Dove sta andando la maternità?

Vai al blog

I miei articoli:

La maternità divina

Oggi la Chiesa cattolica di rito romano celebra la divina maternità di Maria (nel rito ambrosiano, quella festa cade nella sesta domenica di avvento, detta festa dell’incarnazione). Una festa importante, ora che la maternità tutto appare meno che divina. Non credo ci sia stato un contesto storico e culturale che ce l’avesse con la maternità come l’attuale.

Ho letto un articolo su Rita Levi Montalcini, medico e scienziata italiana, vincitrice di un premio Nobel per le sue ricerche sul cervello. E’ una cosa bellissima e un grande motivo di orgoglio che a compierle sia stata un’italiana. Siamo non più solo un popolo di santi, poeti, navigatori. Siamo anche medici e scienziati di fama mondiale.

Si poteva rovinare un traguardo così bello, infarcendolo di ideologia? Era difficile, in effetti, ma ci sono riusciti. Perché l’unica lettura che è stata data della vicenda umana e professionale della Levi Montalcini è stata: e beh, lei ha vinto il Nobel, perché non si è sposata e non ha avuto figli!

La maternità come ostacolo alla vita (delle donne)

E dunque la maternità viene dipinta come il principale, se non l’unico ostacolo ai successi delle donne. Si crea così un finto rapporto causa effetto, che sembra molto suggestivo. Vedete gente, che avevamo ragione a demonizzare la maternità? Guardate la Levi Montalcini! Lei ne è la prova. Zero figli e un Nobel.

Se è per questo, permettetemi di rilanciare: Marie Curie, due figlie e due premi Nobel. 2 fils is mel che zero, direbbe la pubblicità del gelato. Ma io non voglio proprio entrare in questo genere di rivendicazioni.

Fatemelo mettere per iscritto qui, così non ci sfugge: se anche non avessi avuto le mie figlie, non avrei comunque vinto un Nobel. Né la gara di poesia della proloco. E probabilmente neanche voi.

E questo mi dispiace. Non tanto per il Nobel, chi avrebbe voglia di andare a prendere freddo fino in Svezia? Peccato piuttosto non poter allungare le mani sui premi letterari della proloco, che si solito prevedono ottimi salami, formaggi e altre vettovaglie del luogo. Tuttavia, questo mancato traguardo non ha assolutamente a che fare alla mia maternità. Non sono le mie figlie la causa di questo mio mancato successo planetario. Io non ci sarei arrivata comunque. Maternità o no. E non credo che questo valga solo per me.

Perché a un certo punto bisogna far pace col fatto che non c’è un potenziale premio Nobel in ciascuna di noi, e che questa genialità non è stata messa in scacco dalla maternità.

Vi prego, aiutatemi a sfatare questo nuovo mito di fondazione della femminilità progressista: il mito della grande castrazione della maternità. Quello in base al quale, chissà dove saremmo adesso, se solo avessimo rinunciato ai figli.

Un alibi per la normalità

Nella cultura del Successo non possiamo accettare di essere donne assolutamente normali. Abbiamo bisogno di pensare (e di dire a gran voce): voi mi vedete così, ma io avrei potuto avere ben altro! Se solo non avessi avuto quelle palle al piede dei miei figli, adesso sarei presidente dell’ordine galattico, con delega ai lavori stradali sulla via lattea.

Forse c’è la tentazione di raccontarselo, per non ammettere la vera verità: che siamo persone comuni e non siamo destinate a imprese eccezionali.

Da quando la normalità è diventata qualcosa di cui giustificarsi? Cosa c’è di così sbagliato nel fare una vita comune, nell’avere un lavoro onesto ma non prestigioso, nel fare le vacanze ai lidi di Comacchio? Perché il successo ci appare un diritto e la sua mancanza un’inaccettabile ingiustizia?

