L’emancipazione femminile e la sindrome della bella addormentata

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Emancipazione femminile, autodeterminazione: definizioni incomplete

Vorrei parlare un po’ di emancipazione femminile. E metto subito le mani avanti, dicendo che non amo il termine. Non l’ho mai amato. Non ho ben capito da cosa dovremmo esattamente emanciparci. Ma procediamo in modo sistematico. Consultiamo la Treccani, per non sbagliare:

della donna, parificazione della donna all’uomo nei diritti civili e

politici (ma anche, più generale, liberazione da quei pregiudizî e

quelle convenzioni che limitano la sua libertà e la sua autonomia).

https://www.treccani.it/vocabolario/emancipazione/

Ecco, con la definizione tutto è un po’ più chiaro, tuttavia continuo a non essere a mio agio. Cosa mi farebbe sentire meglio? Ecco, penso che starei meglio se, accanto a quei diritti civili e politici su cui ci parifichiamo, ci mettessimo anche i doveri. Non ci sono diritti senza doveri. I diritti senza doveri non sono diritti, sono privilegi.

Ho però capito che, ogni volta che usiamo l’espressione: emancipazione femminile, stiamo parlando di autodeterminazione. Questo secondo e un vocabolo che non ho ancora deciso se mi piace o meno. È sotto scrutinio, a differenza di emancipazione femminile, che invece mi sta tenacemente antipatico.

Cosa vuol dire autoderminazione? Anche qui, ricorriamo alla definizione ufficiale:

In filosofia, l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria

legge, indipendentemente da cause che non sono […] in suo potere.

https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/autodeterminazione/

Quindi l’autodeterminazione ha a che fare con la libertà. Anche qui mi manca un pezzo. Vorrei che ci dicessimo che, ogni volta che usiamo la nostra libertà – ogni volta che ci autodeterminiamo- ci stiamo

prendendo delle responsabilità. In primis verso noi stessi. E poi, verso chiunque possa essere coinvolto dagli effetti delle nostre libere azioni. La libertà senza responsabilità è arbitrio.

L’emancipazione femminile e la responsabilità

Al di là delle mie antipatie lessicali (sto diventando un’ombrosa vecchia signora, con qualche stravagante antipatia) siamo tutti d’accordo che le donne siano libere di decidere per sé. E che, di conseguenza, siano sempre interamente responsabili delle loro azioni e disposte ad affrontarne le conseguenze. Per lo meno qui, in questo tempo e in questo angolo di mondo. Certo non nell’Ottocento, né oggi in Arabia Saudita, tanto per dire. Siamo anche d’accordo che le donne e gli uomini abbiano stessi diritti e stessi doveri? In teoria si, però io in pratica vedo una cosa diversa. Facciamo due esempi.

Io sono interamente responsabile di me stessa?

Immaginiamo che io sia una giovane donna (magari) e decida di passare un sabato sera di divertimento.

Bevo. Forse mi drogo. Le sostanze che assumo limitano la mia capacità di giudizio, ma non la mia responsabilità per quello che faccio. Se, da ubriaca, investissi a morte qualcuno, non potrei giustificarmi solo dicendo che non ero in me. Giusto? Bene.

Immaginiamo che io incontri un uomo. Non importa se sia qualcuno che già conoscevo o una persona mai vista prima. Fra noi si crea una qualche attrazione. Decidiamo di passare la notte insieme. Io forse non sono nel pieno delle mie facoltà. E in realtà non so se il mio accompagnatore del momento sia in condizioni migliori. Se sia padrone di sé, o alterato come o peggio di me.

Al mattino, mi sveglio. Mi sono del tutto ripresa e non ricordo nulla di quello che è avvenuto. So però che non sono dove vorrei essere, a casa mia, nel mio letto.

Mi arrabbio moltissimo con l’uomo con cui ho dormito. Gli rinfaccio che abbia approfittato di me. Gli rimprovero di non avermi rispettato, di non aver esercitato la sua capacità di giudizio. Avrei ragione di farlo?

Sono stata interamente responsabile di me stessa? O mi sono comportata come se responsabile di me dovesse essere qualcun altro?

Il rispetto è solo dovuto?

Proviamo a fare un secondo esempio. Sono una donna adulta e ho un impegno sentimentale. Ciononostante, decido di intraprendere una relazione parallela. Certamente sono libera di farlo, ma sono interamente responsabile delle possibili conseguenze.

Quali? Che l’uomo con cui sono impegnata lo scopra e mi lasci. Che si senta ferito e nutra dei dubbi sulla mia lealtà.

Ipotizziamo che il compagno tradito mi faccia una scenata, anche in pubblico. Potrei rinfacciargli di essere stato disonesto? Di non aver avuto rispetto, educazione, civiltà, per aver dato voce al suo malanimo?

