La prossima fermata è la mia
La prossima fermata è la mia. Devo tenerlo a mente. La metropolitana è una delle più fedeli metafore della giungla. È la lotta per accaparrarsi il posto a sedere. Anche solo per una fermata. Il vero predatore metropolitano punta la sedia. Scruta i passeggeri, pronto a cogliere il minimo segnale di abbandono. E, appena uno fa il gesto di alzarsi, si lancia a occuparne il posto.
Tutto il viaggio è una gara di forza. È la sfida ad allargarsi. A prendersi tutto lo spazio possibile. Così fa il giovanotto che si muove e colpisce con l’enorme zaino tutti quelli che gli stanno intorno. Chiaro messaggio: statemi alla larga, questo è il mio territorio. Come il signore salito con tutta la bicicletta, che parcheggia al centro del vagone. Idem la signora con un trolley che fa provincia e che ti piazza davanti, immobilizzandoti.
Se capiscono che sei più fraglie, continueranno a spintonarti, fino a relegarti in un angolo. Ma vogliamo parlare di quelli che si attaccano alla sbarra verticale con tutte e due le mani ad altezza congrua e allargano i gomiti? Così costringono te a fare stretching, appendendoti letteralmente con le braccia in alto?
Ogni giorno un abbonato della metropolitana si sveglia e sa che dovrà correre, per salire sul vagone davanti agli altri. Ogni giorno gli altri si svegliano e sanno che dovranno correre, per salire sul vagone davanti all’abbonato.
La sfida della prossima fermata
In tutto ciò, quello che trovo più difficile è scendere, quando la prossima fermata è la mia. Di solito, c’è chi si comporta come se fosse la sua. Ma non lo è. Lui (o lei) scenderà al capolinea. O fra ventidue.
Di certo non alla prossima fermata. Eppure, si mette davanti alla porta. Tu non ci arrivi, devi faticare, sgomitare, spingere. Devi chiedere permesso, scusarti preventivamente. E lui, che lo sa, si muove lentamente. Lentissimamente ti apre un piccolissimo varco, dal quale passerai a fatica, imprecando. Con l’ansia di perdere quel brevissimo intervallo che è concesso a chi deve scendere. Prima che l’orda barbarica dei passeggeri salga, impedendoti il passaggio.
È tutta una gara di forza, credetemi. Non c’è altra spiegazione del perché, con tutte le possibilità che avrebbe di stare più all’interno, questo tipo di passeggero si piazzi davanti alla porta. Io tutto questo lo so. Già. Anni e anni di mezzi pubblici mi hanno temprato alla lotta. So perfettamente cosa fare, quando sta per arrivare la mia fermata. Intanto lo dico ad alta voce. “la prossima fermata è la mia”.
Il leone della savana alla prossima fermata
Lo so che ci sono mezzi più discreti. Il viaggiatore metropolitano modello chiederebbe uno a uno a tutti i passeggeri davanti alla porta: “scusi, scende alla prossima?” con il sottile intento di farli spostare. Ma a me non frega nulla se scendano alla prossima fermata o fra diciotto. Io voglio solo che si tolgano di mezzo e mi permettano di uscire senza sbattere a destra o a sinistra, pigiare o spingere.
Perciò, da brava bestia della giungla metropolitana, io dico ad alta voce: “la prossima fermata è la mia”. Come il leone ruggisce nella savana, per far capire a tutti che c’è e quali sono le sue intenzioni.
L’uomo è un animale territoriale
Possiamo parlare di pace, di altruismo di generosità finché vi pare. Sono tutti valori importantissimi. Ci rendono uomini migliori. Rendono migliore la vita anche a chi ci circonda. Ma sono anti-umani. È bene riconoscerlo. Perché la natura umana non è pacifica, né altruista, né generosa. Per capirlo basterebbe farsi un giro in metropolitana, all’ora di punta. Basterebbe questa lotta senza scopo, senza vincitori né vinti, per far capire quanto questi valori siano distanti dal nostro istinto.
Per capire che l’uomo non è buono in sé (ma quando mai!). Basterebbe un giro in metropolitana, per capire che il Cristianesimo eleva l’uomo. Basterebbe questo, a capire la straordinaria portata rivoluzionaria del Vangelo. L’uomo è un animale territoriale. È pronto a sgomitare per il suo mezzo metro quadro, che sia nel vagone della metropolitana o in un parcheggio o su una spiaggia.
Ci vuole un insegnamento, per rendere possibile un comportamento che altrimenti non ci appartiene. Un insegnamento che viene dal Vangelo.
Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Luca 6,30
Mors tua vita mea
Lo dicevano gli antichi: mors tua vita mea. Vuol dire che ci può essere un solo vincitore. Gli altri devono soccombere. Il vincitore si fa spazio, annientando gli avversari. Questa competizione sfrenata si fonda sull’egoismo, caratteristica umana per eccellenza, sul bisogno di prevalere sull’altro. Ci vuole un insegnamento controintuitivo, rivoluzionario, per cambiare mentalità. Per fare quello che consiglia San Paolo:
Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Filippesi 2,3
La cattiveria è un nostro difetto di fabbrica
E poi c’è la cattiveria umana. Spesso, non ha neanche bisogno di un motivo. Può sgorgare spontaneamente. Nutrirsi di sé stessa, non è nemmeno necessario che ci sia un buon motivo che la giustifichi. Non serve nemmeno che ci sia un vantaggio concreto. Perché la cattiveria è un nostro baco, un difetto di fabbrica. Qualcosa che impedisce il nostro buon funzionamento. Una sgradevole interferenza.
Proprio perché la cattiveria è spesso immotivata, gratuita, è profondamente difficile da estirpare. Di questo si preoccupa Dio, che parla per bocca di San Paolo e raccomanda:
Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. Colossesi 3:12
Un invito alla benevolenza e alla mitezza, che faccia prevalere la misericordia e il perdono degli uni verso gli altri.
Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Efesini 4,31-32
Sentimenti e disposizioni d’animo che bisogna imparare a coltivare, prendendo come esempio Dio. Cose che disinneschino le piccole e grandi lotte della vita, dalle rivolte ai diverbi per chi scende alla prossima fermata.
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