Educare

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I miei articoli:

Il vostro educare sia sì sì, ma soprattutto no no.

Qual è il modo giusto di educare un figlio? Questa sì che è una bella domanda. Il problema è che non c’è una bella risposta. Ma nemmeno una risposta così così. Nessuno ha ancora inventato una teoria per educare i figli assolutamente perfetta, con formula soddisfatti o rimborsati.

Quello che noi tutti genitori sappiamo, è che educare è una corsa a ostacoli, una sorta di slalom fra le difficoltà, in cui qualcosa funziona e qualcosa no. E, soprattutto, è estremamente difficile prevedere a priori quale sia la cosa giusta da fare. In questo percorso accidentato che è la genitorialità, io ho poche, pochissime certezze. Una, per esempio, è che nell’educare contino molto i sì, ma più ancora i no. E non per qualche dottrina filosofica, che non sarei in grado di elaborare, ma per tanti anni di pratica.

Ricordi d’infanzia (dei figli)

Torno indietro con la memoria a quando mia figlia maggiore era piccola, più o meno un decennio fa. E ricordo quei sabato pomeriggio ai giardinetti, che avrebbero dovuto essere un piacere e invece erano una tortura. Ricordo quella marea di bambini irruenti. Nella mia esperienza, bambini piccoli sono sempre pieni di energia quando non dovrebbero: la notte, la domenica mattina, quando tu potresti e vorresti dormire, nei dieci minuti in cui fai la fila in farmacia o in posta o dovunque.

E, soprattutto ai giardinetti. Appena varchi la soglia dei giardinetti, il bambino apatico e semi addormentato che hai spinto sul passeggino, chiedendoti di tanto in tanto se respirasse ancora, sembra rianimarsi. Salta giù dal passeggino e si butta nella mischia, con altri più o meno coetanei redivivi.

Noi genitori, invece, appena arrivati ai giardinetti, ci accasciamo. Ci sembra che ogni altro sforzo ecceda i nostri mezzi. È il senso del dovere che ci spinge a trascinarci dietro ai nostri figli, mentre è chiaro che vorremmo essere altrove: sul divano, in una bella vasca piena di acqua calda e Sali profumati, sul lettino dei massaggi, a farci disincrocchiare muscoli e nervi.

La lotta per la sopravvivenza alle altalene

La lotta più feroce si svolge davanti alle maledette altalene. Io non capirò mai perché, più i giardinetti sono grandi e meno altalene hanno. Sembra che gli architetti o chi diavolo progetta i giardini pubblici lo faccia apposta. C’è una piazza d’armi, in cui ci starebbero comode trentadue altalene e invece ce ne sono due. I giardinetti hanno una quantità di passeggini che manco il parcheggio dell’IKEA in una domenica mattina di pioggia e delle code per le altalene, che nemmeno le file per il pane in URSS. Ma i bambini non ci sanno stare in coda (in fondo manco gli adulti) e dopo un po’ strepitano e piangono e fanno un sacco di storie.

E tu, genitore adulto e sfinito, vorresti solo poter far sedere il pargolo sulla sospirata altalena, l’unico posto in cui magicamente smette di strillare e ti permette di spegnere il cervello, almeno per qualche minuto. Ma la cosa non è possibile. Sull’altalena c’è ora seduta la bambina dispettosa. È lì da mezz’ora e non accenna a voler scendere. La madre le suggerisce timidamente che bisogna cedere il turno agli altri, ma la piccola iena strepita e la madre, rivolta ai presenti, bela: “eeehhh non vuole proprio scendere, io gliel’ho detto” e intanto continua a spingerla.

Ecco, in queste situazioni, anche se non sei una persona particolarmente aggressiva, saresti portata a prendere qualcuno a sberle. Non tanto la bimbetta di tre anni che si attacca con i pugni stretti all’altalena, ma quella beota della madre, che ha dieci e più volte l’età della figlia e non ha la forza di dirle: adesso basta, è mezz’ora che ti dondoli, si è formata una fila che fa il gomito, è ora di scendere!

Educare richiede autorevolezza

E sai che se la mamma dell’altalena non ce la fa, se neanche tu ce la fai a dire no a una creaturina di tre anni, non riuscirai a farlo nemmeno quando avrà dieci, quindici, vent’anni. E ti ritroverai a farle la giustifica se non ha studiato, invece di sgridarla. L’aiuterai nei compiti anche se dovrebbe cavarsela da sola. Riordinerai al posto suo la cameretta, in cui sembra essere scoppiata una bomba. E già sai che disinvoltamente ributterà tutto all’aria dieci minuti dopo.

Guardi la mamma dell’altalena e ti rendi conto che sei così anche tu, che siamo così tutti o quasi. Dire dei noi ai figli è difficile. Talvolta non ce la fai proprio. Ti manca la forza, l’energia, il carattere, la fermezza. Perché tu per prima ti guardi allo specchio e spesso non sai chi sei, né cosa vuoi.

Dall’alto di quali certezze dovresti trovare la forza per dire tanti no? O almeno tutti i no che servono? Ti manca l’autorevolezza per dire un no che non ammetta repliche. Ma che dico l’autorevolezza, anche solo l’autostima. Il potersi sentire un esempio, un modello, il volersi bene e stimarsi abbastanza per sentirsi completamente credibile. E invece, ti ricordi quella volta che hai sbagliato?

Educare con i no e con i sì

Eppure, i no sono indispensabili. I no segnano il limite. E il limite è salutare. Ci contiene e ci protegge. A volte può dare fastidio andare a sbatterci contro. Specie all’inizio. Quando sei giovane, preferiresti credere di non avere limiti. Vorresti pensare alla vita come a una gigantesca prateria a perdita d’occhio, dove puoi muoverti senza vincoli né divieti. Ma questi vincoli e questi divieti sono lì a indicarti che potresti farti male, che non tutto quello che desideri è giusto e sicuro. Col tempo li interiorizzi quei limiti, prendono la forma della tua realtà. Ti ci affezioni, persino. Ma quando sei giovane no: il limite è una ferita. La negazione della tua illusione di invincibilità.

È per quello che ci sono i genitori, perché ti devono educare a riconoscere i tuoi limiti e a rispettarli. Per questo, quei no che facciamo così tanta fatica a dire, sono un atto d’amore. Anche se a noi sembra di negare una gioia ai nostri figli. Non che dire dei sì sia sempre più facile. Io non credo a chi dice che il sì sia sempre una scorciatoia. (Avevo parlato di genitori e figli qui: https://annaporchetti.it/2023/11/07/genitori-e-figli/)

Ci sono dei sì che pesano come macigni. “sì” puoi uscire di sera. “sì” puoi andare a vivere in un’altra città per studiare o lavorare. “sì” ti presto la macchina. “sì” puoi scegliere il percorso di studio o di lavoro che credi, ma io non lo condivido per nulla. Col no neghi, metti un limite. Col sì permetti, dai fiducia. Così come non è facile negare qualcosa che i figli desiderano, non è facile nemmeno concedere qualcosa che li metta anche remotamente in pericolo. Perché la libertà è come il limite, bisogna imparare a maneggiarla.

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Come tutto è iniziato: https://annaporchetti.it/2022/10/18/mi-faccio-un-blog/

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