La condizione femminile in un film

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Ieri ho visto un bel film sulla condizione femminile. Io non guardo molto la Tv. Non certo per snobismo. Come tutte le persone nate dagli anni 70 in avanti, adoro piccolo e grande schermo. Il fatto è che questo mio amore per la tv è condiviso anche dai miei coinquilini consanguinei. Per questo, il mio accesso alla televisione è contingentato. Di tanto in tanto riesco comunque a vedere qualche bel film e mi piacerebbe moltissimo seguire di più il cinema. Vorrei addirittura fare una bella rubrica, parallela alle recensioni di libri del venerdì. Peccato che la mia scarsa frequentazione dei film non me lo permette.

I film sulla condizione femminile

Nella mia classifica personale, il posto d’onore spetta ai film romantici. Adoro le commedie in cui lui e lei affrontano una marea di peripezie. È chiaro fin da subito che si innamoreranno. Anzi, si amano già. Lo capiscono tutti, anche noi al di qua dello schermo. Ma loro no. Per quasi tutta la durata del film, loro sembrano non volerlo capire. Finché, a un certo punto, finalmente l’amore trionfa.

Dopo le commedie romantiche, per me ci sono i film divertenti. Quelli che fanno ridere a crepapelle. Anche se magari sono un po’ scemi. Sì, lo so, magari vi immaginavate che fossi una tipa di gusti più sofisticati. Una che guarda solenni film artistici, di quelli in cui non succede quasi nulla, ma che vincono l’Oscar per la fotografia. E invece no.

A un certo punto della classifica, ci sono anche i film sulla condizione femminile. Adesso, io vorrei dirvi che sono una intellettuale attivamente impegnata nella causa della parità dei sessi. O, come si dice più modernamente, della gender equality. Vorrei proprio dirvelo, ma sarebbe una bugia. Non perché io sia contraria alla pari dignità fra uomini e donne. Semplicemente, trovo l’eccessiva militanza di certe femministe un po’ stucchevole.

Odio il vittimismo e non mi piace sentirmi una specie protetta. (ho parlato dei miei sentimenti verso il femminismo qui: https://annaporchetti.it/2023/06/21/requiem-per-il-femminismo/)

Per questo, probabilmente, trovo che molti film sulle lotte per la parità, siano inutilmente celebrativi o fastidiosamente retorici. Ma qualcuno si salva. Esiste comunque qualche film sulla condizione femminile, che vale la pena vedere. Quello di cui vi parlo qui, è un di essi.

La storia di Ruth

Di recente, ho visto con piacere il film: Una giusta causa. Il film è del 2018, quindi, se siete attiviste della condizione femminile, di sicuro lo conoscete. Per voi sarà addirittura un film vecchio. Se invece, come me, frequentate distrattamente Netflix, potreste fare solo ora questa bella scoperta. Il film è tratto da una storia vera. La protagonista è una giovane: Ruth Bader, coniugata Ginzubrg, una avvocatessa nata in America negli anni Trenta, da profughi ucraini. Ruth si sposa, frequenta la facoltà di legge ad Harvard e poi si sposta alla Columbia University.

L’America degli anni 60 è molto diversa da quella di oggi e da come noi contemporanei intendiamo la condizione femminile. La giovane Ruth si laurea brillantemente, ma non trova lavoro. L’idea di un avvocato donna non è così facile da accettare. Lei accetta una cattedra universitaria, mentre il marito intraprende una brillante carriera di avvocato tributarista. La coppia ha due figli e tutto sembra procedere serenamente.

Ma Ruth ha un sogno. Vorrebbe battersi per migliorare la condizione femminile. Ci sono ancora moltissime leggi in America, a quel tempo, che riservano un trattamento diverso agli uomini, rispetto alle donne. Altri avvocati, a più riprese, hanno provato a farle dichiarare incostituzionali, senza successo. Finché, un giorno, avviene qualcosa che sembra permettere a Ruth di combattere la sua battaglia.

La condizione femminile non sempre era penalizzata

Martin, il marito di Ruth, comprendendo l’insoddisfazione della moglie, le propone di cogliere una opportunità. Nel suo lavoro di tributarista, si è imbattuto in una situazione particolare. Un uomo, scapolo, ha accudito la madre anziana e malata. Ha tentato di detrarre dalle tasse i costi relativi, ma si è visto negare questa possibilità. La detrazione è sì prevista dalla legge, ma solo nel caso in cui a richiederla sia una donna. Infatti, questa norma fiscale presuppone che ad occuparsi dei genitori malati siano sempre e solo le donne.

