C’è un tempo per ogni cosa

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C’è un tempo per ogni cosa

C’è un tempo per ogni cosa. Ci riflettevo stamattina a colazione. Oggi ho fatto colazione al bar. Come ogni madre di famiglia, ho velocemente sviluppato una predilezione per i pasti fuori casa. Non c’è niente di più bello di sedersi comodamente da qualche parte. E ordinare da bere e da mangiare, sapendo che ti verrà servito senza che tu debba muovere un dito per la sua preparazione. Né prima, né dopo.

Poco importa che siano pranzi, cene o colazioni. Queste ultime, però, restano le mie preferite. Ovviamente mi sono seduta. Anzi, mi sono spiaggiata. Esiste un limbo dantesco, nelle mie mattinate, in cui non sto più dormendo, purtroppo. Eppure, non sono ancora del tutto sveglia. Lo sarò, dopo un certo numero di caffè. E quello del bar è proprio uno di quelli.

Il caffè è un bene di prima necessità

E non è una ragione solo psicologica. Niente affatto. E’ per via di quell’ettolitro di caffeina che a un certo punto ti entra in circolo. Ti accende gli interruttori interni. Magari tu sei simile a una lampada a neon degli anni 80. Prima di accenderti davvero ed emettere la tua luce bluastra, lunare, devi lampeggiare un po’. Io lampeggio, lampeggio, poi mi accendo. Più o meno. Il mio interruttore si chiama caffè. Per me è questione di vita o di morte.

Il sonno arretrato, il carico mentale, le cose da fare, fanno sì che io sia già stanca, prima di aver cominciato. Per questo il caffè è un salvavita. Un bene di prima necessità. Dopo il caffè, la corsa riprende. Ma prima, per quella preziosissima manciata di minuti, sto lì seduta. Ho come unica preoccupazione quella di girare il cucchiaino nel cappuccino. C’è un tempo per ogni cosa. Anche per il cappuccino ozioso delle sette e mezza.

Una vita in cui non c’è un tempo per vivere

Quando ero piccola, il tempo non passava mai. Le giornate erano infinite. Gli anni lunghissimi. Nel volgere di una stagione le magliette si accorciavano e i capelli si allungavano. Ho questo ricordo dilatato del tempo. Lento, a volte persino noioso. Fino alla fine dell’adolescenza. Un tempo indolente che ci rendeva impazienti. Avremmo voluto prendere a morsi la vita. Ottenere di più.

Poi il tempo ha cominciato a scorrere sempre più veloce. Oggi le giornate passano in un soffio, le settimane in un batter di ciglia. Gli anni arrivano alla fine, con una rapidità spaventosa, prima che ci sia stato modo di assaporarli. Questa folle corsa ci pervade profondamente. Andiamo a leggere le recensioni di un romanzo o un ristorante, per portarci avanti. Vogliamo farcene un’idea, prima di averci investito anche solo un minuto del nostro preziosissimo tempo. Guardiamo sul navigatore a che ora arriveremo a destinazione, quanto ci metteremo. E, se qualunque inconveniente ci fa tardare, ci arrabbiamo.

C’è chi sale a piedi sulle scale mobili e chi cammina sui nastri rotanti degli aeroporti: macchine che sono state create per muoversi loro e portarti dove vuoi, intanto che stai fermo. Compriamo biglietti on line, per saltare le fine.

Sembra che la nostra sia una ossessione: arrivare subito in fondo, senza perdersi in chiacchiere. Alla faccia dell’antica massima che dice che è anche bello godersi in viaggio. Eppure il nostro correre e agitarci, è del tutto privo di senso. C’è un tempo per ogni cosa, ma non è sotto il nostro controllo.

C’è un tempo per vivere e un tempo per morire

In questo contesto così folle, mi torna in mente la Bibbia:

Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire (…)
c’è un tempo per demolire e un tempo per costruire.
(Ecclesiaste 3:1-3)

È un peccato che l’uomo moderno frequenti così poco i testi biblici. Probabilmente, crede di non averne il tempo. A cosa gli gioverà mai un testo scritto ben tremila anni fa? Se invece lo leggesse, scoprirebbe che descrive perfettamente la condizione umana. Persino quella di noi uomini, nati così tanto tempo dopo.

Dunque, non vale affannarsi. Ogni evento della vita ha la sua collocazione, nell’economia della vita. Vivere e morire, demolire e costruire, si alternano successivamente nelle nostre esistenze.

C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere

La lezione più grande che mi ha suggerito questo brano biblico è in questi versetti:

c’è un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
(Ecclesiaste 3:4)

Siamo ossessionati dall’idea di essere infelici. Lo siamo a tal punto che non riusciamo a goderci i momenti in cui possiamo ridere e ballare. Quando l’infelicità arriva, ce ne facciamo schiacciare. E invece quello che conta davvero è imparare ad accettare la vita. Affidare a Dio ogni momento. Farlo con quelli in cui piangere e gemere, confidando che, dopo il tempo del dolore, c’è un tempo per ridere e per ballare.

C’è un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
(Ecclesiaste 3:6)

La vita è fatta così. Ha alti e bassi. Ha momenti buoni, in cui non si deve esitare: bisogna prendere e conservare. E poi ci sono altri momenti, che sono brutti. Lì bisogna imparare a perdere, a lasciar andare. Anche ciò a cui teniamo. Come si fa ad accettare che persone care e cose belle escano dalle nostre vite? Come possiamo non attaccarci a ciò che amiamo, quando rischiamo di perderlo?

Fidarsi e affidarsi, anche senza capire

Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine. Ho concluso che non c’è nulla di meglio per essi, che godere e agire bene nella loro vita; 13 ma che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro è un dono di Dio. (Ecclesiaste 3:10-13)

La nozione di eternità è nel nostro cuore. Ma non possiamo capire tutto. A volte bisogna accettare. Affidarsi, anche se non si capisce. Anzi, affidarsi proprio perché non si capisce. Questo è possibile se si crede che davvero Dio abbia fatto bella ogni cosa a suo tempo. Che quello di cui godiamo è un Suo dono, più che un nostro merito.

Se riusciamo a fare questo grande atto di fede in Dio, allora possiamo accettare anche quello che non sappiamo. Persino quello che non riusciamo a capire. A quel punto non rispondiamo solo dei nostri gesti, pieni di errori, di fragilità. Fallibili. C’è la garanzia di Dio. Meglio di una fideiussione, di qualunque garanzia bancaria. Siamo certi che quello che accade sia comunque bene. Anche se, a vederlo da vicino, non sembra proprio. Poiché, come dice San Paolo:

Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Rom 8:28

C’è un tempo per ogni cosa. Dopo un cappuccino ozioso delle sette e mezza, c’è un tempo per mettersi in strada a andare a lavorare. Anche perché ormai, sono quasi le otto.

Qui ho parlato:

del carico mentale: https://annaporchetti.it/2023/08/24/conciliazione-lavoro-e-affetti-una-sfida-possibile/

della gestione del tempo: https://annaporchetti.it/2022/11/05/unora-vita/

di affidarsi a Dio: https://annaporchetti.it/2022/10/31/fidarsi-e-bene-affidarsi-e-meglio/

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