L’adolescenza è una terra straniera

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L’adolescenza è una terra straniera

Una mia cara amica sostiene che l’adolescenza dei figli, per un genitore, equivalga a una malattia esantematica. Tu sei grande e grosso, hai passato gli anta. Le hai già fatte tutte: la rosolia, la varicella il morbillo, persino la sesta malattia. Pensi di avere ormai anticorpi temprati a ogni evenienza. E, quando meno te lo aspetti, arriva lei. La settima malattia. La più temibile. L’adolescenza dei figli.

Quella circostanza che trasforma quei bimbi deliziosi, che profumavano di biscotti Plasmon, shampoo Johnson e borotalco in creature misteriose. Alieni che esalano da ogni poro puzzo di sudore, che resiste tenacemente a qualunque deodorante. Gli adolescenti sono coloro che si cospargono i capelli bagnati di balsamo, quelli asciutti di spuma e gel, col risultato di sfoggiare quasi sempre una pettinatura fissa e marmorizzata. Come quella degli omini Lego. Tutto, nell’adolescenza, ha un sentore di sudore, è unto e appiccicaticcio.

L’adolescenza non è un’età elegante

L’adolescenza non è un’età elegante. Gli adolescenti si aggirano per casa svogliatamente. Sono spesso in pigiama, anche se è pieno giorno. Se devono uscire, indossano la versione da passeggio del pigiama. Ovvero, tute da ginnastica informi che sembrano pigiami, con in più il cappuccio.

Gli adolescenti sono marsupiali. Nella mono-tasca della felpa conservano mondi. L’ultima vola che ho svuotato la mono-tasca della felpa di mia figlia per lavarla, ci ho trovato dentro: le cuffie del telefono, una confezione integra di fazzoletti, uno sbianchetto, le chiavi di casa che davamo per perse. C’era persino un caricatore del cellulare, ovviamente senza il filo. Chissà come ci era finito.

Gli adolescenti hanno una doppia vita

A volte, da madre, mi chiedo quale incantesimo stia possedendo quei bellissimi bambini sorridenti che sono stati i miei figli, fino all’adolescenza. Gli adolescenti non sorridono più, per lo meno in casa. Hanno tutto il tempo le cuffie, che sembrano termosaldate alle orecchie. Vivono del loro telefono, col loro telefono, nel loro telefono.

Telefono che, ovviamente non usano mai per la funzione per cui è stato pensato. Prova timidamente a suggerire che il telefono servirebbe a quello: a telefonare. Ti fisseranno straniti e vagamente scandalizzati. Chi telefona più oggi giorno? Nessuno che abbia meno di trent’anni.

Durante l’adolescenza, il telefono li collega col mondo, ma non con le persone. Sono continuamente in contatto, anche se si incontrano di rado. Venti bereal, trentasette commenti su instagram, un mare di like su snapchat, tik tok. Ma mai, o quasi, una parola scambiata a voce. Si sorridono attraverso emoticon. Si divertono e comunicano, ciascuno dalla propria piccola bolla.

Due mondi a confronto

Non li capiamo gli adolescenti. Non conosciamo il loro gergo sincopato, le parole in inglese. Ignoriamo i neologismi della loro cultura giovanile. I loro gusti ci sono incomprensibili. E fin qui, non ci sarebbe niente di strano. Neanche i nostri genitori capivano i nostri gusti, i nostri idoli, le nostre mode.

Se noi non capiamo loro, va detto che nemmeno i figli adolescenti ci capiscono. Spesso neanche ci ascoltano. Si vede che un poco li annoiamo. Se non fossimo i loro genitori, ci ignorerebbero.

Questa differenza si può colmare non con la ragione, ma con il cuore. È solo l’amore incondizionato che ci permette di proteggerli, sostenerli e consolarli. Anche se non capiamo nulla dei loro progetti. È solo l’amore che fa sì che si fidino di noi. Che si affidino, pur consapevoli che l’adolescenza è per un genitore una terra sconosciuta.

A volte è difficile riconoscere in questi marziani silenziosi i bambini che credevamo di conoscere. Eppure sono proprio loro, alle prese con la sfida di diventare grandi. Non è facile crescere nel mondo di oggi. La tecnologia aliena le persone, e isola questi ragazzi, che, come gli adolescenti di ogni tempo, hanno un forte senso di inadeguatezza e un potente bisogno di rassicurazione.

Il mondo in cui viviamo è più incerto e complesso di quello in cui siamo cresciuti. Per capirlo, basta guardarsi intorno e vedere con quante realtà diverse devono misurarsi i ragazzi oggi. Per aiutarli, occorre l’amore incondizionato che solo i genitori sanno sempre mettere in campo. Anche di fronte a errori e delusioni.

L’adolescenza è uno stato mentale

Per questo, ho sperimentato che la cosa più utile è evitare aspettative di lungo periodo. Ho provato a farlo e ho constatato che non funziona. Mi è servito molto di più darmi obiettivi a breve termine. Correggere costantemente il tiro. Cercare di comunicare molto coi ragazzi, spingerli a parlare. Abbandonare il giudizio, rispetto al quale tutti siamo fragili, ma i ragazzi di più.

Serve aiutarli a fare chiarezza in sé stessi, piuttosto che imporre soluzioni pronte all’uso. E non dico che lo si faccia per cattiveria. Anzi. È normale che un genitore voglia mettere a disposizione la sua esperienza, per evitare ai figli errori. Tuttavia, i ragazzi devono avere la possibilità di decidere liberamente. Prendendo poi le responsabilità legate alla decisione.

Adolesceza e Rischio educativo

È dura talvolta per noi genitori. Per lo meno, per me è durissimo. Dovremmo però tenere a mente la lezione di Don Giussani: il rischio educativo. Mostrare ai ragazzi il buono e il bello del passato, nella tradizione. Ricordare che spetta prima di tutto a noi genitori trasmettere i valori. Noi rappresentiamo l’autorità che li veicola.

Dobbiamo aiutare i figli ad affrontare il presente. Insegnare loro, in ogni circostanza, a essere critici: a usare la ragione, per essere liberi. In fondo l’adolescenza è uno stato mentale, oltre e più ancora che fisico. È l’età in cui mettere le basi per una vita adulta matura e fruttuosa.

La conquista dell’autonomia dell’adolescente rappresenta per noi un rischio. Tuttavia, solo da questa esperienza di libertà, non priva di rischio, il giovane cresce e struttura la sua personalità. A noi tocca stare in seconda fila, rispetto ai nostri figli. In seconda fila, ma nella curva sud. A fare il tifo per loro.

Ho già parlato di figli: https://annaporchetti.it/2023/06/25/calli-e-figli/

e qui: https://annaporchetti.it/2022/11/07/lost-in-translation/

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