Come trattare chi sta morendo? (sull’indissacrabilità del matrimonio)

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Trattare chi sta morendo

Come trattare chi sta morendo? Dice Guia Soncini che: “la cosa migliore che si possa fare per chi sta morendo è continuare a trattarla come se fosse viva”. https://www.linkiesta.it/2023/05/michela-murgia-cancro-morte-queer/

Io non so quale sia il vero, ottimo modo di trattare chi sta morendo. La questione è spinosa e assolutamente contemporanea. Non è mai esistita un’etichetta del periodo pre mortem.

Non troverete un capitolo dedicato a questo tema, in nessun manuale di galateo. E dunque non c’è consenso unanime su come sia civile, urbano, educato trattare coloro che sono, come diceva Milan Kundera (anche lui recentemente scomparso) all’ultima “stazione”.

C’è chi si ritira dalle scene, reali o virtuali o entrambe. E fa come il cigno che, vero o no, ci hanno sempre detto che si ritiri a morire in solitudine. C’è chi invece decide di parlarne, chi addirittura documenta in maniera puntuale ed esaustiva tutte le fasi della malattia e ci mostra un poco alla volta non solo come sta vivendo, ma anche come sta morendo. C’è chi si cura solo della propria vicenda individuale, ormai arrivata alla fine, e chi ne vuole fare un manifesto, una testimonianza, una militanza.

In questa epoca di inclusività imperante, la regola aurea sarebbe probabilmente trattare ciascuno in un modo che lo faccia sentire accettato e non marginalizzato. Trattarlo coerentemente al modo in cui vuole essere trattato.

Ovvero, non cercarlo e non speculare sulle sue condizioni, se decide di allontanarsi dalla nostra vista e vuole morire in silenzio, nella riservatezza. Circondato da pochi intimi. Oppure, come dice la Soncini, trattarlo come se non fosse malato, come se non lo sapessimo, se questo chiede, quando ci mette a parte del suo male.

La Murgia sta morendo

Questo sembra volere la Murgia, che sta morendo per un cancro in fase abbastanza avanzata. Lei non si è sottratta a telecamere, giornali, fotografi. Ha più volte ripetuto, negli ultimi tempi, di voler arrivare viva alla morte. Desidera continuare a fare tutto quello che può, per conservare la normalità della vita quotidiana.

Allora così farò anche io, la tratterò come se non fosse affatto malata. Per prima cosa dirò che non ho letto il suo ultimo libro. Né ho intenzione di farlo. Anche se, con la copertura mediatica della vicenda, pare che tutti ne parlino.

Non lo leggerò, malgrado l’autrice stia morendo e in tanti vogliano trovarvi il suo testamento morale, il suo congedo al mondo. Non ho intenzione di leggerlo, come non ho mai più letto nulla di lei, dopo quell’infausto “Ave Mary”.

L’infausto incontro

Avevo acquistato: “Ave Mary” appena uscito, senza aver mai letto altro dell’autrice. Fui spinta dal clamore suscitato dal tema (la femminilità nella Chiesa) e dalla militanza cattolica dell’autrice. Gli scrittori cattolici -quelli che si definiscono tali- sono pochi. Io li seguo sempre con interesse. 

Cosa cerco in realtà? Voglio esempi di modi per stare nel mondo, senza essere del mondo. Quella che, da sempre, è una necessità, per i cattolici. Una cosa utile e difficile. L’unico equilibrio possibile, fra un eremitaggio sociale che nessuno di noi si può permettere -vivere in una bolla in cui tutto e tutti sono conformi al nostro credo- e un’adesione anche solo formale a cose che disturbano la nostra coscienza. Cercavo esempi di equilibrio, non equilibrismo. Non lo trovai nella Murgia e smisi di leggerla e seguirla.

Perseverando nel proposito di trattarla come se fosse viva, dirò che non mi piacque affatto il libro. Ne ricordo ben poco, a dieci anni di distanza. Se non che fu una delusione tremenda. Con cattolici così – mi dissi- non abbiamo quasi bisogno degli atei.

Morendo diventiamo eroi?

L’unica cosa che ricordo del libro è questo desiderio di dissacrare. Più un bisogno dell’autrice, che una necessità per i suoi lettori. La Murgia da allora forse è cambiata, forse no. Ne ho perso le tracce e non mi interessa ricostruire quale direzione abbia preso.

La ritrovo oggi, non perché sia andata a cercarla, ma perché lei sembra estremamente desiderosa di farsi trovare. Non passava inosservata prima. Né intende farlo ora che sta morendo. Per questo ha scelto di parlare della sua malattia, della prognosi infausta, di come vuol vivere il tempo che le resta. 

Nel destino umano, morendo, si livellano tutte le esistenze

Esiste una ineluttabilità, nel destino umano, che da sempre livella tutte le esistenze. Per combatterla, l’uomo mette in atto delle strategie. I soldati omerici morti gloriosamente in battaglia, gli scrittori che sperano in una fama che gli sopravviva, i conquistatori che danno il loro nome alle coste, i monti e gli scogli che raggiungono per primi. Tutti bramano di lasciare un segno nel mondo. Ma morendo non diventiamo eroi. L’idea della morte è sopportabile solo alla luce della salvezza. Altrimenti è un annientamento senza speranza, un black out completo, un viaggio senza ritorno. Eppure, se non si crede, non resta che tentare di farsi eroi per gli uomini. Coloro che temono di non aver lasciato un segno in vita, cercano almeno di farlo morendo.

