Don Bosco

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Oggi la Chiesa commemora un grande santo normale: Don Bosco. Cosa vuol dire: “un grande santo normale”? E’ indubbio che Don Bosco sia stato una figura di primo piano, nella storia della Chiesa dell’ottocento.

Mons. Giuseppe De Luca, conoscitore profondo della religiosità italiana, ha scritto di lui: «Nella storia dell’ottocento italiano Giovanni Bosco è nella santità non meno di quello che Alessandro Manzoni è nella letteratura o Camillo di Cavour nella politica: vale a dire “un sommo”». Allo stesso tempo, Don Bosco è stato un uomo semplice, poco incline alla solennità, abituato a rimboccarsi le maniche e darsi da fare. I suoi biografi lo dipingono come un uomo dal forte carattere, dotato di una certa impulsività, talvolta portato alla collera. Don Bosco non nasce santo, si fa santo, con la forza di volontà e acquisendo in dominio di sé.

Un santo tutto fare

Don Bosco non nasce in una famiglia agiata. Perde il padre ancora bambino, a poco più di dodici anni si impiega come garzone. Intelligente e volenteroso, per mantenersi agli studi farà ogni tipo di lavoro: il cameriere, lo stalliere, il sarto. Il suo sogno è studiare, per farsi prete. La madre non ha i mezzi per aiutarlo, ma Don Bosco non demorde. Finalmente riesce a entrare in seminario e, dopo molti sacrifici, prende i voti.

Don Bosco e i giovani

Don Bosco scopre presto la sua vocazione: soccorrere i giovani in difficoltà. Girando per le strade di Torino, scopre una umanità giovanile sofferente dal punto di vista fisico e morale. Vicino a Porta Palazzo, scopre una moltitudine di giovani , che vivono alla giornata, prestandosi a ogni sorta di lavoro: venditori di zolfanelli,
lustrascarpe, spazzacamini, stallieri.

Ragazzi poveri, disperati, che tentano di sopravvivere, in un mondo duro e ostile. Don Bosco comincia a frequentare anche le carceri. Lo spettacolo di tanti giovani, in estrema povertà, affamati e divorati dai parassiti, lo spinge a cercare una soluzione.

I salesiani

Nasce il suo oratorio. Non è solo un servizio legato alla domenica o alla vita spirituale. Don Bosco si dà da fare per aiutare i ragazzi anche in modo pratico: a
cercare lavoro e a studiare la sera, per chi ne ha voglia. Racconta lui stesso, nelle sue memorie:

Durante la settimana andavo a visitarli sul luogo del loro lavoro, nelle officine, nelle fabbriche. Questi incontri procuravano grande gioia ai miei ragazzi, che vedevano un amico prendersi cura di loro. Facevano piacere anche ai padroni, che prendevano volentieri alle loro dipendenze giovani assistiti lungo la settimana e nei giorni festivi. Ogni sabato tornavo nelle prigioni con la borsa pena di frutti, pagnotte, tabacco. Il mio scopo era di mantenere i contatti con i ragazzi che per disgrazia erano finiti là dentro, aiutarli, farmeli amici, e invitarli all’Oratorio appena fossero usciti da quel luogo triste.
(Memorie di san Giovanni Bosco, p.107)


Alcuni dei suoi ragazzi, però, alla sera non hanno dove dormire. Finiscono sotto i ponti o nei dormitori pubblici.

Ero persuaso che per molti ragazzi ogni aiuto era inutile se non gli si dava una casa. Per questo mi sono dato da fare per prendere in affitto altre stanze, e poi altre ancora, nella casa Pinardi, anche se il prezzo era esagerato.
Di giorno, queste stanze servivano anche da classi, e così potemmo iniziare la scuola di musica e di canto.

(Memorie di san Giovanni Bosco, p.170)

La tettoia

Finalmente la svolta, il 12 aprìle 1846:
La domenica seguente, solennità di Pasqua, si trasportarono colà tutti gli
attrezzi di chiesa e di ricreazione e andammo a prendere possesso della nuova
località.

Così don Bosco ricorda la povera tettoia-cappella, prima sede fissa dei suoi ragazzi.

La sua prima benefattrice di Don Bosco è sua madre. Margherita,
povera contadina di 59 anni, lascia la sua casa per venire a far da madre ai
ragazzi. Per mettere qualcosa in tavola per i ragazzi, vende l’anello, gli orecchini, la collana che fino allora aveva custodito gelosamente. I ragazzi ospitati da don
Bosco diventano 36 nel 1852, 115 nel 1854, 470 nel 1860, 600 nel 1861. Fino a diventare 800.

Un aiuto concreto

Nascerà così la Congregazione Salesiana. I primi a farne parte sono Michelino Rua, Giovanni Cagliero (che diventerà cardinale), Giovanni B. Francesia.
Nell’archivio della Congregazione Salesiana si conservano alcuni documenti rari. Sono tra i primi contratti di apprendistato che si conservano in Torino. Tutti sono firmati dal datore di lavoro, dal ragazzo apprendista e da Don Bosco. Alcuni padroni usavano gli apprendisti come servitori e sguatteri. Don Bosco li
obbliga a impiegarli solo nel loro mestiere. I padroni picchiavano, e don Bosco esige che le correzioni siano fatte solo a parole. Si preoccupa della salute, del riposo festivo, delle ferie annuali.

A partire dal 1853, Don Bosco crea anche dei laboratori nell’Oratorio di Valdocco. Vuole formare i suoi ragazzi perché imparino dei mestieri: calzolai, sarti legatori, i falegnami, i tipografi, i meccanici. Sei laboratori in cui i posti privilegiati sono per «gli orfani, i ragazzi totalmente poveri e abbandonati».
Le scuole professionali sono un concreto strumento per dare a giovani poveri un futuro dignitoso.

L’eredità di Don Bosco

Negli anni che seguono, con un lavoro a volte estenuante, don Bosco realizza opere imponenti. Oltre ai Salesiani fonda l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per le ragazze e i Cooperatori Salesiani. Fonda 59 case di Salesiani in sei nazioni. Inizia le «Missioni Salesiane» inviando preti, coadiutori e suore nell’America Latina. La porta del suo oratorio è sempre aperta e il suo cuore resta umile.

«Io non ho fatto niente. È la Madonna che ha fatto tutto». Dice, a chiunque tenti di lodarlo. Muore all’alba del 31 gennaio 1888. Ai Salesiani che vegliavano attorno al suo letto, dice: «Vogliatevi bene come fratelli. Fate del bene a tutti, del male a
nessuno… Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso»

e anche qui: https://annaporchetti.it/2023/06/26/montagna-croce-e-delizia/

e infine qui: https://annaporchetti.it/2023/04/08/sono-anticonformisti-i-cattolici-romani/

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