La beneficenza finta e la carità vera

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La beneficenza finta

Da un po’ di tempo non si parla che di uno strano caso di beneficenza finta e di una influencer che ci è cascata dentro con tutti i piedi. Ne avete sicuramente sentito parlare. A meno che non abbiate passato gli ultimi due o tre giorni su Marte. Diversamente, è improbabile che vi siate persi l’affaire di fine anno.

C’era una volta una influencer: bionda, patinata, mediaticamente esposta. Un bel giorno, la bionda incontra un’azienda, che le offre dei soldi, per abbinare il suo nome (e la sua fama) al suo prodotto. Si tratta di un dolce natalizio che, in condizioni normali, costerebbe circa tre euro al pubblico. Ma, come per magia, se sulla scatola del dolce compare l’immagine dell’influencer, il prezzo del prodotto lievita fino a nove euro. Non per qualche lievito straordinario, ma per una questione pubblicitaria. Da tre euro a nove.

Triplica il suo prezzo. Li vale? Non Li vale? Quanto è disposto a pagare un consumatore, per avere lo stesso dolce natalizio di sempre, ma con l’immagine della sua bionda influencer preferita?

Fare beneficenza mentre si fa la spesa

Per tagliare la testa al toro, ecco il colpo di genio. Il dolce costa di più, è vero, ma questo maggior costo viene in parte donato ai bambini malati di un famoso ospedale. Questo cambia parecchio le cose. Cosa possiamo fare, per sentirci un poco meno egoisti, un poco meno in colpa? Di fronte alla beneficenza, specie quella verso i bambini, la nostra diffidenza cala.

Chi, in coscienza, negherebbe un aiuto ai bambini malati? Tanto più che non ci si chiede di scendere in trincea, di curarli, di andare anche solo a visitarli, questi bambini. Niente di così faticoso. È sufficiente, che la prossima volta che andiamo al supermercato, prendiamo proprio quel dolce lì, invece di un altro, di una marca a caso. Quello sponsorizzato dalla bionda influencer.

Per essere più generosi, è sufficiente comprarlo. Semplicemente lo si mette nel carrello della spesa. Più comodo di così!

In fondo, ai bambini malati glielo dobbiamo. Mentre loro soffrono, noi pensiamo alle feste e ci compriamo pure il dolce di Natale. Noi che stiamo bene, almeno un pandoro griffato possiamo comprarlo. Ha un prezzo stellare, ma pazienza, è per una buona causa!  

Gli influencer buoni

La bionda influencer ne ha ricavato un ricco compenso. Pagato dall’azienda dolciaria a cui non sembrava vero di poter vendere i suoi pandori a un prezzo esagerato. Un prezzo che -non fosse per la beneficenza – sarebbe considerato universalmente indecente. Oltre a guadagnarci dei soldi, la bionda riesce pure a farla passare per un’opera meritoria. Perché, nel dorato mondo dei creatori di influenza e consenso, tutto è immagine, reputazione, apparenza.

L’influencer ha una smisurata fortuna economica e vive una vita lussuosa, lontanissima da quella della gran parte dei comuni mortali. Per questo, ha bisogno di rendersi un po’ più simpatica alle masse. Un po’ più accessibile. Quasi donna della porta accanto, che ha avuto una botta di fortuna, ma è rimasta una di noi. Il suo successo smisurato è senza sostanza. Non ha altro contenuto che non la propria immagine e rischia di attirarsi invidie e antipatie. Vuole darsi una ripulita. Quale migliore riabilitazione di una verniciatina di finta etica?

La beneficenza è la soluzione perfetta. Hey, guardatemi, faccio anche del bene!

La bionda influencer che fa beneficenza è buona. L’azienda che aumenta il prezzo dei suoi dolci, ma poi dona i proventi in beneficenza, è buona. Il consumatore che compra il pandoro griffato, strapagandolo, fa beneficenza ed è buono. Pandoro libera tutti. Tutti buoni, felici e contenti. Eppure, qualcosa è andato storto.

Profumi e Balocco

Viene fuori che, in realtà, del sovrapprezzo stellare applicato ai dolci nemmeno un centesimo è stato destinato ai bambini malati. L’azienda aveva donato qualche briciola, è vero. Ma è stato diversi mesi prima dell’iniziativa di beneficenza. Né l’influencer profumatamente retribuita, né l’azienda che ha guadagnato sul buon cuore (o sul senso di colpa) dei suoi clienti, ha devoluto davvero parte dei suoi guadagni a quei bambini.

Mi ricorda vagamente quella canzone degli anni venti: Profumi e balocchi. La cantava spesso mia nonna. Forse la conoscete anche voi. Quella nel cui ritornello la bambina canta: Per la tua piccolina / non compri mai balocchi / Mamma, tu compri soltanto profumi per te! Profumo di soldi, balocco e bambini a cui non arriva nulla. Gli ingredienti ci sono tutti.

Scivoloni mediatici

Di fronte a questo scivolone, l’opinione pubblica si divide. C’è chi si sente preso in giro. Chi s’indigna. Qualcuno tenta una strenua difesa. I seguaci dell’influencer danno la colpa all’azienda dolciaria. In fondo, nessuno è innocente. Da un lato, una comunità di venditori di sogni: gli influencer. Personaggi che basano la loro carriera sull’apparenza. Su una perenne recita, davanti all’obiettivo. Gli eroi che il nostro mondo superficiale e ipocrita si merita. Sono la nuova pubblicità televisiva, oggi che la televisione non la guarda quasi più nessuno.

Dall’altro, aziende spregiudicate, che hanno capito che gli influencer fanno vendere qualunque prodotto, spesso a caro prezzo, anche a chi non ne avrebbe davvero bisogno.

La carità è benigna

Bisogna insospettirsi di chi sbandiera ai quattro venti la beneficenza fatta (e anche quella non fatta), per scopi di autopromozione. Se è fatto per ottenere pubblicità, non si tratta carità, ma di marketing. Quando la beneficenza diventa marketing, perde tutto il suo valore morale. Diventa una operazione commerciale. La vera carità si fa nel segreto. Senza voler apparire. Senza farsene vanto di fronte agli uomini. Lo insegna Gesù:

Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Matteo 6,2-4

Lo scriveva anche San Paolo ai corinzi (ma vale pure per noi):

La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, 1 Corinzi 13, 4-5

 E lo sapete, io ho un debole per San Paolo. Secondo me ha quasi sempre ragione lui. Lui sì che era un influencer buono. Uno che ha usato la sua capacità di fa presa sulla gente per scopi davvero nobili, non per arricchirsi.

Invece, operazioni mediatiche come questa servono solo a chi le ha ideate.

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