Intervista sulla temperanza

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Parliamo di temperanza: vogliamo provare a darne una definizione?

Il catechismo ne riporta una bella definizione: “La temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà”. In greco si chiarisce ancora di più: “enkrateia”, potere, dominio su se stessi. Ma spesso noi cristiani abbiamo un serio problema col linguaggio, perché viene da lontano, si è sviluppato in tempi antichi e oggi molti possono pensare che si tratti di parole da museo. Non è vero.

La temperanza parte da un presupposto ovvio: prende in considerazione il fatto che l’uomo è guidato e attratto dal piacere e che il piacere è cosa buona, molto buona. La virtù della temperanza riguarda il buon utilizzo di questa umana facoltà: vivere una vita piena di piaceri! Ed è qua che entra in discussione la nostra capacità di cercarli, sceglierli e viverli nella giusta misura.

La temperanza è una virtù dimenticata o sottovalutata?

Direi siamo quasi al limite dell’oblio totale. Ma se questa parola ha perso valore ed è quasi dimenticata c’è un motivo: il nostro è il tempo dell’intemperanza. Della fretta, dell’ingordigia di emozioni, attività, esperienze. Una specie di bulimia di parole, fatti, eccitazioni e infatuazioni che si spengono e si riaccendono. È così nelle relazioni, nell’educazione e anche nella politica. Anche la parola “senza” la si vorrebbe destinata a scomparire. Bisogna raggiungere qualsiasi cosa e anche presto. La temperanza rischia di essere, così, sepolta. Nel mondo della corsa e della velocità competitiva, a che dovrebbe servire?

Che ruolo ha la temperanza nella vita del cristiano?

Ha, dovrebbe avere, un ruolo decisivo. Ma bisognerebbe partire all’educazione ad una coscienza serena: l’uomo è stato creato da Dio per una vita buona e nella bontà è inclusa l’intensità del piacere e del godimento. San Tommaso disse, come un’iperbole, che durante l’atto sessuale gli uomini e le donne prima del peccato originale provavano più piacere, non meno. Poi, con l’emergere del peccato, il piacere è diminuito.

Sono solo immagini ma efficaci. Impostato così il tema, emerge allora l’assoluta necessità di una guida, di una capacità di indirizzo, di una sorta di “pilota” dei piaceri perché raggiungano il loro scopo: costruire una vita buona, bella e piena. È la temperanza, che, educata nel tempo, permette di individuare la giusta misura di ogni momento, realtà e cosa umana che provochino piacere. Senza la temperanza il godimento diventa una maledizione: la ripetizione soffocante e banale di impulsi incapaci di forgiare una vita sana e veramente buona.

E i non credenti? È utile che la esercitino? Ci sono differenze rispetto ai cristiani?

La coscienza umana intuisce da sola che la temperanza è fondamentale. E un non credente può essere una persona profondamente temperata ed esperta nella moderazione. Può coltivare nella propria umanità questa virtù. Ma noi cristiani abbiamo un’opportunità inaudita: Gesù Cristo, nei Vangeli, ci viene incontro come il “grande temperante”. “Esagera” volentieri quando si tratta di moltiplicare i pani, che avanzarono. Non badò a ristrettezze, è venuto perché abbiamo la vita in abbondanza. Ma quando gli chiesero come comportarsi consigliò, un giorno, di condividere una tunica con chi non ne ha, perché a noi una tunica può anche bastare.

Chi guarda a Gesù e alla sua vita impara a bilanciare l’abbondanza e le ricchezza delle relazioni con la moderazione, la pausa, il silenzio, l’opportunità castità. Col riuscire a vivere bene anche senza qualcosa. Anche la pausa è vita, basta pensare alla frase musicale.

La temperanza è limitazione della libertà o sua esaltazione?

Un possibile modo di cottura è il “fuoco temperato”. E chi sa di cucina, capisce che in questa definizione è racchiuso anche il segreto di certa libertà. L’uomo e la donna contemporanee sono estremamente sensibili alla compressione delle libertà. Sia perché girano ancora, qua e là, dittatori o aspiranti tali che credevamo estinti (ma soprattutto i maschi dell’umano tendono spesso ad esagerare nel comandare) sia perché tante relazioni tossiche, in famiglia o al lavoro, si basano proprio sul tentativo di opprimere l’altro.

Benessere e progresso tecnologico ci hanno spinto, però, verso una insana idolatria dei desiderio e dell’impellenza dei bisogni. Va riconquistata la coscienza che la vera libertà nasce dal sapersi porre dei limiti. La vera libertà si chiama creatività delle scelte. Ma se non c’è alcun limite non esiste neppure la scelta, l’elezione. Se va bene tutto, non va bene nulla. Se un giorno chissà quando mi sposerò forse con un essere umano, non mi sposerò mai. Amare è scegliere bene. Un sano rapporto coi limiti è la vera essenza della temperanza.

Quale consiglio darebbe a un fedele, che voglia migliorare su questo aspetto?

Di non preoccuparsi se la temperanza è un fine da raggiungere sempre, da riconquistare, da costruire lungo un cammino bello ma fatto di estremo lavoro su se stessi. Conviene considerare la temperanza alla stregua di una gara di fondo, bisogna allenarsi con costanza e pazienza. Ma è una virtù che esalta la qualità delle nostre relazioni. Una persona che è diventata temperata e temperante è molto stimata, nel nostro mondo eccessivo, un po’ esaltato, devoto al priapismo delle emozioni.

Vita di coppia e di famiglia, com’è possibile declinare in modo utile la temperanza, fra gli affetti più vicini?

C’è una frase di Papa Francesco che solo all’apparenza non riguarda il nostro tema: “L’eccellenza va bene, ma la qualità della vita non dipende da quella, dipende da una buona media nelle diverse situazioni. Anche qui emerge il valore del poliedro, di una personalità poliedrica, che presuppone una forte unità, un centro solido, una grande coerenza e, nello stesso tempo, la capacità di cambiare, di adattarsi, di spostarsi… Una stabilità nella versatilità”.

La temperanza è possibile solo se una persona è centrata su un perno sicuro e questo, per i cristiani, è dato da una profonda spiritualità fatta di ascolto della Parola, di preghiera e carità. In famiglia abbiamo bisogno non tanto di mariti, mogli e figli “eccellenti”, straordinari o perfetti. Abbiamo bisogno di “stabilità” nella versatilità, di quella virtù che cerca e trova il pertugio stretto: la sintesi tra rimanere sempre fissi su Gesù Cristo e la capacità di adattarsi, di modularsi, di affrontare in modo sempre nuovo e creativo le diverse stagioni e situazioni della vita. La temperanza, in questa sfida, è alleata eccellente.

Don Riccardo Mensuali è sacerdote dal 1994 e presta il suo servizio presso la Pontificia Accademia per la Vita. È membro della Fraternità Sacerdotale Missionaria di Sant’Egidio. Dal 2012 al 2016 ha lavorato al Pontificio Consiglio per la Famiglia. La Domenica celebra la Messa sul Lungomare di Ostia, vicino a Roma, nella Chiesa di Santa Maria Stella Maris, di cui è Rettore. E’ autore del libro: Leggero come l’Amore

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