Il vittimismo

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Parliamo di vittimismo

Vi è mai capitato di avere a che fare col vittimismo? La mia amica M è sposata da anni. Potrebbero essere venti, forse anche di più. Noi amici ne abbiamo perso il conto. Quello di cui non abbiamo perso il conto, sono le volte in cui M si è lamentata – pubblicamente o privatamente con ciascuno di noi – di suo marito.

Al consorte G. sono stati mossi rimproveri su: il suo modo di comunicare, il fatto che non si complimenti mai di nulla con la moglie, che non si accorga mai di nulla, che non sappia fare la spesa. Neanche dietro specifiche indicazioni. Abbiamo scoperto che è disordinato e non aiuta mai in casa. Quando lei gli fa una domanda capitale, lui cambia argomento.

La lista potrebbe andare avanti parecchio. E, anche se ogni moglie ha riconosciuto in lui un certo numero di difetti del proprio stesso consorte, nessuna di noi ne ha mai contati così tanti. Insomma, G sembra la sommatoria di ogni difetto maschile. È impossibile non empatizzare con M per la sua pazienza. Ma è davvero così?

Il vittimismo ingigantisce i difetti dell’altro

E dire che, G, a vederlo dall’esterno, appare un esemplare assolutamente normale di marito. Quando dico “normale” intendo che non pratica la lettura del pensiero, specie quello di sua moglie. Non riesce mai a essere in due posti contemporaneamente, per esempio a scuola a prendere un figlio e a catechismo a lasciare l’altro. Dimentica recidivamente anniversari, compleanni, feste comandate (però ricorda a memoria tutto il calendario di campionato). Non è capace di fare due cose contemporaneamente. Tranne guidare e parlare, ma quella è roba da dilettanti.

Insomma, il nostro amico G ha sicuramente dei difetti. Non molto diversi né così straordinari, rispetto a quelli della maggioranza delle persone. Che siano uomini o donne. Per questo motivo, già da qualche tempo ho la sensazione che la mia amica M sia affetta da vittimismo. Quella sindrome comportamentale che porta a ingigantire i difetti dell’altro. E a sentirsene vittima.

I vittimisti non riconoscono la realtà

Ho sempre più indizi a conferma della mia diagnosi di vittimismo della mia amica. Non voglio passare per la psicologa de noartri. Anche se – va detto -è difficile astenersi dal dare fantasiose e argute interpretazioni dei comportamenti altrui. Eppure sono abbastanza certa della mia idea. Dalla mia, c’è l’assoluta apparente normalità del mio amico G e la loro solidità come coppia. Certo, la tentazione di prestare ascolto alle critiche di M esiste. Sapete perché? Perché lo sport preferito delle mogli, a ogni latitudine, paese, in ogni cultura, è lamentarsi del marito.

Fare le vittime e altri sport estremi

Verificate voi stessi se non ci credete. Le donne, fra loro, parlano continuamente dei mariti. Talvolta fanno i campionati mondiali di vittimismo. Ovvero, la gara a chi ha maggiori lagnanze sul coniuge. Ecco, se la lamentela diventasse specialità olimpica, la mia amica M avrebbe ottime chance di salire sul podio.

Ovviamente non tutti i difetti che lamentiamo, sono reali. Altrimenti noi stesse non resisteremmo con i nostri mariti e li rispediremmo a casa dalle madri. Con questo non dico che M, né ogni altra moglie sia in malafede. È che la nostra percezione deforma la realtà. Il vittimismo sembra appannare la nostra capacità di essere obiettive col marito.

La trappola del vittimismo

E gli uomini? Non sono vittimisti? Qualcuno lo è. Tuttavia, finora ho notato che il compiacimento vittimistico è più una inclinazione femminile. Un poco ci piace lamentarci. Essere compatite. Forse non è così per tutte, ma per molte di noi sì. Non è forse piacevole che gli altri pensino: che eroina! che cara ragazza, rimane al fianco di quel disastro di marito, con tutto quello che combina!

Dai, un pochino sì. Conviene ammetterlo. Anche solo con noi stesse. Il problema col vittimismo, è che rovina la vita. Sentirsi vittime dei difetti altrui ci condanna alla passività. Innesca un circolo vizioso da cui non riusciamo a uscire. Finiamo con l’annegare fra le nostre recriminazioni.

