Alla ricerca dell’equilibrio

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Come cambia negli anni l’equilibrio in famiglia? Mia figlia minore è all’estero. Ci resterà tutto un anno scolastico, da agosto alla fine di giugno. Praticamente una vita. Noi facciamo i conti col distacco: un posto in meno a tavola, una persona in meno di cui prendersi cura, una discreta quantità di risate, rumore, disordine in meno. E mentre lei è dall’altra parte del pianeta, a cinquemila o più  chilometri e sei ore di fuso orario da casa, io sono in preda alla sindrome del mignolo del piede.

Il mignolo del piede e la scoperta dell’equilibrio

Avete presente il mignolo del piede? Lì per lì sembra un dito inutile. Piccolo, rincagnato, lì nell’angolo esterno. Sembra uno sfizio della natura, privo di utilità pratica e di senso. Ma provate a rompervelo, il mignolo del piede! Vi accorgerete che non state più in piedi. In quel caso si capisce immediatamente che il mignolo non è un ornamento. Serve eccome, per l’equilibrio della posizione eretta. Perché la natura persegue un criterio di economia, molto più di me, quando faccio la spesa! La natura fa solo quello che è realmente necessario.

E così, l’assenza di qualcuno funziona come il mignolo del piede. Ti accorgi che la vita è piena di cose che ti sembrano poco importanti, fintanto che sono lì, al loro posto. Ma appena mancano, ti mettono in crisi. E così i pasti insieme, le conversazioni serali, le abitudini quotidiane non ci sono più. La loro assenza ti scava dentro una voragine. E tu devi cercare un nuovo, precario equilibrio.

L’equilibrio e l’equilibrismo

Io cerco di interpretare la parte della genitrice moderna, funzionale e assennata. Quella che nella figlia che va all’estero per un anno, vede soprattutto una grande opportunità.

Però la parte non mi riesce tanto bene, dubito che mi candideranno all’Oscar, quest’anno. Ciononostante, ripasso le mie battute quotidianamente. E ripeto a voce alta che sì, è una cosa straordinaria che tu sia lì, dall’altra parte dell’oceano, a mangiare hamburger e pizze tomato and cheese spesse quattro dita.

È fantastico che si debba ambientare fuori dal suo ambiente. E farsi degli amici fra perfetti sconosciuti, lei che qui ha un’intera famiglia di proprietà, che le vuole bene, senza costi aggiuntivi. Insomma, questa ricerca di equilibrio per me è una forma di equilibrismo. Un equilibrio fra la mia pancia che reclama la figlia e la mia testa che si compiace per la sua esperienza transoceanica ed enumera tutti i benefici che ne trarrà.

E lo so che non è mica partita per il fronte. Sta in compagnia ed è una sorta di piccola attrazione esotica. Probabilmente non ha mai avuto così tanta attenzione tutta insieme. A parte che da sua madre, che poi sono io, ma io non conto. Io continuo a simulare un equilibrio che non possiedo e a nascondere il mio senso di smarrimento, la mia sindrome del mignolo, che mi fa vacillare.

Prove tecniche di nido vuoto

Un’amica più adulta mi ha avvisato. Bisogna prepararsi. L’età è implacabile. Fra un po’ si chiude la stagione della cova. Arriva la menopausa, con la sua colorita dimensione mitologica. Le scalmane che ti fanno sperimentare l’autocombustione.  Il metabolismo allo sbando che ti fa ingrassare come una mongolfiera. L’osteoporosi che ti sbriciola le ossa come i crackers che dimentichi in borsa.

Ma c’è qualcosa di peggio della menopausa e dei suoi molti aneddotici malanni. Si chiama: nido vuoto. Figli ormai adulti che se ne vanno per il mondo. Certo, qui siamo ancora lontani. Con una figlia appena ventenne e  due ancora adolescenti, il nido vuoto è una prospettiva remota. Ma quest’anno di studio all’estero è una specie di prova tecnica di nido vuoto. Una simulazione. Un training per trovare un nuovo equilibrio. Un equilibrio di genitori soli, a cui un pacco di pasta dura tre giorni e la lavatrice si riempie una volta alla settimana.

E non hai nessuno che ti reclama. Nessuno ti chiede dove sia questo o quello. Non devi preparare nutrienti pasti fuori orario, per soddisfare giovani stomaci famelici e non troppo schizzinosi. Ecco, questo anno è un allenamento per imparare a restare in piedi senza mignolo. Come se camminassi in equilibrio sulla trave.

I conti non tornano

E a pensarci mi viene un grande sbigottimento. I conti non tornano. Fino a ieri cambiavo ancora pannolini. Tenevo le figlie in braccio. E sì, lo confesso, di tanto in tanto, quando passavo una notte in bianco per qualche loro malanno, sognavo il momento in cui sarebbero cresciute. E l’età le avrebbe rese meno inclini a vomiti, acetone, febbriciattole. Io le sognavo un po’ più grandi, non pronte a spiccare il volo. Sognavo un equilibrio fatto di notti intere di sonno, di autonomia nel fare i compiti, di collaborazione in casa, anche solo ad apparecchiare. Tutto questo si è avverato (tranne la collaborazione in casa), ma ora la cosa ci sta sfuggendo di mano.

Io le volevo un po’ più grandi. Ma mica così tanto da andare via. Addirittura, dall’altra parte del mondo. Anche se solo per un anno scolastico. Allora ho deciso. È perfettamente inutile che io finga di aver raggiunto il mio equilibrio. Meglio palesare il mio sconforto e dare libero sfogo alle mie paranoie di madre italica. ,

Tanto, non sarei minimamente credibile, nei panni della donna pacata.

Figuriamoci a chi posso darla a bere, squilibrata come sono da sempre. Ancor più adesso, che mi tocca camminare, senza nemmeno appoggiarmi sul mignolo.

Ho gia’ parlato di figli che crescono: https://annaporchetti.it/2023/10/15/ladolescenza-e-una-terra-straniera/

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