La nuova religione del successo

Qualche giorno fa leggevo un articolo di Camillo Langone. Si intitola: Pretendiamo figli da chi non riesce più a spaccare delle mandorle e non è neanche una provocazione. Secondo il giornalista, siamo diventati un popolo di debosciati, che delega qualunque fatica e attività ad altri. Compriamo pesce già pulito e frutta secca già sgusciata. E questa ignavia spiega la nostra contrarietà ad avere figli.

La vera domanda è: cosa si fa di tutto il tempo e le energie che si risparmiano, delegando ogni semplice incombenza ad altri? Ve lo dico io: noi dedichiamo ogni istante e ogni sforzo alla ricerca del successo. Non al lavoro, all’impegno, alle vere capacità. No, solo alla ricerca spasmodica di visibilità, di successo, di elevazione rispetto ai comuni mortali.

Quello che interessa alla nostra epoca è apparire vincenti, non necessariamente esserlo. Costruirsi una immagine sfavillante, desiderabile e invidiabile. Ne è la prova l’esercito di influencer, nuova figura professionale che non crea nulla, non produce nulla, non ha alcun talento, se non ammaliare con la propria immagine, convincendo i follower che anche loro conquisteranno lo stesso status. Solo a patto che continuino a seguirli. E che ovviamente comprino tutto quello che il loro influencer pubblicizza e che di solito non ha mai usato.

La gente dedica a questo obiettivo tutto il fervore e la devozione che un tempo riservava alla religione. La ricerca del successo è la nuova religione.

La maternità non è divina e neanche cool

Tutto ciò esclude ogni possibile distrazione dall’univo vero scopo: la costruzione del proprio personaggio. E’ impensabile dedicare energie a un altro essere umano. Specie un figlio. Ma che, scherziamo? un figlio è un investimento di tempo e lavoro a lungo termine. Ci vogliono venti o più anni, per accompagnarlo alla soglia dell’età adulta. La maternità non solo non è più divina, non è nemmeno più cool, ovvero di moda.

Maria è madre di Dio, che è il massimo della carriera a cui poteva aspirare. Perché, poveretta, ai suoi tempi, una donna che alternativa avrebbe avuto? Lei non aveva scelta, ma noi, la generazione di donne che si autodetermina sì. E allora, secondo l’attuale logica egoistica e autoreferenziale, viene spontaneo chiedersi: ma a essere madre io, che ci guadagno?

E’ questa la vera domanda fondamentale. Perché essere madre? Dove sta il beneficio? Quello che riporta il bilancio in attivo, malgrado notti in bianco, preoccupazioni, scarso tempo libero, interminabili riunioni di classe, d’interclasse, d’istituto? Molte non trovano risposta e quindi i figli non li fanno. Poi si ritrovano da sole, a quaranta o cinquant’anni o ancora più tardi. Gli sembra che il mondo le abbia ingannate, ma non riescono a capire perché.

Saremo giudicati sull’amore

Esiste un esercito di donne mature che si struggono, chiedendosi come mai non siano diventate Queen of the Universe. Eppure, hanno tributato quotidiana abnegazione alla realizzazione personale? Ve lo spiego io. Perché l’essere umano si realizza nell’amore. Amare ed essere amati è la circostanza che ci fa dire che la nostra vita è stata gratificante. Anche se non ci ricorderanno nei libri di storia. La maternità è il più grande esercizio d’amore che si possa sperimentare. Per questo non è paragonabile a nessun mestiere.

Non si fa la madre. Si è madre. Con tutta la propria essenza, la propria personalità, la propria anima. Si dà e si riceve con il cuore, con la testa, con le viscere. Chi ha sperimentato un amore così profondo, difficilmente si sente fallito.

Alla fine della vita, saremo giudicati solo sull’amore. E come si fa ad amare il prossimo, se non ci riesce di amare nemmeno il sangue del nostro sangue?

il mio blog: https://annaporchetti.it/

di affidarsi a Dio: https://annaporchetti.it/2022/10/31/fidarsi-e-bene-affidarsi-e-meglio/

seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.

il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu