di essi uno sguardo di misericordia e speranza, che sono sinonimi. Intende convertirli, che significa trarre da loro il meglio, non cancellarli per rifarli ex-novo. Vuol dire mettere davanti agli occhi di ciascuno i talenti di cui si dimenticano, e che vanno sprecati. Per questo, se racconta di un padre, non parla solo di quello del Cielo, perfetto. Parla anche agli uomini che stanno in terra. Perché sappiano che in un maschio è nascosto un padre da rivelarsi.

Quando si fa accompagnare da dodici uomini, i suoi apostoli e amici, apposta si fa toccare la veste da una donna malata. E loro, impietosi, gli suggeriscono quello che era naturale per tutti gli uomini: passare oltre e non fermarsi, in fin dei conti era solo una donna e persino impura, malata. L’uomo Gesù fa il contrario, si ferma proprio con lei. Insegna il piacere del rapporto a due, della compassione che fa fermare, della capacità di ascoltare che tante volte non brilla in troppa maschilità distratta. ù

L’identità

Gesù, incontrando una casalinga che andava a prendere dell’acqua per casa, non la manda dal sindacalista per rivendicare un lavoro migliore, più degno: glielo inventa lui, il lavoro. Le fa comprendere che quel servizio prezioso può diventare anche un’opera più alta, più grande, può portare lei stessa il Vangelo agli altri perché c’è molta sete di senso di vita, non solo d’acqua, nelle persone.

Come donna, lo può fare. Con la femminilità con cui la grazia si incarna in lei. Senza attendere il marito, il parroco o i figli. Gesù Cristo responsabilizza i nostri talenti. E tra questi c’è la nostra identità di donna o di uomo. Nella ricerca del “dare il meglio” di ciascuno, il Figlio di Dio non è certo dimentico di verità identitarie profonde e antiche che da sempre fanno parte di Adamo ed Eva, cioè dell’umano in forma maschile e in quella femminile.

Uomini e donne del Vangelo

I Vangeli non descrivono uomini e donne idealizzati né ideali. Incontrano uomini un po’ rozzi eppure generosi, ladri ma desiderosi di cambiare vita, furbi e scaltri e per questa scaltrezza portati a modello. Incontrano anche uomini violenti e annegati nell’odio, che non si salvano. Nella parabola delle dieci vergini che attendono il corteo dello sposo c’è la più netta descrizione della mancanza di solidarietà femminile. Non sarà stato quello lo scopo della parabola, ma intanto il Vangelo delinea la vita come va: senza troppa solidarietà tra donne in carriera.

In fondo, la Parola di Dio, se saputa accostare con fiducia, è uno specchio buono e sincero, molto più affidabile di quello di Biancaneve e della sua matrigna. Chi impara a guardarci dentro, impara a comprendere se stesso e come amare meglio. La Chiesa, non a caso, non ritiene che la Bibbia sia solo un libro, pur bello. Crede che sia l’incontro con le persone della Trinità, la rivelazione del volto di Dio in quello di Gesù Cristo.

Ritiene che sia la rivelazione del Maestro dell’Amore. Colui che non ci insegna ad amare in generale né dimenticando chi siamo. Ci sostiene nell’arte dell’amore a partire dal particolare, dal puntuale: la mia singola persona, che è fatta di una storia, una geografia, un’anima e un corpo. E se questo, il corpo, è sessuato, senz’altro anche quella, l’anima, si forgerà a partire dalle esperienze che quell’uomo, quella donna, nel loro preciso contesto storico e geografico, faranno.  Perché l’anima senza il corpo non si dà, non sa esistere. Papa Francesco ha detto che “il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito”.

Sfide per tempi liquidi

 La grande sfida, in tempi liquidi, svaniti e malati di “uniformismo” slavato, è aiutare la donna ad essere più donna e l’uomo ad essere più uomo. La “casa sulla roccia” di cui parla il Vangelo di Matteo, è la paziente costruzione di persone salde, affidabili, forti come è forte l’amore. Il Cantico dei Cantici attraversa da millenni la storia dell’umanità offrendo come modelli una donna e un uomo parecchio determinati, liberi, che da sempre ci attraggono con la loro forza di cercarsi, attrarsi, perdersi e cercarsi ancora.

Capiamo, leggendo, che sono anche un po’ orgogliosi del loro essere donna, uomo. Di loro di ciò che sono e possiedono, mettono tutto al servizio dell’altro. Lo spirito cristiano è la via sicura perché la nostra identità si realizzi e si collochi, con chiarezza, al servizio dell’altro e del Regno che viene.

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