Un matrimonio controvoglia (o forse no)

“Un matrimonio controvoglia” è il modo in cui la Murgia ha definito la cerimonia (laica) che pochi giorni fa l’ha unita a un uomo. Lei non crede nel matrimonio e nemmeno nella famiglia. Per lo meno non crede nella famiglia naturale, quella che, da sempre, accompagna la storia umana. Per lei la famiglia può essere un gruppo disparato di persone, non necessariamente unite da vincoli di sangue o di parentela. Ma allora, perché si è sposata? Ci ha tenuto a sottolineare che il suo è un puro matrimonio di convenienza.

Lei dice di averlo fatto per tutelare diritti di proprietà altrimenti non difendibili, nell’attuale ordinamento giuridico, che per lei è ovviamente antiquato. Una precisazione di cui non sentivamo il bisogno. Ognuno si sposa perché ha delle buone ragioni per farlo. I matrimoni d’interesse sono sempre esistiti, anche senza che la loro natura venisse dichiarata così apertamente. Nelle sue intenzioni, il rito prescelto dovrebbe dissacrare e distruggere il matrimonio, come lo intendiamo noialtri che ci crediamo. Tutto secondo quella cifra esistenziale che intravidi dieci anni fa. E che mi fece allontanare irreversibilmente da lei.

Un matrimonio celebrato in urgenza, perché la sposa sta morendo

Questo matrimonio controvoglia e urgente, è stato però celebrato con tutti i crismi profani. Ci si aspetterebbe che, per sposarsi in fretta e furia e controvoglia, non si vada troppo per il sottile sugli aspetti formali della cerimonia. Potrebbe essere sufficiente un jeans sdrucito e una maglietta.

Invece la Murgia e il suo entourage (che lei chiama “queer family”) si è vestita di tutto punto. Abiti disegnati apposta per l’occasione, non dalla sartina di quartiere, ma da una stilista della maison Dior. La signora Chiuri si è offerta di confezionare gli abiti per la cerimonia per tutta la famiglia queer.

La quale non ci ha pensato nemmeno per un secondo a declinare l’invito, dicendo che tanto si trattava di un matrimonio controvoglia. Invece, ha graziosamente accettato. Abiti – manco a farlo apposta- bianchi. Ma non per quello che pensate voi. Perché il bianco contiene tutti gli altri colori. “È un colore inclusivo, perché è la sintesi additiva di tutti i colori”, chiosa la Murgia. Ignorando che è il nero il colore che li somma tutti. Il bianco li annulla. Ma si sa che gli scrittori non s’intendono di fisica.

https://www.fanpage.it/stile-e-trend/moda/michela-murgia-racconta-come-nato-labito-bianco-del-matrimonio-che-non-e-un-abito-da-sposa/

Un colore che lei usa con l’idea di desacralizzare, dimenticando d’un colpo tutti i bei discorsi sull’inclusione, che non vale più per chi nel sacro si riconosce, per chi gli attribuisce importanza.

Penseremmo che una formalità espletata controvoglia e in urgenza, non richieda il rito dello scambio degli anelli. E ci sbaglieremmo di grosso. Perché la Murgia ha fatto realizzare un anello che raffigura una rana, apposta per l’occasione. Occasione che è stata celebrata con una festa, abbondantemente ripresa e diffusa su tutti i canali social dei principali giornali.

Un matrimonio controvoglia

Un matrimonio controvoglia, organizzato più puntigliosamente del mio, che mi sono sposata con tutto il cuore e grandissima voglia. Chissà se fosse stato un matrimonio vero, sentito, desiderato, come sarebbe stato. Dopo il matrimonio una festa in giardino, che naturalmente non è un normale festeggiamento fra amici, di quelli che si sono sempre fatti, ma una celebrazione inclusiva della queer family. È ovvio che chiunque si sposa come preferisce. Ma tutti questi conati di dissacrazione l’apparato non li mostra. Sembra solo uno stravagante matrimonio come tanti.

Morendo non si dissacra nulla

Mantenendomi fedele alla consegna iniziale – parlare della Murgia come se non stesse morendo- dirò che il finto matrimonio che sembra proprio vero a me non pare affatto dissacrante, né controvoglia. Sul fatto che non appaia per nulla controvoglia, abbiamo già detto. Sull’aspetto dissacrante del rito, spenderò qualche parola in più. E dirò che il sacro non è dissacrabile. Non basta scimmiottare un Sacramento, con una pantomima barocca, per desacralizzarlo. La forza del sacramento rende tutto il baraccone piuttosto patetico. E lo dico, di nuovo fedele al proposito di trattare la sposa come dice di voler essere trattata. Come se non stesse morendo.

Il sacro esiste prima dell’uomo e a prescindere dall’uomo. Gli uomini possono morire, ma il sacro non muore mai. Un essere umano non dissacra nulla vivendo, figuriamoci morendo. Vivere e morire è solo obbedire alla legge divina. Solo una grande arroganza o una profonda disperazione potrebbero indurre gli uomini a pensare di incidere in alcun modo su ciò che è sacro. Anche se si vuole essere trattati da sani, non come se si stesse morendo, non si può comunque dimenticare che la morte attende ciascuno di noi. Non sarebbe meglio, morendo, riconciliarsi con tutto? E ammettere l’indissacrabilità del matrimonio?

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