Sì, certo, anche in questo secondo caso posso arrabbiarmi con l’uomo di turno. Ma, facendolo, dovrei ammettere, che io non mi sto emancipando dagli uomini. Che l’emancipazione femminile e l’autodeterminazione non mi servono. Perché io, in fondo, non voglio la piena libertà e responsabilità delle mie azioni.

L’emancipazione femminile e la sindrome della bella addormentata

Se mi comporto come ho descritto in questi due episodi, mi sto davvero autodeterminando? Mi sto emancipando dal potere maschile?

O sto dicendo che voglio un uomo che mi sia superiore? Un uomo che si mantenga sobrio e lucido lui, mentre io sono ubriaca oppure sotto l’effetto di sostanze psicotrope. Un uomo che sappia fermarsi, quando io non sono in grado di farlo. Che si prenda anche le mie, di responsabilità, visto che io non ne ho la capacità. Un uomo che mi rispetti più di quanto io non rispetti me stessa. Io voglio la libertà di sballarmi, senza la responsabilità delle mie azioni, quella deve prendersela un uomo, e guai se non lo fa. Abbiamo i medesimi diritti, ma io ho meno doveri. È lui che deve pensare a me.

Idem per il secondo caso. Io posso tradire, venir meno alla parola data, ingannare, comportarmi in modo disonesto. Ma voglio che l’uomo, oggetto della mia scorrettezza, si mantenga decoroso, posato, rispettoso. Mi aspetto che lui ingoi le ferite e la frustrazione che gli ho inferto e non faccia un fiato. Non può permettersi una caduta di stile, una reazione sguaiata, una mancanza di garbo! Io ho il diritto di non rispettarlo, lui però ha il dovere di rispettare me.

L’emancipazione femminile

Questo è assolutamente possibile, a patto di ammettere che la mia autodeterminazione non mi serva. Non voglio realmente l’emancipazione femminile. In fondo, voglio che sia l’uomo a guidare il gioco e io a seguire. Voglio che sia lui a comportarsi in modo nobile, mentre rivendico per me stessa la possibilità di comportarmi male. Mentre di solito sostengo che siamo pari, che nessuno dei due è superiore all’altro. O no?

Con questo non dico che andare a letto con qualcuno essendo fuori di sé o svergognare pubblicamente con una scenata una traditrice siano atti meritori. Sono gesti meschini, in perfetta sintonia con i comportamenti indecorosi delle controparti femminili. Sono stati pessimi tutti, e nessuno ha giustificazioni.

Non comprendo perché il decoro e la sobrietà ce li aspettiamo solo dagli uomini. Non capisco perché, se siamo uguali, emancipate e autodeterminate, vogliamo poi degli uomini che siano migliori di noi. Siamo uguali nel senso che vogliamo uguali diritti, ma non uguali doveri.

Non capisco in base a cosa presumiamo che un uomo non possa essere altrettanto ubriaco, sballato, incapace di giudizio, irresponsabile, della donna con cui si trova.

Non mi è chiaro perché – se siamo pari- un uomo non possa essere altrettanto sleale, maleducato e meschino della donna con cui sta. Perché la sua possa ingannarlo ma da lui non sia accettata una reazione piccata, sgarbata, immorale, dopo aver scoperto di essere stato ingannato.

Io la chiamo la sindrome della bella addormentata. Quella fanciulla innocente, incapace di badare a se stessa, dipendente, passiva, per nulla autodeterminata né emancipata, che ha bisogno che un principe la

salvi.

L’emancipazione femminile deve essere coerente.

E sia chiaro che io credo assolutamente nella parità di diritti e di dignità fra uomini e donne. Più che in emancipazione femminile e autodeterminazione, credo nel senso di responsabilità verso sé stesse e verso gli altri. Proprio perché ci credo, vorrei che onorassimo le nostre responsabilità davvero sempre e non che le scaricassimo sugli uomini, quando fa comodo a noi. Per una questione di credibilità, vorrei che riconoscessimo agli altri lo stesso rispetto che pretendiamo per noi stesse. Sarebbe più coerente prendermela con me stessa per i miei errori, prima di voler giudicare gli altri.

Nessuno si salva da solo

Per quanto io sia per la parità di diritti e doveri, non vedo nulla di male in un uomo che ti ama e ti salva. Anche solo da te stessa e dalle tue fragilità. Così come non vedo niente di male in una donna che salva un uomo da sé stesso e dal suo egoismo. Non è forse questa l’essenza del matrimonio cristiano?

Noi sposi non siamo forse chiamati a percorrere insieme un cammino di santità? non possiamo dunque abbandonare queste contrapposizioni sterili fra i sessi. Ci serve questa idea deleteria di emancipazione femminile? Non sarebbe meglio finalmente ammettere che nessuno si salva da solo?

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