Maternità: scuola di vita

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Cose che la maternità mi ha insegnato

Sono passati più di vent’anni dalla mia prima maternità. Nel frattempo ne ho avute altre due. Ho conosciuto tante mamme e tante non mamme. Ho affrontato i più comuni problemi della maternità. E ne sono uscita viva. Almeno per ora. E adesso vorrei riflettere su cosa la maternità mi ha insegnato. Cosa ha portato nella mia vita. Oggi molti demonizzano la maternità, indicandola come un limite a legittime aspirazioni delle donne.

In realtà è una esperienza umana straordinaria. La maternità mette in campo risorse emotive e intellettuali. Insegna a essere più forti, più pazienti, più generosi di prima, perché serve uno scopo nobile: amare qualcuno e aiutarlo a crescere. La maternità ti fa fare i conti anche con te stessa. Io ho imparato tante cose che pensavo irrealizzabili: essere quasi in due posti in contemporanea. Andare avanti mesi e anni dormendo meno di sei ore per notte. Mettere da parte le proprie idee, per accogliere gli stimoli che ti danno i figli. E anche reinventare me stessa, per vivere la realtà nel modo più adeguato.

La maternità è un regalo meraviglioso che ti fa la vita ed una fonte inesauribile di spunti di crescita. Altro che aforismi su Instagram o guru televisivi dello sviluppo personale. Queste sono le cose principali che ho capito della maternità. Mi hanno aperto una finestra su me stessa e sugli altri.

La maternità non è per tutti

Oggi si parla molto della maternità come opzione, come scelta, come percorso alternativo a tanti altri. Ci sono donne che non vogliono avere figli. Magari non se la sentono, non gli interessa, non ne avvertono il desiderio. In linea di principio sono anche d’accordo: la maternità non è per tutte. Non è un destino ineluttabile, essere madri, ma un privilegio. Un privilegio che però richiede la disponibilità a cambiare, a modificare le proprie abitudini, ad accogliere. E, se non si è disposte a fare nessuna di queste tre cose: cambiare, modificare la propria quotidianità, accogliere l’altro, è normale che non si desideri la maternità. Lo trovo accettabile nella misura in cui è una scelta ben meditata.

In molti casi temo però che non sia una scelta poi così consapevole. Che sia piuttosto frutto della propaganda antifemminile e anti familiare che ci circonda. Una propaganda che da anni ormai racconta una favoletta moderna del lavoro come massima -talvolta unica -espressione della realizzazione femminile. Si può scegliere di non avere figli, ma sarebbe meglio non farlo solo perché influenzati dalla lusinga del successo professionale. Perché, quando la favoletta si rivela ingannevole, a volte è troppo tardi per cambiare idea.

Perché rinunciare alla famiglia per il lavoro può essere un rischio

Rinunciare alla maternità per inseguire la chimera del successo espone le donne al rischio di perdere molto più di quanto possano guadagnare. In quasi trent’anni di lavoro, ho avuto moltissimi successi e soddisfazioni professionali. Questa esperienza mi ha però restituito la misura di cosa sia il mondo del lavoro. Di quanto sia anaffettivo il rapporto professionale con qualunque azienda, ente, organizzazione. Lo chiamano lavoro dipendente, perché siamo noi lavoratori a dipendere dal lavoro, molto più di quanto il lavoro dipenda da noi.

Siamo tutti sostituibili, tutti sacrificabili. Il mondo del lavoro sostenta e preserva sé stesso, come obiettivo principale. Lo fa con le persone, ma anche contro le persone. E questa è una cosa che ormai mi è chiara. Per questo scegliere il lavoro escludendo gli affetti è molto pericoloso. Il mondo del lavoro può scaricarci quando non gli serviamo più. Può sacrificare il nostro bene al suo interesse.

Nel rapporto di lavoro non c’è spazio per la gratitudine, l’amore gratuito, la generosità. Tutto è disciplinato all’interno di un rapporto di dare e avere, in cui, fatto il proprio dovere, nessuno deve più nulla all’altro, né è tenuto a prendersene cura.

Anche nel migliore dei casi, ad una certa età andremo in pensione (sperabilmente). A quel punto il lavoro, che ha permeato tanta parte della nostra vita, ne uscirà inesorabilmente. E se non abbiamo costruito niente, se fuori dall’ambiente di lavoro non ci aspetta nessuno, ci ritroveremo da sole.

