Riflessioni in chiusura del mese mariano

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Il lavoro di Dio e la prima “Assunta”

Maggio è mese mariano per eccellenza. Fin dal XVI secolo è invalsa la tradizione di circondare l’icona di Maria di fiori, associando la Madre di Dio ad un segno chiaro e profumato di fertilità. È importante, ad ogni modo, tornare a meditare la vera origine del nostro culto mariano: il racconto dell’evangelista Luca e il suo Vangelo dell’infanzia. Sono tempi magri per il prestigio della maternità.

Femminilità contemporanea e omaggio mariano

L’incremento vertiginoso della denatalità si chiama anche progressiva scomparsa della maternità. La donna è di certo più rispettata oggi, nei suoi diritti, di diversi anni fa.  Sono decenni che la relazione tra cura della famiglia e lavoro è divenuta normale. Purtroppo non mancano rigurgiti di vecchio sentire, e capita ancora di incontrare ambienti di lavoro ostili nei confronti della gravidanza. Ma sono stigmatizzati come atteggiamenti retrivi. Se siamo sinceri con noi stessi, si fa largo una domanda che forse la società ha timore di porsi.

Le donne di oggi, grazie alle enormi conquiste e ai passi avanti compiuti, sono definitivamente libere e finalmente forti?  Cristina Comencini, regista e scrittrice, si è posta il problema: ha “osato” scrivere che le donne dei nostri giorni dovrebbero ritrovare la libertà di fare figli. Detto da una persona con quella storia personale, mi è parsa considerazione di certo rilievo. Credo che i figli non si facciano anche per una pericolosa e intima fragilità, per un malcelato senso di inadeguatezza che si vorrebbe nascondere sotto l’apparenza di un’ostentata sicurezza e maturità da pieni diritti raggiunti. I giovani di oggi, uomini e donne, hanno quasi tutto, meno quel senso di solidità umana che ti fa credere che sì, sarai del tutto capace di prenderti cura della prole che arriva. Il che, invece, crea timori, imbarazzi, ansie e fughe come fosse una patologia.

L’Annunciazione

Maria, nel Vangelo di Luca, ci offre un grade aiuto. L’angelo le disse: Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Maria doveva avere più o meno quindici anni. Per fare un figlio basterebbero pure. E Maria lo sapeva già. Giovane ma consapevole. Ci voleva anche un uomo, però. E sapeva anche questo, ormai, la ragazza. “Una donna a quindici anni dee saper le maliziette”, canta Cherubino nelle Nozze di Figaro. L’angelo aggiunse anche altro, disse ad esempio che quel bambino sarebbe diventato grande e chiamato Figlio dell’Altissimo, regnerà per sempre e il suo Regno non avrà fine. Praticamente le annunciò che doveva partorire Dio. Ovviamente Maria non dette, di primo acchito, il pur minimo ascolto a questa follia. Sai gli angeli come sono, esagerati.

Eppure, era un angelo furbo. Gli era stata affidata da Dio una missione quasi fallimentare, e infatti lì per lì fallì: comunicare ad una ragazza che sarebbe diventata la Madre di Dio. Eppure aveva obbedito, dopo tutto era un angelo, una creatura al servizio di un’altra voce. Ma ci aveva messo del suo, lo sapeva che il messaggio era, in sé, un po’ troppo alto e che avrebbe potuto turbare, sconvolgere. E secondo Simone Martini, nel dipinto dell’Annunciazione, si era avvolto, lasciando il suo cielo, in una bella cappa casalinga, una di quelle tovaglie a quadrettoni colorate che quando le vedi ti senti a casa, senti già il profumo di arrosti e di lasagne.

Una delicatezza angelica, una via celestiale per rendere domestica e più pacata una parola straordinaria.  Ma alla prima parte del discorso, Maria glielo dette un po’ d’ascolto. Concepirai un figlio. Verrà, un figlio, ma non sarà il figlio del desiderio. Dopo tutto, esisteva già ai suoi occhi uno che aveva guardato come non aveva guardato altri. Si chiamava Giuseppe. Ma non si erano mai toccati. Non vivevano né uscivano insieme. Allora non si poteva. Si aspettava le nozze. Non è che si aspettasse tanto, ci si sposava giovanissimi.

La castità era parola ovvia e normale, questione di breve attesa, tra le prime lusinghe amorose e il matrimonio passava poco tempo. Sposarsi a trentotto anni cambia le carte in tavola. Ma siamo noi umani a cambiarle, le carte, non Dio. Ad ogni modo, siamo all’inizio del Vangelo, anzi agli inizi del cuore del cristianesimo: Dio che prende la carne di uomo. Il momento, dunque, è di grande solennità. Nell’immediata e istintiva risposta della giovane donna di Nazareth noi avvertiamo una prevedibile normalità. Ha detto quello che bisognava dire. Le parole riportate, con linguaggio appena pudico, sono le più semplici e le più adatte. Le uniche ragionevoli: Come è possibile? non conosco uomo. Cioè non le viene il dubbio che l’angelo creda alle cicogne. E allora dice, tradotto: Come posso avere un figlio senza un rapporto con un uomo?

È una nobile risposta? C’è nobiltà nel prevedibile? La prima risposta di una donna alla voce di Dio, secondo il Vangelo di Luca, ci assomiglia. Bisognava, da una santa, Santa Maria Madre di Dio, aspettarsi forse qualcosa di più grandioso e meno modesto? Sarebbe stato solo non umano. A volerla guardare dal punto di vista divino, però, è ben magra figura, questa prima risposta: tu sarai la Madre di un uomo che è anche Dio, che dici? Dico che non ho con chi avere un rapporto sessuale. Non è che suoni così armonico con la melodia della grande rivelazione, con quell’annuncio che essendo aulico gli abbiamo anche cambiato nome: l’Annunciazione.

L’inizio del rapporto mariano con Dio

C’è un certo qual calo di tensione, tra l’invito divino e la risposta feriale. Dio ti manda un angelo a parlare del cielo e tu gli rispondi con la terra, gli abbracci, l’amplesso. Un po’ poco, o no? Eppure anche i Vangeli saranno scritti con questo metodo: l’unione tra Dio e l’umanità al suo servizio. Un’intima relazione, un sistema che sa di compromesso ma al contrario è la più grande prova della stima che Dio ha di noi: la Bibbia l’hanno scritta gli umani per ispirazione di Dio. Non è vero né il contrario, come qualcuno si ostina a sperare (far dire a Dio cose pensate solo da noi) né quello che altre religioni professano: Dio detta e noi a trascrivere, senza pensare.

La prima ad essere “assunta” per questo servizio fu Maria. La seconda, e ultima, “assunzione” fu un premio per aver accettato la prima. Decise, da sola, di fidarsi dell’impresa. Dell’alleanza vertiginosa. Di affidarsi. Divenne donna forte, matura. Scelse, come origine della sua solidità, la roccia della Parola di Dio portata dall’angelo. Non risultano riunioni di famiglia per consulenze. Prese lei la decisione, si assunse una responsabilità, unica via per diventare adulti. Da quell’annuncio mariano nacque la prima parola del Vangelo scritta da uomo, cioè da donna: Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. Siamo solo all’inizio, ma una quindicenne ha già capito tutto. Uno splendido esempio per le giovani donne degli anni venti del terzo millennio.

Questa riflessione sul mese mariano è stata scritta da Don Riccardo Mensuali

Un altro omaggio al mese mariano si trova in questo articolo, dedicato alla vergine: https://annaporchetti.it/…/30/maria-le-madri-la-maternita/

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