La notizia buona e quella cattiva

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La notizia buona e quella cattiva

C’era la notizia buona e quella cattiva. Quale vuoi sapere prima? Mi ha chiesto mia figlia. Domanda impegnativa. Peggio che dover decidere se il benedetto bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto. Meno male che almeno posso scegliere! 

E qui ci sono due scuole di pensiero. Gli ottimisti nati, quelli che dicono: ok, prima la notizia buona, così mi faccio forza e affronto la catastrofe. E i pessimisti nati. Quelli che dicono: dammi prima quella cattiva, se sopravvivo, mi consolo con la buona notizia. Ve la faccio corta: la notizia buona è che fa una festa con gli amici, a casa nostra. Buona notizia soprattutto per lei. Per me è buona di riflesso. Se proprio deve fare baldoria con gli amici, almeno la fa sotto i miei occhi e sotto il mio tetto (disse: MadrePossessivaAnsiosa3.0).

Indovina chi viene a casa?

Invitare gente a casa mi è sempre piaciuto. Sarà che posso farlo solo adesso, come estrema manifestazione della mia libertà di donna adulta! Quando ero ragazza, a casa non si invitava nessuno. Mia madre avrebbe richiesto almeno una settimana di preavviso. Perché lei si vergognava costantemente della casa. Per ricevere una visita, doveva prima pulirla da cima a fondo. Manco arrivassero gli ispettori di CSI (o più nostranamente, i RIS, ché ai miei tempi CSI, e compagnia bella, non esistevano).

Anche dopo aver lucidato la casa a specchio, non le sembrava mai abbastanza pulita. E a poco giovava il fatto che i miei amici, adolescenti squinternati come me, non prestassero attenzione ad aloni, polvere o ditate sulle porte. Ogni volta mia madre si sentiva sotto esame. E credeva di non superarlo.

Forse per reazione, ho sempre aperto volentieri le porte di casa mia. Mi sono letteralmente ammazzata di mutuo, per avere una casa con un salone abbastanza grande da accogliere le persone. Purtroppo, le mie figlie si vergognano. Per loro la casa non è mai abbastanza ordinata né lucidata a specchio, per accogliere la masnada di adolescenti squinternati dei loro amici, che sospetto non se ne accorgerebbero neanche. Poco importa che io abbia imparato il più importante di tutti i trucchi: raccattare velocemente tutto quello che è sparso in sala, e buttarlo dentro un’altra stanza, chiudendo la porta.

Per la legge di Murphy, a un certo punto, quando la masnada è più numerosa che mai, qualcuno aprirà quella porta, scoprendo la magagna. E le figlie desidereranno tenacemente essere ingoiate da una provvidenziale botola, da cui rotoleranno fino al centro della terra. La vergogna, come il gene dei gemelli, salta una generazione.

Dammi la notizia buona e quella cattiva l’ho già capita

L’implicazione più ansiogena della buona notizia è che qualcuno si fermerà a dormire. Questa sì che è una brutta notizia. Dovrò attrezzarmi per la colazione. Se mia madre aveva la fissa della pulizia, io ho quella del cibo. L’idea che gli adorabili squinternati lascino casa nostra il mattino dopo a stomaco vuoto, mi sembra un autentico disonore. Mi pare di sentire le loro madri che borbottano con disapprovazione: “ma come, vi ha lasciato senza colazione?”. Il fatto è che si fa presto a dire colazione. Ai miei tempi, un caffellatte e un buondì Motta assolvevano egregiamente al compito, facendo fare alla massaia di turno un’ottima figura, praticamente a zero sbatti. Oggi no.

Si fa presto a dire: colazione

Ci sono i ragazzi che bevono il tè, come dei piccoli lord inglesi. Ma non il tè Star, quello che tengo in casa per il mal di pancia. Non offendetevi, se siete puristi della cerimonia de tè. Ai miei tempi, in Puglia, la vera bevanda sociale era il caffe. Il tè te lo davano quando stavi male. Gli adolescenti della generazione Z hanno spesso una sterminata cultura in tisanologia. Loro non vogliono il tè e basta. Loro vogliono il tè verde o nero o gelsomino o altre cose che probabilmente non hanno mai varcato la soglia di questa casa. Uno su mille beve latte-latte. Per gli altri ci vuole: latte di riso, di soia, di avena e altri impostori. Cosi che si fanno chiamare latte, pur non essendolo. E assolutamente niente caffè. Siamo matti? Meglio: orzo, ginseng, boh, forse pure cicuta. Purché sia bio.

Occhio ai biscotti. A meno che non siano gallette al polistirolo, è meglio evitarli. Scegliere qualcosa di più salutare: tipo i cereali. I cerali sono quella segatura di varie forme, addizionata di vitamine, Sali minerali, zucchero, cacao, frutta secca, miele. Un surplus di nutrienti che la rende simile alle pasticche degli astronauti. Bastano sei chicchi di riso soffiato o tre di avena, per l’equivalente di un pasto completo.

E poi c’è il ragazzino che non mangia. Gli reciti a memoria l’assortimento che ti sei procurata. Lui ascolta educatamente e poi decreta: “per me niente, grazie”. Ma come niente? Cos’è che manca? Qualche confettura zero zuccheri? Una merendina zero grassi? Un qualcosa senza lievito, senza uova, senza burro, con farina integrale e biologica? Il ragazzino che non fa colazione è il trionfo del tuo senso di inadeguatezza.

Io la odio, la colazione

Insomma, i ragazzi riproducono tutte le abitudini ipocondriache dei genitori, senza averne colesterolo, gastrite, pressione alta e altre malattie del benessere. Mentre noialtri, da ragazzi, mangiavamo anche i copertoni delle auto, loro già da giovani e sani, mangiano come malati.

Io ospiterei sotto il mio tetto un esercito. Mi fa piacere fornire un alloggio riscaldato e sicuro a quelle strane creature che, solo qualche anno fa, erano adorabili bambini. Poco importa che oggi abbiano qualche anno e molti brufoli in più.

Non mi crea alcun problema che mettano la casa a soqquadro. Mi va bene tutto. A patto di non dovergli preparare la colazione. Perché lì, a me manca sempre qualcosa: la marmellata senza zuccheri, il latte d’avena, i cereali per astronauti. E quindi, come mia madre, ho bisogno di una settimana di preavviso. Devo riempire la dispensa del necessario assortimento.

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