La legge mostra che la condizione femminile non è sempre penalizzata, in questo caso le donne hanno un beneficio. Resta il fatto che la legge vuole definire obbligatoriamente e in modo rigido i ruoli, affidando la cura dei familiari anziani esclusivamente alle donne. Ruth coglie il suggerimento del marito Martin. Contatta l’uomo a cui il beneficio fiscale è stato negato e lo convince a farsi rappresentare da lei. È più che decisa a creare un precedente.

L’idea è geniale e forse destinata a maggior successo, rispetto ai tentativi di altri avvocati in precedenza. Infatti, non si tratta di materia esplicitamente legata ai diritti civili. In fondo, è una causa tributaria. Ruth ha la possibilità di usare questo aspetto fiscale, per fare dichiarare la legge su queste detrazioni incostituzionale. Facendolo, indirettamente indebolirà l’idea che uomini e donne ricevano tutele diverse, di fronte alla legge.

Un gran lavoro di squadra

Ruth si prepara per il processo. Potreste aspettarvi uno stereotipo di avvocatessa determinata e vincente. Una che non commette mai un passo falso. Ma non è così. Ruth è emotiva. Nelle simulazioni di dibattimento, fatte con altri avvocati, perde spesso il controllo delle sue argomentazioni. Viene facilmente messa in difficoltà. Martin decide di aiutarla, partecipando alla sessione in Corte Costituzionale, come co-difensore, rispondendo degli aspetti tributari. Ruth e Martin compariranno entrambi davanti alla Corte, collaborando insieme per la vittoria.

Ovviamente Ruth si batterà e vincerà. Ma non è di questo che mi preme parlarvi. La sua vittoria è scontata come il lieto fine nelle commedie romantiche. Sappiamo bene che ce la farà. Il punto è come. Per tutto il film si vede che il rapporto fra Ruth e Martin è una vera alleanza. In un ambiente in cui Ruth, come donna, fatica a ottenere l’attenzione e il credito che merita, suo marito non smette per un attimo di incoraggiarla, credere in lei, stimarla.

A un certo punto, lei ha una crisi emotiva, per la frustrazione di non riuscire a migliorare la condizione femminile, come sognava. A quel punto, lui si comporta da marito. Ovvero da problem solver. Le mette di fronte il caso fiscale, con cui vincerà la sua battaglia. Non solo. Nel film si vede che la appoggia, la consiglia, accetta di affiancarla al processo, pur affrontando delle tensioni col suo capo. Insomma, i due sono un vero esempio di lavoro di squadra, in famiglia, come sul lavoro. Il loro amore, il loro rispetto reciproco, la condivisione di valori, porta questa coppia a vincere insieme una battaglia importantissima per la condizione femminile e a riuscire dove altri (avvocati singoli) avevano già fallito.

Una pietra miliare, nella storia della condizione femminile

Trattandosi di un film celebrativo, scritto – a quanto pare- dal nipote di Ruth, ci sarebbe potuta essere la tentazione di dare all’avvocatessa il ruolo di protagonista esclusiva. Invece, l’aver mostrato questo rapporto matrimoniale così solido e determinante per entrambi, è davvero illuminante. Questa causa sarà il primo passo della carriera di Ruth, destinata a essere la seconda donna a essere nominata giudice della corte Costituzionale. Ed è un primo passo che compie insieme all’uomo della sua vita.

Nella realtà, Ruth e suo marito hanno davvero avuto una vita matrimoniale lunghissima: ben cinquantasei anni insieme, fino alla tragica fine di lui, per un cancro, nel 2010. Un film documentario su una donna con un grande ruolo nella storia della condizione femminile. E anche una storia d’amore esemplare. Un rapporto che mostra che uomini e donne non sono antagonisti. E che, al contrario, amarsi porta a stare vittoriosamente dalla stessa parte. Questo è il “femminismo” che posso accettare: che non mette le donne contro gli uomini, ma aiuta entrambi a darsi da fare per un mondo più equo.

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