Tutta colpa di Babbo Natale!

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Tutta colpa di Babbo Natale

È tutta colpa di Babbo Natale. Sua, e della pedagogia moderna. Con l’idea che chi si comporta bene, debba ricevere un premio, proporzionale alla sua buona condotta. Sarà successo anche a voi. I genitori vi invitavano a scrivere la lettera a Babbo Natale. Non poteva essere una lista della spesa. È vero, la si scriveva per chiedere i regali. Ma bisognava salvare la faccia. Io, personalmente, la prendevo alla larga. E descrivevo, un poco esagerandole, tutte le buone azioni compiute nell’arco dell’anno.

La letterina a Babbo Natale

Qualche tempo fa, sono andata a casa dei miei genitori, per svuotare un po’ di cassetti. In uno di essi, ho trovato qualcuna delle lettere scritte a Babbo Natale. Chissà perché mia madre le aveva conservate. Faccio fatica a immaginare una cosa più effimera e inutile di una lettera a Babbo Natale. Una lettera a un personaggio immaginario. Scritta col solo fine di assicurarsi qualche dono sotto l’albero. Eppure, quelle lettere hanno fatto un lungo viaggio. Dagli anni 70 a oggi. Dal profondo sud del paese a Milano.

È come se avessero attraversato un buco nero. O l’armadio il cui fondo porta nel mondo di Narnia. Un po’ mi sono sentita in colpa. Mia madre aveva conservato una cosa così irrilevante, mentre io perdo o butto tutto. Ho buttato i primi quaderni delle mie figlie, (ma anche i secondi e i terzi).

Mi sono sbarazzata delle loro pagelle, dei miei appunti dell’università, di una marea di cose che non valevano nulla. Salvo il fatto di poter diventare, un giorno lontano, ricordi struggenti di un tempo che non c’è più. Come quando mi sono capitate fra le mani quelle letterine a Babbo Natale. E il tuffo nel passato è stato inevitabile.

Premiami, sono stata buona!

Mia madre mi diceva che non stava bene iniziare la lettera, dicendo a Babbo Natale: mi serve questo e quello. E poi, Babbo Natale ne riceveva tante di lettere. Bisognava catturare la sua attenzione. Carpire la sua benevolenza. Dovevo indiscutibilmente meritarmi i giocattoli che avevo chiesto. A quel tempo avevo le idee piuttosto chiare. Mi ero comportata bene tutto l’anno. I regali mi spettavano d’ufficio. E arrivavano puntualmente.

Forse è cominciata così, questa idea che le cose belle arrivano se te le meriti, se sei bravo e buono. Lo abbiamo appreso fin da bambini. Ed è solo da adulti che capiamo che è un inganno.

La strategia di Babbo Natale

Il mondo che ci circonda adotta la strategia di Babbo Natale. Vuoi una promozione o un aumento di stipendio al lavoro? Te lo devi meritare. Vuoi il motorino o il viaggio di maturità con gli amici? Devi farti promuovere, possibilmente con un bel voto. Vuoi i regali da amici e parenti? Allora devi comportarti amichevolmente con loro.

Questa modalità è talmente comune, che la applichiamo anche alla vita spirituale. Quindi cominciamo a sindacare sulla condotta altrui. Pensiamo che tizio abbia ricevuto molto di più di quanto meritasse, lui che non saluta, che tieni il volume della musica troppo alto, che non ti tiene aperto il portone nemmeno quando arrivi carica di buste della spesa, che nemmeno un facchino indiano dei tempi del colonialismo. Giudichiamo gli altri e ci sembra che godano ingiustamente di qualcosa che a loro non spetta.

Noi, invece, noi sì, che siamo bravi. Andiamo in chiesa più spesso e diciamo meno parolacce. Siamo più pacati e amabili. A un certo punto, ci sentiamo più in diritto di loro alla felicità. Ma la felicità è davvero un diritto?

La contabilità pulciosa

Il rischio più grande di sentirsi buoni, è proprio che ci porta a ritenerci in diritto ad avere di più dalla vita. Pensiamo che il Signore un poco ce lo debba. Lo trattiamo come Babbo Natale. Ma come, Signore, non hai visto quanto sono stato bravo? Non dovresti ricompensarmi, per tutto quello che ho fatto? Quanti punti paradiso ho accumulato, con la raccolta? Quando ritiro il mio premio?

Non solo quello lassù, uno strapuntino imbottito, con vista sulle nuvole, non lontano da san Pietro. Ma anche magari una grazia per la vita quotidiana. Un figlio che vince un concorso o che trova lavoro. Un esame medico che va benissimo. Una casa a un prezzo straordinario, proprio come serviva a noi. Su, Signore, tu puoi tutto e io sono proprio una brava persona, che ti costa accontentarmi?

Senza saperlo, intraprendiamo una contabilità pulciosa, in cui, a ogni nostra uscita (un gesto caritatevole, un piccolo atto di misericordia, qualche opera di beneficenza) deve corrispondere un’entrata (un guadagno, la soddisfazione di un desiderio, l’accoglimento di una richiesta). E invece, non è così che funziona.

Dio batte Babbo Natale

Invece l’amore di Dio, come i suoi doni, non tiene conto della nostra buona condotta. Ve la ricordate la parabola degli operai della vigna?

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?

Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno.

Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?

Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Mt.20,1-16)

La parabola dell’amore

È la prova che il Signore non ricompensa in base ai meriti. E per fortuna. Se fosse per quelli, riceveremmo ben poco. Lui ci salva per la sua misericordia, non certo per le nostre opere. Il suo amore è gratuito e incondizionato! Dio ci lascia liberi di perderci, ma continua a cercarci.

E se rispondiamo a quella chiamata, seppure in modo tardivo o imperfetto, lui ci ricolma comunque della sua grazia. Non sta certo a recriminare che ci siamo girati i pollici per gran parte del tempo. Invece ci riconosce lo stesso salario di salvezza che ha donato agli altri. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore»” (Misericordiae vultus 15), diceva Giovanni della Croce.

Per questo, Nostro Signore batte quel pulcioso di Babbo Natale mille a zero. E palla al centro.

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