Gli inglesi e il clima
Finiremo a parlare del clima, come gli inglesi. Da trent’anni passo del tempo per lavoro in Inghilterra. All’inizio, mi accorsi di una diffusissima abitudine. Quella di parlare del clima. Praticamente ogni conversazione cominciava con un’accurata disamina delle condizioni del clima. Era per me incomprensibile dedicare tanto tempo al clima.
Il clima è una cosa che subisci: mica dipende da te. Non ne hai colpa né merito. Eppure, ‘sti inglesi sembravano fissati. Chissà che audience facevano i programmi meteo televisivi, mi dicevo trent’anni fa. Altro che Canzonissima o La febbre del sabato sera.
Poi ho capito. Una società così formale, cosi maniacalmente attaccata alla privacy, aveva nel clima un argomento generico, neutro, utile alla conversazione. Un tema che permetteva persino a perfetti sconosciuti di parlarsi. Senza dirsi nulla di compromettente. Un modo di rompere il ghiaccio. Con un minimo impegno emotivo. Il clima non è nulla di personale, di imbarazzante. Oggi diremmo che non è divisivo.
Gli italiani non parlavano di clima
Non era così per noi italiani. Ci preoccupavamo poco di intrattenere una cortese e distaccata conversazione con gente sconosciuta. Noi ci lanciavamo ogni lunedì mattina, in commenti sui risultati delle partite di campionato. Incuranti della fede calcistica dell’interlocutore. Producevamo vibranti invettive sulla politica, l’attualità, l’udienza del Papa del mercoledì.
Del clima non ci importava nulla. Come ci si può appassionare al livello di precipitazioni o alla zona di alta pressione sopra le proprie teste? Noi parlavamo sempre e volentieri con chiunque di qualcosa. Di qualunque cosa! Non eravamo ancora stati contagiati dalla pandemia del politicamente corretto.
Comunicare al tempo del politicamente corretto
Oggi no. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te, nelle sedi opportune.
Guai a chiedere alla collega se ha il fidanzato o il compagno. O se ha figli. Oppure se, nell’arco della sua vita fertile, prenderebbe in considerazione l’ipotesi di avere dei figli. Guai a chiamare cose o persone con il loro nome.
Non si dice “vecchio” ma neppure più “anziano” o “maturo”. Ma che scherziamo? L’età è quella che uno si sente, mica un fatto oggettivo. Idem per l’aspetto. Mai descrivere qualcuno come “robusto” o “basso” o “nero” o “turco”. Poco importa che siano tutte caratteristiche vere, oltre ogni ragionevole dubbio.
Eppure, non c’è niente di dispregiativo nell’aver passato gli anta. Né nell’avere qualche chilo in più o qualche centimetro in meno della media. Non c’è nulla di male nel dire che qualcuno viene da un altro paese. A meno che quella persona non se ne vergogni (ma perché dovrebbe)? Essere quelli che si è non è una colpa, né un’accusa. Queste caratteristiche sono parte dell’identità. Qualcosa che, facendo parte di te, non può offenderti.
Sentirsi chiedere se si ha famiglia è un argomento di conversazione come un altro. Se ci si sente messi in discussione, la colpa non è di chi fa le domande.
Tutto ciò che dirai potrebbe offendere qualcuno
Tutto ciò che dirai potrebbe offendere qualcuno. Anzi, offenderà qualcuno – quasi certamente! Un insieme di persone piccolo a piacere, conterrà sempre un sotto insieme che si sente chiamato in causa, offeso, dileggiato da qualunque parere tu esprima. Talvolta anche da pareri che non hai mai espresso, ma che si sospetta che. Non ci si può esporre. Metti che qualcuno si offenda? Se anche nessuno si offendesse, sbucherà sempre fuori qualche paladino del politicamente corretto, che si offende per procura. E ci tiene a farti sapere che quello che hai detto sarà sicuramente offensivo per qualcuno. In fondo siamo sette miliardi di teste. Come si fa a escludere che anche solo una di esse non si offenda?
Questo è un peccato mortale. Ergo, ti dovresti scusare immediatamente. Ma con chi? Nessuno si dichiara parte lesa. Non importa, tu intanto scusati. La divinità del politicamente corretto pretende sacrifici umani.
In questo contesto, discutere dell’anticiclone delle Azzorre o dell’ondata di caldo africano è l’unico modo per evitare lo slalom fra permalosità vere o presunte.
Il clima più pericoloso è quello culturale
C’è persino chi propone di riscrivere i classici. Preveniamo il rischio di urtare qualunque sensibilità. Ne avevo parlato qui: https://annaporchetti.it/2023/02/23/il-lato-ottuso-inclusivita/
Forse non si potrà più dire che la guerra di Troia è stata causata della fuga di Elena con Paride. Sarebbe come dire che Elena se l’è cercata. L’anziano re Priamo non può essere così anziano. E poi basta con la razzista usanza greco-romana di chiamare barbari gli stranieri.
Già mi immagino delle grandi discussioni sul clima, fra l’esercito troiano e quello greco, da un lato all’altro del campo di battaglia. Achille che s’infuria per la grandine. Ulisse che furbamente consiglia di non uscire nelle ore più calde della giornata.
In tutto questo parlare di clima, l’unico che gongola davvero è Agamennone. Lui sì che- in fatto di clima – ha precorso i tempi! Ha addirittura sacrificato una figlia, per propiziarsi i venti e il clima per salpare per Troia!
Malgrado il surriscaldamento globale, il meteo resta la cosa più sicura, in questo mondo così suscettibile. Finiremo a parlare di clima?
Avevo parlato di politicamente corretto qui:
https://annaporchetti.it/2023/07/18/biancaneve-e-il-politicamente-corretto/
https://annaporchetti.it/2023/03/27/le-parole-politicamente-corrette-che-non-ti-ho-chiesto/https://annaporchetti.it/2022/12/01/quanto-sei-politicamente-corretto/
Seguimi sul Blog: www.annaporchetti.it
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu
per ricevere gli aggiornamenti su blog e podcast, iscriviti al canale Telegram: https://t.me/annaporchetti