Diventare madre non cancella la persona

Un’altra cosa che la maternità mi ha fatto capire è che non bisogna trascurare tutte le altre dimensioni della vita. Anche se si è madri, si continua ad essere donne, mogli, figlie, amiche. Come ogni donna con uno o più figli, ho avuto un periodo della vita in cui ero concentrata soprattutto sul mio ruolo di madre. Questo è normale, fintanto che si tratta di una situazione transitoria. Non è bene però che diventi la norma.

Mai mollare il colpo

Una mia carissima amica, madre anche lei di quattro figli, lo dice sempre che: “non bisogna mollare il colpo”. Questo vuol dire continuare a curarsi ed essere femminili. Forse non si riesce a tornare agli splendori della gioventù, ma non bisogna deporre le armi. A fianco di questa massima saggia sull’aspetto, io aggiungo che non bisogna mollare il colpo anche sulla nostra dimensione emozionale e intellettuale. Probabilmente non sarà possibile avere il tempo e le energie per seguire tutti gli interessi e le passioni di prima. Eppure, qualcosa bisogna teneresela, per restare umani. Può essere lo sport, il ballo, la lettura, gli scacchi, la cucina, il disegno. Ognuno ha le sue inclinazioni. Per me è stata la scrittura.

Ci deve essere uno spazio metaforico in cui ritirarsi e coltivare sé stessi. Almeno ogni tanto. Anche il rapporto di coppia non va sottovalutato: non c’è niente di peggio che far sentire il marito il terzo incomodo. Lo dico sapendo che il rischio esiste e che l’ho visto accadere tante volte. Ho visto molti uomini relegati ai margini della ricca relazione affettiva che la moglie costruiva coi figli. Fino quasi a lasciar fuori i mariti. Attitudine pericolosissima per i figli, il padre e la madre stessa.

Una madre dovrebbe poi anche coltivare le amicizie. Gli amici sono quella rete di sicurezza della vita adulta, fatta di rapporti e persone che hai scelto, che ti sono affini. Persone a cui non ti unisce il legame di sangue né l’istinto, ma i valori comuni.

La maternità è una ma le madri sono tutte diverse

C’è un modo giusto e uno sbagliato di essere madri? Qual è il manuale della madre perfetta? C’è un decalogo, un metodo, un training che garantisca di raggiungere il risultato? Per anni ho speso tempo e soldi per cercare di imparare a fare la madre. Pensavo che avrei trovato l’unico, assoluto, perfettissimo modo per essere madre, senza commettere errori. Poi ho capito che non esiste un modello di madre perfetta. Se anche esistesse, sarebbe inutile. Tanto nessuna di noi lo raggiunge. La maternità è una. È un valore.

Le madri, invece, sono persone. E sono tutte diverse. Ci sono le madri apprensive, che aspettano sveglie, finché i figli non rincasano la sera. Ci sono le madri forti ed energiche e quelle dolci e affettuose. Quelle che pianificano tutto al dettaglio e quelle che amano l’improvvisazione. Quelle severe e quelle indulgenti.

Anche come madri, siamo in continua evoluzione

Ciascuna interpreta a proprio modo la maternità. E in base ai figli. Siamo diverse non solo le une dalle altre. Spesso, la stessa madre è diversa con ciascuno dei figli. E no, non è questione di amarne uno più degli altri (lo dico anche per le mie figlie: non ho una preferita). È che ogni madre crea la sua relazione specifica con ciascun figlio. Addirittura, questo rapporto non resta uguale a sé stesso. Cambia nell’arco della vita della madre e del figlio. Come persone e come madri, siamo in continua evoluzione, nell’arco della vita.

Soprattutto, dobbiamo farci una ragione del fatto che tutte le madri sbagliano. Non esiste una maternità perfetta, perché essere madre è una questione di carne, sangue, cuore, cervello. Ogni madre fa del suo meglio. Se ama, difficilmente fa gravi danni.

ho parlato di maternità e madri: https://annaporchetti.it/2023/04/30/maria-le-madri-la-maternita/

e di un libro sulle mamme: https://annaporchetti.it/2023/01/13/il-libro-del-venerdi-e-per-le-mamme/

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