La croce dello scandalo

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Scegliamo la testa o la croce?

Testa o croce? Ecco la domanda delle domande. Almeno nella società occidentale. La croce è un simbolo sotto attacco. Lo si vuole eliminare. Si sono già tolti i crocifissi dai luoghi pubblici. Ultimamente ci si chiede se sia il caso di farsi il segno della croce, davanti a chi non crede. C’è chi si toglie il ciondolo con la croce dal collo. Oppure lo nasconde sotto i vestiti, manco fosse qualcosa di vergognoso.

Qualcuno, anche fra i credenti, comincia a pensare che la fede sia una cosa da tirare fuori o no in base al contesto. Se sei in pubblico o in compagnia di chi non crede, dovresti tu per primo rinunciare a manifestare la tua fede. Lì non vale la croce: vale la testa. Vale ciò che pensa lei, che pensi tu che pensino gli altri. Tipo tormentone estivo. Vuoi mai che qualcuno si offenda?

Perché non possiamo rinunciare alla croce

Questo è un atteggiamento pericoloso. La croce è un simbolo religioso, ma anche un segno identitario. Ovvero identifica le nostre convinzioni profonde. È anche un segno di appartenenza a una comunità. Tutte caratteristiche personali che non possono offendere nessuno.

Sarebbe come ammettere che la nostra stessa esistenza sia offensiva per qualcuno. Ve lo immaginate? Se il nostro esistere fosse un’offesa, la soluzione per eliminare l’offesa, sarebbe eliminare anche noi. O costringerci a nascondere quello in cui crediamo. In definitiva quello che siamo. Perché quello in cui crediamo è parte essenziale della nostra identità. Non si può contrapporre la testa alla croce.

Un malinteso senso di delicatezza

Questo malinteso senso di delicatezza, che prescriverebbe di celare la propria identità, per non offendere l’altro, è quanto di più razzista e discriminatorio si possa immaginare. E ce ne accorgeremmo se lo chiedessimo a qualunque altra minoranza. Se chiedessimo a una persona di un’altra etnia di nascondere il proprio viso o a una persona di tenere nascosta la sua identità sessuale o a un diversamente abile di nascondere la sua disabilità, l’intento razzista sarebbe evidente. Se si tratta di religione cattolica, invece, nascondersi o negare sé stessi sembra non solo accettabile, ma addirittura doveroso.

Lo scandalo della croce

D’altro canto, hanno ragione loro. E sarebbe il caso di ammetterlo. Perché è vero che la croce offende. E non da ora. Lo diceva già San Paolo. Anzi, rievochiamo proprio le sue esatte parole. Così chiare che non c’è bisogno di aggiungere, né togliere una virgola.

«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.» (1Cor 1:22-25)

La croce è davvero scandalo per i Giudei e stoltezza per i Pagani. Perché entrambi, Giudei e Pagani, cercano gloria terrena. I Giudei sognano un re combattente. Vogliono che li liberi con la spada, dal giogo della soggezione ad altri popoli. I Pagani, invece, esperti di speculazioni filosofiche, si aspettano un guru. Un intellettuale che, con la sottigliezza delle sue argomentazioni, vinca i suoi antagonisti.

Gesù non soddisfa le aspettative

Gesù morto in croce non soddisfa queste aspettative. Non è un condottiero militare. Non è neanche un intellettuale. La sua missione non è conquistare gloria sulla terra, ma sancire la nuova alleanza fra l’uomo e Dio. Salvarci dalla dannazione. Gesù viene crocifisso per vincere la morte e donarci la possibilità di salvezza.

Perché biasimate i Pagani e i Giudei del ventunesimo secolo? Dovreste invece comprenderli. Loro continuano a non capire il messaggio di salvezza. Il loro gridare allo scandalo o considerare la morte e resurrezione stoltezza, è frutto del loro modo di guardare alla vita e alla morte.

Nel segno della croce

Lo scandalo e l’incomprensione attorno a noi sono normali. Quello che non è normale è che noi credenti lo accettiamo. Addirittura che ce ne facciamo influenzare. Invece di annunciare la grandiosità della Rivelazione, ci conformiamo agli occhi del mondo. San Paolo non fece questo. Né lo fecero le prime comunità cristiane.

Noi temiamo di dare scandalo, di essere considerati stolti. Invece di convertire alla croce, ce la facciamo sfilare. Permettiamo che venga neutralizzato l’immenso, straordinario potere del segno. Un segno che abbraccia i punti cardine della nostra fede: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Un simbolo unico che fa riferimento alle tre persone divine.

Il simbolo che ci accompagna

La croce è il primo simbolo cristiano tracciato su di noi nel battesimo. Sarà l’ultimo segno che tracceranno su di noi, al momento del passaggio alla vita eterna. Siamo nati nel segno della croce e moriremo nel segno della croce. 

Nel segno della croce, l’imperatore Costantino sconfisse i suoi nemici, narra la tradizione. Lui e il suo esercito assistettero a un evento prodigioso. Nel cielo sopra al campo di battaglia, comparve la croce con la scritta greca: ἐν τούτῳ νίκα. Scritta poi tradotta nella frase latina: in hoc signo vinces (in questo segno vinci). La croce accompagnò Costantino fino alla conversione.

E noi? In quale segno vinceremo, senza la croce?

Rinnegare la croce

Per tutti questi motivi, il credente non può togliersi la croce dal collo. Né di evitare di farsi il segno della croce in pubblico. Non si può accettarlo, come prezzo per essere accettati dal mondo. Lo dice il Vangelo:

«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano.» (Mt 6:19-20)

La popolarità, l’accettazione sociale, il politicamente corretto, del quieto vivere sono beni terreni, che perderemo. Se invece seguiremo Gesù e il Vangelo, avremo la nostra lauta ricompensa.

«In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo,  che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» 

(Mc 10:29-30)

Il tesoro della nostra fede, del nostro messaggio evangelico, ci attende in cielo. In definitiva, ci guadagniamo!

Come gestire i non credenti?

Ma allora, come la mettiamo coi non credenti?

Nessuno si aspetta che un non credente abbracci la nostra fede. Né che capisca perché crediamo. Quello che -da credenti- possiamo e dobbiamo chiedere è che rispetti la nostra fede.

Che l’ateo, l’agnostico o il fedele di altra religione rispetti anche quello che non condivide e che non capisce. Questa è davvero la base della convivenza civile.

E se gli altri si offendono? Pazienza: vuole solo dire che sono intolleranti. Meglio perderli che trovarli.

Avevo parlato di simboli religiosi qui: https://annaporchetti.it/2022/11/08/le-dimensioni-contano/

e anche qui: https://annaporchetti.it/2023/06/26/montagna-croce-e-delizia/

qui: https://annaporchetti.it/2023/04/10/luovo-di-coniglio/

qui: https://annaporchetti.it/2023/05/11/joseph-ratzinger-e-leuropa/

qui: https://annaporchetti.it/2022/12/13/lomino-pan-di-zenzero/

e infine qui: https://annaporchetti.it/2023/04/08/sono-anticonformisti-i-cattolici-romani/

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