Rischiamo di coltivare il risentimento, che avvelena il rapporto e la vita quotidiana. Cadiamo in una trappola che noi stesse, inconsapevolmente, abbiamo creato. E allora? Dobbiamo smetterla di lamentarci del tutto? Certo, sarebbe bello. Il fatto è che siamo umane. Lamentarci fa parte della vita. Basterebbe anche solo fare come con l’alcol. Lamentarsi responsabilmente.

Il vittimismo responsabile: 5 consigli

Vorrei provare a dare 5 consigli per lamentarsi responsabilmente. Tratti dalla mia biografia i lamentatrice seriale e patentata. Spero siano utili.

Pareggiare il conto

Questo consiglio ho imparato a metterlo in pratica, dopo che me lo suggerì un sacerdote. Ogni volta che sono sul punto di lamentarmi per un difetto o un errore del mio consorte, ricordo a me stessa un mio difetto o un mio errore. È un esercizio di umiltà molto utile. Di solito tendiamo a rimuovere i nostri punti deboli. Invece è bene ricordarsene, per essere più indulgenti verso quelli altrui.

Rammentare che le colpe stanno sempre da entrambe le parti

Quando cadiamo nella trappola del vittimismo, ci dimentichiamo che bisogna essere in due per litigare. In due per non capirsi. Nella comunicazione c’è una simmetria e una reciprocità che livella le responsabilità. O per lo meno le bilancia. Il lamentarsi, invece, è a senso unico. Finché stiamo nella modalità del vittimismo, attribuiamo all’altro tutti gli errori.

Non possiamo risolvere nulla, se tutte le responsabilità sono dell’altro. Per questo, invece di fare le vittime, bisogna partire ciascuno dalla propria parte di colpe. O, se preferiamo, di responsabilità. Lavorare su quelle, prima di invitare l’altro a lavorare sulle sue. O lamentarsi perché non lo fa.

Evitare di dare spettacolo del proprio vittimismo

Un altro consiglio che sento di dare, è di evitare di lamentarsi pubblicamente. E lo dico in primis a me stessa, poi a tutti gli altri. Lo so, mandare in scena lo spettacolo del vittimismo è gratificante e consolatorio. Tuttavia, è una mossa sbagliatissima. Mette il coniuge in difficoltà con conoscenze comuni. Gli fa dubitare della nostra lealtà. Lo fa sentire non apprezzato o giudicato.

Inoltre, dopo uno sfogo liberatorio con amici e parenti, potremmo noi stesse provare disagio per aver fatto commenti poco lusinghieri sul marito. La solidarietà matrimoniale suggerisce di evitare di mettere l’altro in cattiva luce. Non scordiamoci che, chi non vive la coppia, non sa come stiano davvero le cose. Si rischia di dare una immagine ingiustificatamente negativa dell’altro.

Apprezzare quello che si ha

Talvolta, invece di abbandonarsi al vittimismo, converrebbe riflettere serenamente sulle cose positive che si hanno. Ricordare i pregi del marito. Rievocare le situazioni in cui si è comportato in modo eccellente o anche solo positivo. Le volte in cui ci ha sorpreso. Concentrarsi sulla negatività fa sparire le cose positive. Apprezzare quello che si ha, è un ottimo rimedio alla tentazione del vittimismo e del rancore.

Imparare a essere chiare

Ecco un ultimo consiglio che mi sento di dare. Se qualcosa non ci piace, se il marito ha frainteso quello che volevamo, se le nostre aspettative non si sono realizzate, conviene parlarne apertamente. Dire all’altro: mi aspettavo questo, forse non mi sono spiegata. Oppure: vorrei che tu facessi questo per me. Lo so, il confronto è faticoso. Ma nessuno indovina i desideri dell’altro. Se desideriamo qualcosa, impariamo a chiederla con chiarezza. E se qualcosa non ci piace, diciamolo con la stessa chiarezza. Non ha alcun senso ingoiare rospi e fare le vittime.

Invece, per la crescita di una coppia, è meglio dirsi le cose come stanno. E aggiustare il tiro. Questo aiuta a conoscere e a farsi conoscere dall’altro.

Invece di rifugiarsi nel vittimismo, conviene chiarire ogni equivoco e permettere all’altro di correggere i suoi errori.

Per la prima volta ne ho parlato qui: https://annaporchetti.it/2022/10/18/mi-faccio-un-blog/

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